Non è adatto agli oltre 160mila celiaci italiani né agli allergici alle proteine del frumento (leggi articolo). I suoi prodotti possono costare anche quattro volte di più rispetto agli omologhi realizzati con farine tradizionali. Ma nonostante la contrazione dei consumi, per il grano khorasan Kamut® gli italiani sacrificano i propri risparmi. «Questi prodotti sono più costosi per due ragioni: i nostri agricoltori ricevono un compenso adeguato e un premio di produzione che colma una resa più bassa rispetto a quella dei grani moderni. Stiamo parlando di un cereale di qualità superiore, coltivato con metodo biologico, mai ibridato né geneticamente modificato, e ricco di proprietà nutrizionali benefiche per la salute».
È la Kamut Enterprises of Europe, a parlare e a certificare il primato del nostro Paese, «che acquista la metà delle produzioni globali di cereali di grano khorasan Kamut®». Ma cos’è questo ingrediente sempre più diffuso sulle nostre tavole?
Chi è al corrente della sua storia, sa che si tratta di un grano coltivato da sempre, di cui si trovano tracce nella letteratura scientifica a partire dal secolo scorso. A rilanciarne le potenzialità, a metà degli anni ’70, sono stati i Quinn, una famiglia di agricoltori statunitensi che piantò dei semi importati dall’Anatolia. Ciò che è accaduto dopo lo spiega a Il Fatto Alimentare Dario Bressanini, ricercatore presso il dipartimento di scienze e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria, che del Kamut® si è occupato nel libro “Le bugie nel carrello”, edito da Chiarelettere: «Nel 1987 Bob Quinn, consultando un dizionario dei geroglifici egizi, accanto alla descrizione di grano e pane trovò la parola «kamut». Nel 1989 registrò il nome e fondò la Kamut International».
Kamut® quindi non è il nome di una specie vegetale – il grano è il khorasan (triticum turanicum), coltivato da migliaia di anni nella Mezzaluna Fertile, regione storica del Medio Oriente -, ma un marchio registrato: come può essere Mulino Bianco. Alla base di questa strategia, secondo quanto riferito dall’azienda, c’è «la volontà di garantire determinate caratteristiche di una qualità di grano khorasan commercializzata in tutto il mondo». Non una questione di monopolio, dunque, bensì la scelta «di proteggere e preservare il cereale a beneficio di tutti coloro che cercano un alimento sano e di alta qualità».
Un aspetto che, abbinato all’origine biologica delle produzioni, si traduce in un prezzo più alto per i consumatori, che si assicurano un prodotto realizzato seguendo i dettami di un rigoroso disciplinare. «Il grano deve essere dell’antica varietà khorasan, coltivato secondo il metodo dell’agricoltura certificata. Deve contenere un livello di proteine fra il 12 e il 18%, essere puro al 99% da contaminazioni con varietà di grano moderne e privo di segni di malattia. Infine: deve avere un quantitativo minimo di selenio e non essere mescolato a grano moderno nella pasta».
Quasi tutti i campi coltivati a grano khorasan si trovano negli Stati Uniti e in Canada. Le rese ottenute nel corso degli esperimenti condotti in Europa – dove i prodotti a base dell’antico cereale risultano molto apprezzati – non sono infatti state ritenute soddisfacenti sul piano qualitativo. Nemmeno le prove effettuate nei Paesi orientali e dell’Africa Settentrionale hanno fornito i risultati attesi, sebbene le origini del khorasan debbano essere ricercate nei terreni dell’attuale Turchia. Non proprio un prodotto a chilometro zero, dunque.
Oggi la multinazionale gestisce le autorizzazioni di tutte le aziende che desiderano acquistare e commercializzare questo cereale con il marchio abbinato – dunque rispettando il disciplinare – e sceglie gli agricoltori in base alle esigenze del mercato. Secondo Bressanini «la cosa più unica che rara è che un’abile strategia di marketing ha indotto il grande pubblico ad associare il nome Kamut® al grano khorasan». E poiché il nome è un marchio registrato, «nessuno può usarlo se non alle condizioni della Kamut International».
