Il Parlamento europeo si muove e chiede alle catene dei supermercati “un mercato al dettaglio più equilibrato ed efficiente”. Così si legge nella relazione, firmata dall’onorevole Anna Maria Corazza Bildt, che è stata votata il 7 luglio in seduta plenaria. Si tratta di un ulteriore passo avanti verso la definizione di regole comuni per porre fine a certe pratiche che alcuni colossi della grande distribuzione praticano nei confronti dei produttori di ortofrutta e alimenti.
L’eurodeputato-contadino Josè Bovè aveva già mostrato una forte determinazione, nella sua relazione alla Commissione agricoltura e sviluppo rurale (AGRI) approvata dall’Assemblea nel settembre 2010 con cui chiedeva alla Commissione di introdurre apposite regole per vietare una serie di pratiche commerciali sleali, come ad esempio: le modifiche unilaterali dei contratti nel periodo successivo alla stipula, imposizione di sconti (anche retroattivi), rivendite sottocosto, pretese di compensi ingiustificati (i cosiddetti “listing fees”) o di quantitativi esagerati di forniture come condizione per inserire i prodotti a scaffale, oltre ai ritardi dei pagamenti.
Il Parlamento aveva chiesto alla Commissione europea di introdurre un codice europeo di buone prassi commerciali da applicare all’intera filiera alimentare, affidando a enti nazionali indipendenti la vigilanza sul rispetto delle regole e eventuali sanzioni.
Aveva anche puntato l’indice sulle centrali di acquisto che, grazie a strumenti come le aste elettroniche, “limano” i prezzi mettendo a rischio la sopravvivenza delle piccole-medie imprese (che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo agroalimentare europeo). Il rischio riguarda in un certo senso anche la sicurezza dei prodotti, dal momento che per continuare a vendere sottocosto è inevitabile risparmiare sui costi di produzione e quindi su materie prime, impianti e attrezzature che garantiscono la qualità.
Gli alimenti costituiscono circa il 50% delle merci vendute dalla grande distribuzione, ha ricordato Corazza Bildt, ed è necessario ristabilire equilibrio tra chi li produce e chi li commercializza. Il punto è: come?
La Commissione ha istituito lo “EU High Level Forum for a Better Functioning Food Supply Chain” nel quale opera una Piattaforma di esperti appositamente dedicata alle relazioni commerciali tra imprese (“business-to-business”, B2B). Ma i lavori della Piattaforma, mediati dalle rappresentanze europee della GDO, si stanno orientando verso soluzioni di dialogo e di volontarietà che rischiano di rivelarsi poco efficaci. Come si può pensare, ad esempio, che un supermercato decida di ridurre i termini di pagamento dei fornitori da 100-150 giorni a 30 giorni, o rinunciare a imporre gli sconti retroattivi di fine anno che gli permettono di far quadrare i propri conti, se non è obbligato?
La relazione Corazza Bildt sostiene il lavoro della Piattaforma di Esperti, in particolare per quanto riguarda la definizione delle pratiche commerciali sleali, evidenziando la necessità di regolare la crescente ascesa delle “private labels”. Inoltre la relazione sottolinea la necessità di affrontare l’inaccettabile pratica del “parasitic copying” che deriva dal duplice ruolo dei supermercati in veste di clienti e di concorrenti delle imprese a marchio.
Corazza Bildt riconosce la necessità di introdurre trasparenza e riportare equilibrio nella filiera di distribuzione, in modo da consentire ai produttori di vedere riconosciuto il valore degli alimenti, e annota con preoccupazione che gli strumenti a disposizione delle imprese non sono effettivamente utilizzati, a causa della dipendenza economica nei confronti dei grandi clienti. La Commissione, gli Stati membri e le federazioni dei produttori devono identificare strumenti e procedure idonei a garantire la tutela dei diritti dei fornitori, anche con il coordinamento di un Ombudsman europeo.
Il “fair trade” deve partire anche dai nostri campi, dai nostri laboratori artigiani, dalle nostre industrie. Pena l’indebolimento del concetto di sovranità alimentare.
