Il delivery è ormai un trend consolidato e trasversale alla popolazione, sia per gli ordini dell’ultimo minuto sia per quelli programmati (in abbonamento o basati sulla fidelizzazione dei consumatori), sia per il comparto multicategoria sia per quanto riguarda nello specifico il settore food. Pertanto l’analisi degli ordini può essere efficacemente utilizzata come indicatore attendibile delle abitudini alimentari che si stanno delineando in Italia e nel mondo.
Secondo la sesta edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia pubblicata dalla piattaforma Just Eat, nello scorso anno questo canale di vendita ha visto una nuova tenuta, a livello mondiale, della cucina Usa (rappresentata soprattutto dagli hamburger), seguita da quella italiana, con la pizza in testa sugli altri piatti iconici del Bel Paese (tanto che, secondo l’app Deliveroo, le pizze ordinate solo nel 2022 basterebbero, se messe una a fianco all’altra, a coprire una distanza di 1.200 km, pari a quella tra Milano e Reggio Calabria), ma ha fatto registrare una crescente domanda di piatti che celebrano le verdure e le mettono al centro delle scelte dietetiche.
Secondo i risultati della ricerca condotta da Just Eat insieme a BVA Doxa, presentati a inizio anno, proprio la cucina salutare, a base vegetale, ha rappresentato il vero fenomeno culinario del 2022, con una crescita delle ordinazioni del 38% rispetto all’anno precedente. A guidare questo orientamento salutista c’è proprio l’Italia, che nel 2022 è stata il primo Paese per consumo di cibo sano da asporto a livello globale, con una crescente predilezione per il cibo vegano (pasta alla carbonara in versione vegana e i cibi orientali vegetali).
Protagonista indiscusso di questo trend è stato il poke (o poke bowl), un piatto della tradizione hawaiana ricco e completo, a base di riso, verdure e pesce crudo a cubetti (poke in lingua hawaiana significa proprio “tagliare a pezzi”) e marinato, che viene servito in una ciotola, come antipasto o come portata principale, accompagnato da diversi tipi di condimenti, come avocado, semi, aglio, cipolla, carote, olio di sesamo, salsa teriyaki, salsa di soia o salsa poke (un mix di salsa di soia a fermentazione naturale, olio di sesamo tostato, succo di limone, alghe marine e peperoncino).
Nato come ricetta povera della cucina hawaiana, utilizzata dai pescatori per smaltire gli avanzi di ciò che avevano pescato, il poke è divenuto un piatto apprezzato e diffuso in tutto il mondo proprio perché goloso, salutare (a differenza di altre preparazioni a base di pesce crudo, come il sushi, non prevede l’utilizzo dello zucchero per la marinatura), completo dal punto di vista nutrizionale, accattivante dal punto di vista estetico ed estremamente personalizzabile.
Diffuso già da tempo in America (grazie alla vicinanza geografica alla sua terra d’origine), negli ultimi due o tre anni, il poke è arrivato anche in Europa e nelle maggiori città d’Italia dove, a partire dal 2020 il settore dei poke ha raggiunto un volume d’affari di 1,74 miliardi di dollari, posizionandosi alla nona posizione dei 30 cibi più ordinati nella classifica dell’European Food Agency, anche grazie al suo aspetto “instagrammabile” e alla sua crescente presenza sulle piattaforme di food delivery dove, nel 2022, ha registrato un +60% di vendite e ha rappresentato il 48% degli ordini compiuti in Italia.
Stando ai dati della seconda edizione del report Il mercato del pokè in Italia diffusi da Grow Capital, nel giugno 2022 il numero di punti vendita che preparano questo piatto è arrivato a 820 (+ 140% rispetto al 2021), di cui il 43% rappresentato da catene (9 in tutto il Paese con in testa Poke house), mentre il fatturato ha toccato i 328 milioni di euro (+117%, rispetto al 2021). E la tendenza non sembra destinata ad invertirsi, anzi: gli esperti stimano che il giro d’affari continuerà a crescere a doppia cifra, arrivando a un valore di 689 milioni di euro (+20%) entro il 2026.
Seppur in linea con la crescente attenzione salutistica e con l’abitudine a ordinare pasti pronti online che si sono delineate durante la pandemia, il fenomeno è in contraddizione con la sempre maggiore sensibilità per i risvolti ecologici dell’introduzione di determinati alimenti nella propria dieta. Infatti bisogna considerare che alcuni degli ingredienti più usati per la preparazione di questo piatto non sono sostenibili dal punto di vista ambientale. Per esempio il tonno a pinne gialle è una specie a rischio, mentre la coltivazione dell’avocado necessita di moltissima acqua (272 litri per 2-3 frutti) e rappresenta una delle principali cause di deforestazione. Senza contare l’impronta di carbonio causata dall’importazione di prodotti esotici.
Se dunque sempre più italiani, soprattutto nelle fasce di età più giovani (18-30 anni) si impegnano a intraprendere stili alimentari differenti da quello onnivoro, tra cui il vegetariano/vegano (un italiano su quattro ordina più cibo vegetalerispetto a tre anni fa) e quello flexitariano (basato su un consumo solo occasionale di prodotti di derivati animali) non tutto è così semplice. C’è ancora confusione per quanto riguarda l’integrazione della dieta con soluzioni davvero a basso impatto ambientale e mancano le competenze necessarie per riuscire a compiere scelte in grado di coniugare la volontà di migliorare il proprio tenore di vita e la propria salute, con l’impegno a ridurre l’impatto che le proprie scelte di consumo hanno sull’ecosistema.
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