Tradotto: chiunque può coltivare le circa cento linee di grano khorasan oggi note, ma senza venderle abbinate al marchio ben più conosciuto “Kamut®”, che poi è anche quello usato dai consumatori al supermercato e in pizzeria. Aumentando la consapevolezza del pubblico potrebbe un giorno diventare più facile ed economico, mangiare una pizza con farina di grano khorasan, non necessariamente a marchio Kamut®.
Fabio Di Todaro, Twitter: @fabioditodaro
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Vorrei chiedere che differenza c’è tra il grano khorasan e il grano Senatore Cappelli coltivato in Italia ed anche questo disponibile da culture biologiche. grazie
Dai un occhio qua 😉
http://greenme.it/spazi-verdi/naturomania/1536-grano-saragolla-e-senatore-cappelli-alternative-italiane-al-kamut
sono grani diversi, il grano khorasan è un po’ più ricco in fibra e proteine. Il Senatore Cappelli è stato “inventato” dal più importante genetista italiano, Nazareno Strampelli ed è un prodotto nostrano, mentre il Khorasan è prodotto principalmente in nord America….quindi percorre migliaia di KM prima di arrivare in Europa, il che ovviamente implica un impatto economico ed ambientale non indifferente.
Salve a tutti,
dal mio punto di vista all’azienda statunitense Kamut® International, vanno riconosciuti diversi meriti.
Innanzitutto quello di aver fatto riscoprire, in particolare a noi italiani, la vastissima biodiversità che il nostro territorio ci offre e che forse si stava in buona parte perdendo a favore di colture standardizzate.
Non è forse vero che proprio con il successo della commercializzazione dei prodotti a marchio Kamut®, le nostre aziende (in particolare pastifici) hanno iniziato a relazionarsi con gli agricoltori in modo da riprodurre grani antichi e autoctoni e così differenziarsi?
In secondo luogo, in Italia sono pochissime le aziende che avviano collaborazioni con gli agricoltori volte ad incentivare le produzioni di maggiore qualità garantendo a questi ultimi un prezzo equo ed etico (come invece accade per il Kamut®) ed evitare così di dipendere per buona parte dalle importazioni di grano duro di qualità.
Infine non bisogna dimenticare la battaglia che la Kamut International porta avanti contro le coltivazioni OGM, permesse negli Stati Uniti (anche per questo la presenza di un marchio registrato che ne certifichi il processo produttivo e ne escluda la contaminazione).
Credo che il successo dei prodotti Kamut® debba farci riflettere attentamente.
Dovevamo essere noi italiani gli ambasciatori nel mondo dei migliori grani antichi, con le loro storie, le nostre tradizioni culinarie e non rincorrere un marchio (che forse non si raggiungerà molto facilmente) che dietro ha storie di tombe egizie, faraoni o altre storielle…
Quindi per concludere perché prendersela con chi ha intrapreso un percorso o una strategia commerciale di successo? Forse perché hanno avuto molto, ma molto prima di noi la lungimiranza di credere ed investire in qualcosa di antico.
Nessuno se la prende con nessuno, per carità!
Bisogna però capire e conoscere prima di comprare e la strategia pubblicitaria della Kamut® non è proprio così limpida visto che le false storielle di piramidi e faraoni che accennavi credo proprio siano state inventate da loro (e per altro mai smentite) addirittura hanno inserito delle piramidi nel marchio..
Poi il prezzo equo ed etico è una gran cosa ma è solo per i coltivatori, il consumatore deve sborsare dai 6 agli 8€ al kg per portarsela a casa ed è un’enormità. Probabilmente si può trovare anche a meno ma il prezzo medio della pasta biologica è mooolto più basso.
Ed infine che la Kamut® non utilizzi OGM non dipende da loro, visto che producono prodotti biologici sono obbligati da un regolamento preciso.
Detto questo anch’io compro prodotti a marchio Kamut® anche perché prodotti simili di grano Khorasan non se ne trovano.
Il problema degli OGM da me accennato, si riferiva al rischio di contaminazione accidentale. Il Reg. UE sulla produzione biologica permette una contaminazione accidentale dello 0,9%.
Ovviamente in Italia non si incorre in nessun rischio per quanto riguarda la produzione interna. Il problema riguarda però le importazioni Extra – UE di granaglie.
