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Uno degli ultimi richiami che abbiamo pubblicato era dovuto alla possibile presenza di alcaloidi pirrolizidinici superiori ai limiti di legge nel cumino presente nella preparazione di Crauti conditi. In questa ricetta il cumino è sicuramente inferiore al 5%, visto che gli ingredienti sono indicati in etichetta in quantità decrescente ed erano: Cavoli cappucci, olio EVO 5%, sale marino, anice, cumino, finocchio, ginepro, senape. la non conformità riguardava quindi solo un ingrediente presente, nel prodotto finito, in minima quantità.

A questo punto abbiamo pensato fosse importante fare una riflessione su questi tipi di richiami. Vogliamo cercare di capire se il sistema, in questi casi specifici, evita un pericolo reale per i consumatori, anche considerando i più fragili, oppure attua direttive prestabilite che aumentano lo spreco e mettono in seria difficoltà le aziende. Abbiamo chiesto un parere a Roberto Pinton, esperto di produzioni alimentari.

La risposta

In questo caso (come in buona parte di altri casi analoghi) il rischio per il consumatore si può ritenere nullo. Ma ciò non toglie che il cumino (o qualsiasi altro ingrediente) che superi i limiti di legge per gli alcaloidi pirrolizidinici (o per qualsiasi altro contaminante) sia da ritenersi non idoneo all’uso alimentare.
Il ragionamento continua: se il cumino (o qualsiasi altro ingrediente) non è idoneo all’uso alimentare, non può certo essere utilizzato come ingrediente di un alimento, nemmeno in debolissima dose come in questo caso.

La normativa dei richiami

L’operatore del settore alimentare è tenuto a garantire che gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, quindi anche relativamente ai diversi ingredienti prima del loro utilizzo.
Se ha motivo di ritenere che un ingrediente da lui acquistato non sia idoneo all’uso alimentare perché non conforme ai requisiti di sicurezza, deve astenersi dal suo utilizzo; se la produzione effettuata prima che emergesse la non idoneità è già stata immessa sul mercato, è tenuto ad avviare senza indugio procedure per ritirarla, informandone le autorità competenti.
Solo quando queste misure non siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute (ma non pare questo il caso) il produttore deve informare i consumatori e, se necessario, richiamare i prodotti già forniti loro.

Nel caso specifico, stante la quantità irrilevante del cumino, non sembrano profilarsi rischi per la salute, rimane comunque la non conformità formale e sostanziale del prodotto finito, che motiva e giustifica la procedura di ritiro.

Alcaloidi pirrolizinici

L’ultimo parere scientifico dell’EFSA sugli alcaloidi pirrolizinici (che, giova ricordarlo, sono composti che le piante sviluppano naturalmente) risale al 2017 e si può leggere a questa pagina.
Per l’autorità esiste una possibile preoccupazione per la salute umana correlata all’esposizione agli alcaloidi pirrolizidinici, ma riguarda i forti consumatori abitudinari di tè e infusi di erbe, i bambini forti consumatori di miele e i consumatori di integratori alimentari a base di piante produttrici di queste sostanze; si parla, comunque, di dosi circa 100 volte inferiori a quelle note per causare tossicità acuta o a breve termine.

La risposta di Pinton ha evidenziato alcune caratteristiche che il sistema di allerta deve rispettare affinché tuteli i consumatori e consenta una corretta gestione dei richiami da parte delle aziende. Rimane però una perplessità: in un momento storico come il nostro in cui lo spreco alimentare ha raggiunto livelli economicamente ed eticamente insostenibili, non si potrebbe pensare a qualche modifica o aggiustamento? In un caso come quello di cui abbiamo parlato, non si potrebbe prevedere di fare ulteriori analisi di sicurezza sul prodotto finito? E nel caso la contaminazione fosse trascurabile non si potrebbe pensare di rimettere questi alimenti in circolo invece che destinarli alla distruzione?

© Riproduzione riservata. Foto: depositphotos.com

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luigiR
luigiR
23 Ottobre 2024 14:32

ma se dovesse poi capitare nel piatto di qualche consumatore particolarmente sensibile a quella sostanza e ne subisse effetti negativi per la propria salute? non siamo tutti usciti dalla stessa fabbrica, per cui, prima assicuriamoci di poter escludere categoricamente che simili quantità non diano luogo a fenomeni patologici. non credo sarà facile fissare questi paletti.

giova
giova
Reply to  Valeria Nardi
24 Ottobre 2024 16:48

In un sistema perfetto, la proposta di rimettere in circolo alimenti di qualità ma con lievi o irrilevanti/irrilevabili difetti sarebbe da attuare subito. Ma l’attuazione nella nostra realtà significa “sdoganare” una modalità di commerciare alimenti che potrebbe portare a una minore efficienza dei controlli di qualità. Sui quali, a vedere non solo i numeri ma pure la tipologia di aziende coinvolte (grandi e medie) abbiamo ancora molto da imparare. E non solo nella produzione, ma lungo tutta la filiera.
Ma una sperimentazione, magari con le grandi catene GDO, potrebbe essere lanciata, Ciò presupporrebbe ovviamente sia delle modifiche normative che un regolamento detttagliato per l’attuazione.

Maria Rita
Maria Rita
24 Ottobre 2024 17:07

Secondo me è utilissimo

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