Le etichette nutrizionali sul lato frontale della confezione, meglio conosciute in Italia come etichette a semaforo, relative al contenuto di grassi saturi, zuccheri, sodio e calorie convincono i produttori a migliorare nel tempo la qualità delle ricette. Lo dimostra un imponente studio pubblicato sul Journal of Marketing dai ricercatori di diverse università americane, che hanno analizzato l’andamento della composizione di quasi 21.100 prodotti appartenenti a 9.083 marchi che coprono tutto l’arco alimentare, per un totale di 44 tipologie, dalle barrette energetiche alle minestre, nel periodo di tempo compreso tra il 1996 e il 2011.

Nel 1996, infatti, è stata introdotta negli Stati Uniti il logo nutrizionale volontario Facts Up Front (vedi foto sotto), un’etichetta fronte-pacco o FOP (da “front of package” label) con le informazioni relative a componenti il cui consumo dovrebbe essere limitato (calorie, grassi saturi, sodio e zucchero). Lo scopo dello studio era dunque valutare gli effetti a lungo termine di una pratica che, negli anni, si è diffusa sempre di più tra i produttori statunitensi.

facts up front etichetta
Fact Up Front è l’etichetta nutrizionale fronte-pacco presente negli Stati Uniti

I ricercatori hanno confrontato le categorie di prodotti in cui è stato adottato il logo Facts Up Front prima e dopo il 1996, e poi di categorie con e senza etichette; per valutare la qualità nutrizionale, i ricercatori hanno fatto riferimento ai profili nutrizionali ufficiali dell’Ufficio regionale europeo dell’Oms e riscontrato alcuni risultati:

  • La correlazione tra introduzione delle etichette nutrizionali fronte-pacco e miglioramento nutrizionale è evidente;
  • I marchi di qualità premium hanno migliorato la composizione degli alimenti più spesso rispetto a quelli non premium, nella stessa categoria;
  • I marchi che realizzano meno prodotti hanno migliorato di più la qualità rispetto a quelli che ne propongono molti;
  • Una risposta più marcata è stata vista nelle categorie di cibi meno sani, come gli snack;
  • Risultati importanti sono stati osservati anche nelle categorie di prodotti nelle quali è più forte la concorrenza.

Andando poi a quantificare gli effetti, i ricercatori hanno visto che, tra le categorie di prodotti nelle quali era utilizzata l’etichetta nutrizionale, si registrava in media una diminuzione del 12,5% delle calorie, del 12,97% di acidi grassi saturi, del 12,6% di zuccheri e del 3,74% di sodio.

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La presenza di etichette nutrizionali sulla parte frontale delle confezioni è stata associata ad un miglioramento della qualità degli alimenti

Secondo gli autori, quando l’informazione nutrizionale è chiaramente evidenziata nella parte frontale delle confezioni, c’è una probabilità più alta che i consumatori la considerino quando decidono cosa comprare. Ciò induce i produttori, che constatano un calo delle vendite dei prodotti, a cambiare la ricetta per venire incontro alle esigenze del cliente. Questo, a sua volta, fa scattare la competizione con gli altri marchi, che cercano di migliorare la qualità per attirare più consumatori. Le etichette sarebbero insomma un ottimo strumento per convincere le aziende ad adottare ricette meno dannose, e per aiutare il consumatore a scegliere più consapevolmente.

Restano da chiarire alcuni aspetti, e soprattutto da individuare quali siano i motivi che rendono un’etichetta più efficace: tra questi vi potrebbe essere il fatto che, essendo il programma volontario, il consumatore individua e preferisce le aziende che dimostrano maggiore sensibilità. Oppure l’elemento più importante potrebbe semplicemente essere la visibilità dell’etichetta, che rende l’informazione nutrizionale più evidente. Oppure altri elementi ancora non ancora identificati. Ulteriori studi aiuteranno a distinguere a individuare le leve del cambiamento più potenti.

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Mauro
Mauro
17 Novembre 2020 15:22

Certo, avere un riferimento chiaro e visibile sulla parte anteriore dell’etichetta, dove c’è la bella foto di come ci piacerebbe che fosse il prodotto, e il nome del prodotto, che ci piacerebbe riguardasse il prodotto e non un nome suggestivo che ci faccia credere una cosa per l’altra (vedi la eterna polemica sui fintoburger) è un aiuto per il consumatore, specialmente se l’etichetta è immediata ma analitica come l’italiana “batteria”.

Un aiuto sia per quello attento e calmo che rigira la confezione da tutti i lati, mette su gli occhiali “daperdavicino” e si legge i più minuti dettagli su provenienza, composizione e valori nutrizionali, sia per la stragrande maggioranza che la spesa la fa di fretta, col bambino che urla attaccato al carrello, la suocera che ripete che ai suoi tempi, l’occhio al risparmio, e a casa il cane da portare fuori e la lavatrice da caricare.

Ma resteranno comunque di scarso aiuto finché si permette ai produttori di fare riferimento a una “porzione” di fantasia scelta secondo i loro comodi, invece che a un peso tondo, unico per tutti, rigidamente imposto per legge, e che non consente trucchi, ad esempio “per 100 grammi di prodotto”: leggendo che in 100 grammi della merendina A ce ne sono 10 di grasso e in B ce ne sono 15 posso fare un confronto immediato, intuitivo e chiaro, poi sta a me decidere quale comprare e se mangiarne venti grammi o cinquanta, o una sola merendina o tre.

Se invece lasciamo che scrivano la loro “porzione” di merendina istintivamente sceglierò quella che a prima vista mi sembra contenga meno grasso… solo se faccio i calcoli mi accorgo che la prima “porzione” che pesa 45 grammi contiene solo il 10% di grasso, mentre la seconda che ne pesa 38 ne contiene il 15%, cioè ben il 50% in più.