L’azienda Kamut, proprio perchè ha sede negli USA, ne garantisce l’esclusione totale.
Concordo con entrambi, sia con l’OP che con Luca. Anch’io se trovassi del khorasan (garantito) a minor prezzo lo comprerei, comprerei pure del khorasan non biologico. Comunque sono in molti che si informano e bastano un paio di click per scoprire il segreto di pulcinella. Wikipedia, infatti, sbandiera il fatto che il khorasan è un antico cereale che è stato messo sotto il marchio kamut©.
Ho trovato due marche di khorasan kamut e quindi c’è un po’ di concorrenza dalle mie parti, uno di questa mi pare sia intorno ai 2 euro per mezzo kilo di pasta, la proverò.
Possibile che Barilla, de checco e altri non possano fare pasta con grani antichi? tutti ad aspettare gli americani?
Riuscire ad “inventare” un prodotto che esiste da sempre e venderlo a peso d’oro è sicuramente un’ottima riuscita commerciale ma non venitemi a dire che sia un vantaggio per il consumatore!
Il grano Khorasan è ottimo ed ha particolari qualità, essendo un grano “vecchio” è privo di tante modifiche genetiche (e non solo) volte ad aumentarne la resa, ed è quindi sicuramente più sano del grano che viene normalmente utilizzato per produrre pasta.
Stesso discorso vale per il grano Senatore Cappelli citato prima.
Kamut è un nome inventato, registrato e pubblicizzato da un’azienda americana. Un prodotto che non ha alcuna differenza con il Khorasan, ovviamente a parità di certificazioni.
Secondo quale principio o studio sarebbe più sano del comune grano Creso?
Il grano Creso è nato da irraggiamento a raggi X o gamma e irrorando i campi di coltura con acque provenienti da reattori nucleari, questo è quello che ci è dato sapere dal web ma di studi seri su quello che comporta dal punto di vista nutrizionale non mi risulta siano mai stati fatti.
Quello che si sa per certo è che il grano Creso, oltre ad avere una resa molto migliore, ha più glutine, e questo è considerato da tutti i consumatori un grandissimo vantaggio ma invece, a mio modestissimo parere, non lo è affatto. Il vantaggio è solo per i produttori che avendo una materia prima più “collosa” riescono a pastificare meglio ed avere meno problemi relativi alla stabilità del prodotto secco.
Se però guardiamo l’incidenza di problemi collegati al glutine, come la celiachia, noteremo quanto sia aumentata negli ultimi anni, cioè da quando si usa il famoso grano Creso.
Ci sono anche altri fattori che lo rendono poco digeribile ma andiamo parecchio fuori tema.
Quindi, glutine a parte, il motivo per cui sarebbe più sano quale è?
Vincenzo, a parte che irrorare i campi di coltura con acque provenienti da reattori nucleari non è certo una garanzia di qualità, non ci sono studi quindi non sappiamo nemmeno cosa mangiamo.
E poi il problema del glutine non è da prendere così alla leggera, evidentemente se c’è stato un innalzamento così importante nelle intolleranza alimentari qualcosa vorrà dire, inoltre c’è chi riesce a tollerare paste prodotte con semola di Khorasan o Senatore Cappelli ma non quelle (ormai) tradizionali.
A parte questo direi che non c’è altro.
Spero tu stia scherzando sul fatto che non ci sono studi, il grano Creso è stato studiato per decenni e tutt’ora quello che mangiamo viene controllato dalle autorità in materia.
L’aumento dei casi “diagnosticati” di celiachia si verifica in tutto il mondo, non sono in Italia. Come per altre malattie ciò è dovuto principalmente ad un perfezionamento delle tecniche diagnostiche che permette di indirizzare meglio certe malattie.
Asserire che il grano creso sia meno “sano” perchè ottenuto tramite mutagenesi è totalmente infondato.
Che il grano Creso sia stato prodotto a partire da alcune modificazioni genetiche provocate con bombardamento di raggi gamma è noto, ma che siano stati irrorati “i campi di coltura con acque provenienti da reattori nucleari” mi pare una leggenda metropolitana.
