Nonostante l’Italia sia, insieme a Francia e Romania, tra i principali produttori d’Europa, nel nostro paese l’importazione di soia resta massiccia. Dopo i Paesi Bassi, la Germania e la Spagna, l’Italia è anche tra i principali importatori europei di questo legume. Ciò accade perché, mentre la soia prodotta internamente è destinata prevalentemente al consumo umano, quella importata è impiegata soprattutto nell’alimentazione animale, in particolare negli allevamenti intensivi. Nei principali paesi produttori (Usa, Brasile e Argentina rappresentano l’82% della soia mondiale), la coltivazione di questo legume è però spesso causa di distruzione delle foreste e di altri importanti ecosistemi. In considerazione del fatto che circa la metà della soia importata dal nostro Paese transita dal porto di Ravenna, lo scorso 24 novembre un gruppo di attiviste e attivisti di Greenpeace ha messo in atto una protesta proprio in quello scalo, coinvolgendo lo stabilimento ravennate di Bunge Italia, succursale della statunitense Bunge Limited, una delle più grandi aziende dedicate alla produzione e al commercio internazionale di materie prime agricole, compresa la soia.
Il 65% della soia acquistata dall’Italia nel 2020 arriva infatti in particolare da Argentina e Brasile, paesi che ospitano ecosistemi di grande importanza per il nostro pianeta. “Ne è un esempio il Cerrado brasiliano, la savana più ricca di biodiversità al mondo – commenta Martina Borghi, della campagna foreste di Greenpeace Italia –, gravemente minacciata proprio dalla produzione agricola industriale e dalla zootecnia. Bunge in particolare si era impegnata a eliminare entro il 2025 i prodotti che causano deforestazione, ma ancora oggi non esita a farsi largo nel Cerrado, distruggendo l’ecosistema e perpetrando violenze ai danni delle comunità tradizionali che vivono in quelle terre. L’azienda, inoltre, continua ad avere interessi commerciali con una grande tenuta agricola brasiliana accusata in passato di deforestazione e accaparramento di terre come Agronegócio Estrondo».
La settimana scorsa l’Unione europea ha pubblicato la prima bozza della normativa per proteggere le foreste del mondo, che però presenta lacune che Greenpeace considera gravi. Il testo riconosce l’importanza di proteggere le foreste, ma non altri ecosistemi come quelli rappresentati, appunto, dal Cerrado, che è una savana. Inoltre, il rispetto delle normative internazionali per la tutela dei diritti umani non è tra i requisiti per immettere prodotti sul mercato comunitario. «Governi e aziende sostengono di voler fermare la deforestazione, ma le misure economiche vanno in direzione contraria – afferma Simona Savini, della campagna agricoltura di Greenpeace Italia –. Lo dimostrano alcune delle caratteristiche della Pac (Politica agricola comune) appena approvata (e valida fino al 2027; ndr), che indirizza agli allevamenti intensivi circa due terzi dei finanziamenti per l’agricoltura. Si mantiene così una pressione insostenibile sugli ecosistemi, causata sia dall’elevata domanda di coltivazioni mangimistiche come la soia, sia dall’impatto ambientale degli allevamenti stessi. Il governo italiano avrebbe ora l’occasione di migliorare le proprie politiche agricole, inserendo nel Piano strategico nazionale che deve essere elaborato in applicazione della Pac, misure per una graduale riduzione della produzione e del consumo di carne e latticini”.
© Riproduzione riservata; Foto: Greenpeace
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“Lo dimostrano alcune delle caratteristiche della Pac (Politica agricola comune) appena approvata (e valida fino al 2027; ndr), che indirizza agli allevamenti intensivi circa due terzi dei finanziamenti per l’agricoltura.”
Drogare il mercato con pesanti finanziamenti permette di tenere il prezzo di carne/latticini bassi, le offerte a prezzi stracciati diventano magica realtà.
Le alternative vegetali che non godono di tali aiuti risultano, chissà come, troppo costose e il cambiamento una chimera.
Il titolo è leggermente orientato per non dire fazioso.
Ponendo che si smetta di allevare,le fonti proteiche vegetali cominceranno ad essere prevalenti, quindi quale differenza c’è se si importerà la soia per fare il tofu?
Sempre deforestazione è.
Però gli diamo un valore etico per sanificare la coscienza.
E’ la stessa toria della degforestazione per le palme da olio, oggi probabilmente deforestano per le banane o per l’ananas.