L’inquinamento dell’acqua provocato da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in tre province venete si è esteso alla catena alimentare. Si ipotizza che la vicenda possa avere ripercussioni a livello nazionale e oltreconfine, a causa della vendita di prodotti alimentari provenienti da animali che vivono in una sessantina di allevamenti situati nelle zone del vicentino, oltre a quelle intorno a Verona e Padova. La notizia purtroppo poggia su elementi concreti e desta non poche preoccupazioni.
I Pfas sono sostanze chimiche dotate di elevata persistenza nell’ambiente, utilizzate principalmente per rendere tessuti, tappeti, carta e anche rivestimenti per contenitori di alimenti resistenti ai grassi e all’acqua. L’azienda chimica indicata come responsabile dell’inquinamento è la Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, specializzata nella produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e l’industria tecnica. La Miteni, però, esclude la propria responsabilità.
I Pfas sono riconosciuti come interferenti endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e reni. Queste sostanze sono definite “microinquinanti emergenti” perché sono frutto di un’industria chimica recente e per questo motivo non sono monitorate nelle indagini di laboratorio condotte di routine. In pratica non esistono limiti di legge, né a livello europeo né nazionale, per quanto riguarda la concentrazione nelle acque. Ci sono dei valori obiettivo, indicati dall’Istituto Superiore di Sanità italiano, superiori rispetto a quelli fissati in altri Paesi. In Italia il valore obiettivo è 530 nanogrammi per litro (ng/l); negli Usa, dove ci fu un analogo caso di inquinamento causato dalla DuPont, è di 70 ng/l; in Germania è di 100 ng/l.
«Questi limiti non hanno alcun valore scientifico – spiega il Vincenzo Cordiano, specialista in Ematologia e in Medicina Interna, nonché referente regionale dell’Associazione Medici per l’Ambiente-ISDE (International Society of Doctors for Environment) Italia – perché siamo di fronte a molecole artificiali che non dovrebbero esistere nell’ambiente e tanto meno nel sangue». Per questo, ISDE Veneto chiede “un urgente intervento legislativo per proibire la produzione e la commercializzazione degli alimenti contaminati da Pfas, a difesa della salute dei cittadini veneti e delle altre regioni dove tali prodotti vengono distribuiti”. L’associazione chiede inoltre la sospensione della fornitura di acque «potabili» contenenti concentrazioni di Pfas fra le più alte al mondo, identificando fonti di approvvigionamento alternative.
La contaminazione di interferenti endocrini nelle acque venete è stata scoperta nel 2013, grazie a uno studio del Cnr, commissionato due anni prima dal Ministero dell’ambiente. Veicolati dall’acqua, i Pfas hanno contaminato anche la catena alimentare, come hanno dimostrato le analisi effettuate dai servizi veterinari e di igiene delle aziende sanitarie locali su cibi venduti nei supermercati locali. A questo punto ci sono buone ragioni per credere che prodotti alimentari contaminati dai Pfas possano essere presenti anche al di fuori del Veneto. Un bio-monitoraggio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con la Regione Veneto ha stimato che 250.000 le persone abbiano utilizzato per anni acqua potabile inquinata da Pfas e 60.000 quelle interessate da un livello maggiore di contaminazione.
Il problema riguarda abitazioni e allevamenti che si approvvigionano attraverso pozzi privati, nonché i campi agricoli irrigati attraverso le acque dei canali. Il controllo semestrale sulla presenza di Pfas nei pozzi privati è affidato ai proprietari, senza alcun riscontro con contro-analisi realizzate dagli organi di controllo pubblici. La zona interessata è ricca di allevamenti di bovini, suini, tacchini, polli e galline da uova. «Adesso li controlleremo», ha detto laconicamente il direttore Santità della Regione Veneto, Domenico Mantoan, in chiusura di una recente trasmissione delle Iene su Italia 1. Nel programma sono stati intervistati proprietari di allevamenti di tacchini e galline ovaiole: hanno dichiarato di utilizzare acqua da pozzi notoriamente contaminati da Pfas non sottoposti a controlli.
A suscitare la maggiore preoccupazione sono proprio i pozzi privati non dotati di adeguato sistema di filtrazione. Il primo provvedimento di chiusura di un pozzo privato di un allevamento nel vicentino, secondo il giornale L’Arena, risale al 2 novembre 2016 ed è firmato dal sindaco di Cologna. Si tratta di un segnale poco incisivo visto che in zona ci sono migliaia di pozzi privati utilizzati da famiglie e allevamenti. Nel mese di gennaio 2016, dopo i risultati delle analisi sulla presenza di Pfas nella catena alimentare, ci fu un’infuocata riunione della Commissione tecnica regionale. I partecipanti alla riunione non erano d’accordo su quale struttura avesse la competenza in materia di tutela igienico-sanitaria degli alimenti.
Dal verbale emerge che i campioni di alimenti sono stati prelevati tra il novembre 2014 e il giugno 2015, mentre i risultati sono stati resi noti solo a settembre 2015. In caso di emergenza sanitaria pubblica, le analisi dovrebbero essere fatte immediatamente, in modo da adottare tempestivamente le misure necessarie. Come mai questo ritardo? Sembra che l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie non abbia avuto subito i finanziamenti necessari per queste analisi. I campioni sono quindi stati congelati e poi analizzati. Inoltre ogni azienda sanitaria aveva effettuato il campionamento secondo criteri propri, senza fornire le informazioni sufficienti e necessarie per la corretta interpretazione dei risultati. I campioni sono stati distrutti dopo le analisi. Morale: i dati presentati sono stati additati come inaffidabili e allarmistici.
La questione è tuttora aperta: nella trasmissione delle Iene si è parlato del coinvolgimento in questa storia di “un grosso gruppo della grande distribuzione, che tutti noi conosciamo”, di cui non è stato rivelato il nome. Il consigliere regionale veneto Andrea Zanoni (Pd) ha presentato un’interrogazione urgente alla Giunta regionale, chiedendo che venga reso noto ai consumatori il nome di questo grande gruppo, ma non ha ancora ricevuto risposta.
Buongiorno.
Non ho seguito la trasmissione citata nell’articolo, e chiedo gentilmente a voi di spiegarmi quanto segue:
– è possibile rilevare la presenza di queste sostanze nell’organismo umano? Se si, come?
– se una persona si ammala di una patologia potenzialmente riconducibile all’assunzione di sostanze Pfas delle quali, pur essendo ben nota la tossicità, non si effettua per legge nessun controllo nella catena alimentare, contro chi può attualmente rivalersi?
Grazie e distinti saluti,
Alberto
le solite cose all’italiana, senza nessuno che s’assuma responsabilità… intanto che si fa?
Non mi fido più di quello che mi raccontano ! Mi sono installato in casa un impianto ad osmosi inversa (buono) e non ci penso più !
E’ sicuro di eliminare i Pfas con l’impianto ad osmosi inversa?