Sono d’accordo con te quando affermi che “se c’è stato un innalzamento così importante nelle intolleranza alimentari qualcosa vorrà dire” ma mi pare un pò riduttivo ricondurre il tutto ad un piccolo innalzamento percentuale della quantità di glutine che ingeriamo.
in italia non ci sono mai stati reattori nucleari attivi tanto meno al centro enea della “Casaccia” dove il Creso e’stato creato: quindi avremo importato l’acqua per irrigarlo?
In qualunque testo di genetica agraria si trova la storia di uno dei maggiori sucessi della nostra genetica, basta leggere li e non seguire le favolette…
Poi guardatevi i listini di vendita dei cereali, che sono l’unica cosa che interessa gli agricoltori, i cosidetti grani ‘di forza’ sono quotati di piu perche l’industria li preferisce a quelli con meno glutine: ecco perche il Creso e’ stato in grado di dare un enorme sviluppo alla nostra cerealicoltura.
Vogliamo cambiare il mondo? Cambiamo (tutti) il nostro modo di mangiare, l’industria ci seguira’ e domani paghera’ meglio i grani con meno glutine che quindi saranno i piu coltivati. Tutto il resto sono chiacchiere da bar
Il grano Creso non è il più coltivato solo in Italia ma anche in Cina, Australia, Argentina, USA e Canada e anche per questo il discorso del miglioramento delle tecniche diagnostiche sinceramente è poco credibile e l’aumento dei colpiti degli ultimi anni ne è la prova, leggi qua:
“Per quanto riguarda Europa e Stati Uniti, ovvero le regioni storiche della celiachia, studi epidemiologici condotti a livello internazionale hanno evidenziato una frequenza media della malattia celiaca nella popolazione di circa l’1% e osservato come negli ultimi 25 anni l’incidenza sia aumentata di 5 volte, soprattutto in età pediatrica. (…) Se, da una parte, l’aumento della prevalenza della celiachia può certamente essere in parte attribuito al miglioramento delle tecniche diagnostiche e a una maggiore consapevolezza della malattia, gli esperti spiegano che è però verosimile supporre che un significativo cambiamento nelle abitudini alimentari – come le variazioni nella quantità e qualità di glutine ingerito.”
Fonte:
http://salute24.ilsole24ore.com/articles/16865-celiachia-in-aumento-a-mostrarlo-e-la-nuova-mappa-della-patologia-tutta-italiana
Le variazioni relative alle quantità di glutine ingerito negli ultimi 25 anni non credo siano così importanti, la qualità invece è un altro discorso.
Inoltre è facile connettere la celiachia alla mutazione del Creso: la gliadina, una proteina del glutine, ne è la diretta responsabile, è quella che rimane più indigesta ed è proprio quella che ha subito la mutazione genetica del ’74.
Questa è un’affermazione del prof Pecchiai:
“Sembra fondata l’ipotesi, che la modifica genetica di questo frumento sia correlata a una modificazione della sua proteina, e in particolare di una sua frazione, la gliadina, che e’ una proteina basica, dalla quale per digestione peptica-triptica, si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale e’ dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento.
E’ evidente la necessita’ di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario.
Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento, prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine, cosi’ da costringere lo Stato ad accollarsi l’onere di fornire a tutti prodotti esenti da glutine, dalla farina alla pasta, ai biscotti (come peraltro gia’ ora avviene)”.
By Prof. Dr. Luciano Pecchiai – Libero Docente in Anatomia Patologica – Primario Patologo Emerito dell’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” – Milano – Direttore del Centro di Eubiotica Umana di Milano – Esperto di Alimentazione e Medicina Naturale
Gli studi a cui mi riferisco e di cui non riesco a trovare traccia sono sulle reazioni dell’organismo proprio alla gliadina ma soprattutto sulle modifiche che la pasta subisce con le moderne tecniche di essiccazione ad altissime temperature, tecniche che rendono il glutine ancora meno digeribile.
Come ultima cosa sono costretto a darti ragione, “asserire che il grano creso sia meno “sano” perchè ottenuto tramite mutagenesi è totalmente infondato”, l’hai detto tu ed hai ragione, non ho dati alla mano che mettano nero su bianco che ciò che penso sia la realtà dei fatti ma queste discussioni servono anche a questo no?