Dario Dongo
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Per maggiori informazioni:
– la relazione,
C’è un aspetto che sfugge ai regolatori ed alle Autorità per la Concorrenza (sia della UE che nazionali). La GDO non è più l’eroe dei consumatori. La GDO nazionale ed europea (ma vale anche per gli USA, vedi WAL-MART) è dotata di uno straordinario e non arginato potere di mercato (BUYER POWER). Per mezzo di una serie di abusi (sconti retroattivi, mancato rispetto di condizioni contrattuali e di pagamento, promozioni effettuate a spese dei fornitori spacciate per buonismo dell’insegna commerciale, e altre perle di questo genere)la GDO impoverisce i fornitori (soprattutto i piccoli e medi), aumenta artificiosamente i costi delle insegne rivali che non hanno lo stesso potere negoziale, usufruisce di deroghe a regole di sicurezza alimentare, banalizza i prodotti attraverso l’uso sistematico delle marche private (anche DOP e IGP oggi si trovano a marchio dell’insegna). La quantità di denaro che viene drenata dai fornitori per volantini, offerte speciali, premi di ingresso e di fine anno, listing (pagamenti in denaro e merce per essere presenti sugli scaffali), non si traduce affatto in condizioni di benessere e di prezzi migliori per i consumatori (prezzi civetta). Il costo medio che un produttore deve sostenere per essere presente nella GDO varia da un 28 fino ad un 35 % in più rispetto a quello al prezzo che si potrebbe offrire senza questo dissanguamento. Siamo convinti di pagare il miglior prezzo per un litro di latte, ma avremo pagato di più qualche altra referenza. Ciò che conta per la GDO è lo scontrino medio incassato dal consumatore. Altro che campioni. Mantenere artificiosamente in piedi un potere di mercato per giustificare il contenimento dell’inflazione è poi la colpa grave della politica. Faccio un esempio che spero illumini i termini del problema. Quando fu istituito il contributo ambientale per lo smaltimento dei rifiuti da imballaggio (2000, il sistema doveva funzionare a rivalsa come l’IVA. Lo avrebbero pagato i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi, ma anche i distributori (altrettanto responsabili dell’immmissione di rifiuti da imballaggio, specie quando si tratta di marche provate) ed alla fine i consumatori (che sono i decisori finali dello smaltimento e della differenziazione dei rifiuti). In Italia, la GDO è riuscita a farsi esentare dal partecipazione ad un sistema di democrazia ambientale (chi inquina paga). Una cosa di un’ingiustizia colossale. Ecco perchè non sono d’accordo ad ipotesi di codici di comportamento commerciali (fornitore > distributore) su base volontaria. Il sistema dei rapporti di filiera attuale è sbagliato e la GDO mangia una fetta di torta più grande per il solo fatto dell’intermediazione. I codici vanno resi applicabili obbligatoriamente e sotto il controllo dell’Autorità per la Concorrenza nazionale (come avviene nel Regno Unito). Quando questo sistema sarà andato a regime, si misurerà il benessere relativo di tutti gli attori della filiera ed alla fine, del consumatore. Adesso regna la disuguaglianza per mantenere in piedi un potere di mercato (lobbying, soldi e voti). Io sono un operaio. L’azienda per cui lavoro non può aumentare il mio salario perchè – sostiene – aumentano i costi e diminuiscono i ricavi. Allora devo cercare prodotti che costano sempre meno. Ma ciò impoverisce ancora di più la mia azienda, che prima o poi mi licenzierà o chiuderà , perchè c’è crisi. Bollata come inefficiente o obsoleta (e non è vero). Non ci vedete una botta di follia in tutto ciò ? Dobbiamo discutere ancora dei rapporti di filiera, ma non certo in un’ottica di opportunismo ed egoismo. Ci stiamo mangiando tutto : valori, regole, decisioni, capacità di investimento, innovazione, sostenibilità . Alla fine non potremo mangiarci neanche i soldi perchè avremo le tasche vuote.
Forse è finito veramente il mito del supermercato per il popolo !!
Dalla destra, alla sinistra liberale fino ai pochi comunisti rimasti, tutti condividono la stessa parabola: â