Le teorie di Luciano Pecchiai non sono però condivise da molti altri nutrizionisti
Forse Pecchiai non ha visto giusto o forse si, rimane il fatto (penso condiviso dalla comunità scientifica) che l’intolleranza al glutine ovvero la celiachia è troppo diffusa per non pensare a una causa da trovarsi nell’alimentazione moderna.
Un tempo la gente mangiava moltissimi cereali con glutine perché la carne non c’era e quindi il problema celiachia dovrebbe essere stato maggiore ai tempi dei romani che adesso. Invece è il contrario.
Tra le tantissime cause le più dirette e le più evidenti sono il tipo differente di grano che mangiamo oggi rispetto a quello dei romani, appunto grano moderno contro grano antico.
Secondo me gli alimenti moderni sono molto diversi da quelli antichi: grano, latte, ortaggi, frutta. Per cui doveva succedere che in qualche caso emergesse delle incapacità del nostro organismo di adattarsi a questi nuovi alimenti. È capitato per il grano.
Mi chiedevo, i vantaggi del Kamut non sono riscontrabili anche nel farro, biologico naturalmente? Ho letto che anche il farro non è stato particolarmente modificato, e quindi è più simile al suo corrispiondente originario “antico”
Per quel che ne so io assolutamente si, anche il farro è un’ottima alternativa.
Il farro antico sarà anche buono ma a me la pasta di farro non piace. Comunque io ho un pregiudizio nei confronti delle selezioni moderne. Se posso io scelgo le varietà antiche.
Chiarimento: non esisteva una normativa in base alla quale quando il marchio sostituisce e/o identifica nella conoscienza collettiva del prodotto, il nome effettivo dello stesso viene annullato?
In parole povere.. se la maggior parte delle persone non sanno che il vero nome del grano KAMUT è khorasan, è giusto che il marchio continui ad esistere? Non è anche questo un raggiro nei confronti dei clienti?
Clienti che comunque prediligono il prodotto col packaging più chiaro ed evidente e i loghi della Kamut Inc saltano all’occhio molto prima di un’esigua scritta “pane al khorasan”.
E’ quindi giusto che il cliente sia indotto a comprare certi articoli solo perché è male informato?
Per non parlare poi dell’obbligo di produzione biologica per tutti i prodotti che vogliono inserire la farina di KAMUT. Per una piccola o media azienda che vuole soddisfare dei clienti sempre più selettivi, si tratta di un vero e proprio investimento. Infatti oltre a dover avere l’autorizzazione da parte della kamut inc sono costretti a richiedere anche quella dell’ente bio col quale si devono certificare.
Per che cosa? per un prodotto che per ora non è ancora stato modificato (attendiamo una crisi nel settore.. poi ne riparliamo) e che, nell’effettivo, non è nulla di speciale.
Questa strategia di marketing non è la sola. Leggo sopra che si parla di Senatore cappelli.. e il grano Akrux? E’ lo stesso paragone del kamut.
Personalmente ritengo questo tipo di “costrizioni” molto più nocive per i clienti rispetto a una patatina con pochi grassi (ci sono le kcal dietro….). Ma mentre siamo al supermercato e giriamo tra gli scaffali della pasta, nessuno ci sussurra all’orecchio che non vale la pena di spendere parecchi euro in più per un prodotto che reca la sigla KAMUT piuttosto che acquistare quello al semplice grano khorasan e sinceramente la vedo come una beffa nei confronti di un paese come il nostro dove la crisi è evidente e i media ci tempestano di masterchef, cuochi, cibi sani, prodotti nuovi dai nomi esotici. Prodotti costosi, ma essendo pochi gli sfizi che gli italiani riescono oggi a togliersi, preferiscono puntare alla cuicina come fosse un hobby. Ma quanti euro potremmo risparmiare se veramente conoscessimo tutti i raggiri al quale siamo inevitabilmente sottoposti?
Aggiungo al tuo commento, che fra l’altro mi vede totalmente d’accordo, che un’azienda che ha ottenuto l’approvazione per lavorare prodotti Kamut, non può, per regolamento, lavorare prodotti di “semplice” grano Khorasan.
Personalmente non mi va di pagare (molto di più) un marchio come Kamut o Akrux che è praticamente la nostra copia per il grano Cappelli.
Preferisco aiutare la realtà locale acquistando prodotti italiani.
E poi diciamo la verità, quei decimi di percentuale in più di valori nutrizionali possono davvero cambiarci la vita? (soprattutto dopo la solita raffinazione industriale..)
salve, al signor Luca, che diceva che comprava prodotti con kamut perchè è praticamente impossibile trovare dei prodotti con semplice khorasan, vorrei dire che la scorsa estate ho trovato in vendita in un panificio della provincia di Brindisi dei prodotti con grano khorasan, coltivato in Basilicata o Puglia,non ricordo bene. se fosse interessato nelle prossime vacanze di Pasqua potrei informarmi meglio su chi sia la ditta produttrice e assaggiare anche io i prodotti. conoscendo bene come è nato il fenomeno Kamut mi rifiuto di comprare prodotti ad un prezzo secondo me esagerato, e se questi prodotti sono ugualmente ottimi perchè non incentivare la coltivazione qui in Italia, specie nelle zone a rischio abbandono?
A mio parere al momento siamo al livello di un discorso basato sulla supposizione del “peggioramento” della gliadina, il grande salto per ora certo é stato l’inizio del consumo da parte dell’uomo della proteina glutinica. se il meccanismo patogenetico supposto dal dottor Pecchia si rivelerà avere un valore reale (e se tale aspetto avrà un peso sufficente per essere chiaramente distinguibile nella complessità del rumore di fondo alimentare) allora si potrà pensare di agire con azioni più concrete. Nel frattempo se uno vuole consumare grano “antico” (ma antico veramente? Non c’é stato miglioramento varietale? Pensiamo davvero che le culivar di farro mangiate dagli antichi Romani siano le stesse che mangiamo noi oggi? Siamo sicuri che le notre categorizzazioni non siano sostanzialmente ideologiche?) puó farlo anche per la sola curiosità di accedere a sapoi diversi. Il caso Kamut mostra chiaramente che un buon marketing da ai consumatori il valore aggiunto che questi si aspettano. Coryesi saluti.
Giulio Fiore Amodio, la persona che ha riscoperto e commercializza la saragolla turchesca (attenzione, esiste in commercio una saragolla varietà moderna che non c’entra niente), dice che il problema sta soprattutto nella qualità del glutine. I grani antichi hanno una struttura che gli rende molto più attaccabili dai nostri succhi gastrici aumentandone la digeribilità. I vantaggi dei grani tipo creso, stanno nella spiga molto più bassa (cosa che riduce il fenomeno dell’allettamento), nella maggiore produttività, nella massa glutinica modello “mappazza”, cosa molto apprezzata dalle industrie alimentari perchè crea meno problemi di lavorazione con le macchine. A vantaggio dei grani antichi, appunto la maggior digeribilità (provate con la pizza, non è solo la lievitazione che fa la differenza) e che sanno di qualcosa!(la pasta di saragolla, che ha un bellissimo colore giallo, la puoi quasi mangiare senza condimento…). Vedete voi che tipo di vantaggi preferite
Per quanto riguarda l’etica dei signori della Kamut (quelli del biologico, anti OGM, etc…) il detto sig. Fiore, anni fa, venne denunciato con richiesta di risarcimento milionario, solo perché in un articolo su una rivista inglese aveva scritto che il kamut-korasan e la saragolla turchesca appartenevano alla stessa famiglia (cosa per altro vera)…e per fortuna che, ai tempi, il presidente di Slow Food Abruzzo, casualmente, era una famoso avvocato…
Si può e si deve poter criticare tutto e tutti, ma anche riconoscere il valore del merito e dei risultati.
Se nel mondo la crema di nocciole si chiama “Nutella”, onore al merito della strategia di marketing della Ferrero, anche se non vende un prodotto con ingredienti proprio salutistici(vedi grasso di palma).
I nostri agro-imprenditori di filiera, si organizzino a fare meglio di quello che già fanno e fenomeni tipo Kamut si ridimensionano da soli.
Puó essere vero ma va collegato alla patogenesi della celiachia e, in assenza di studi pubblicati che lo certifichino, resta un’opinione, per quanto autorevole (e magari vera). Saluti.