Etichette alimentari: sì all’indicazione dello stabilimento di produzione. È questo il tema della petizione che Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade hanno promosso su Change.org per chiedere al governo italiano di ripristinare l’obbligo di inserire sulle etichette di prodotti alimentari e bevande la sede dello stabilimento di produzione. Il 23 marzo sono state raccolte 8.000 firme.
Per sottoscrivere la petizione sullo stabilimento di produzione sulle etichette alimentari clicca qui.
Le firme raccolte sono indirizzate principalmente a Federica Guidi, ministra dello sviluppo economico cui spetta il compito di notificare subito a Bruxelles la norma che già a partire dal 1992 consentiva ai prodotti italiani di indicare lo stabilimento di produzione. La richiesta è supportata da diverse organizzazioni dei consumatori, tra cui Altroconsumo, dalle principali catene di supermercati (Unes, Conad, Coop, Selex, Simply, Auchan, Eurospin, NaturaSì), da numerose imprese industriali, da diversi parlamentari del Movimento 5 Stelle e di altri partiti e dallo stesso ministro delle politiche agricole Maurizio Martina.
Premesso che l’indicazione dello stabilimento di produzione non ha nulla a che vedere con l’origine delle materie prime (tema oggetto di discussione a Bruxelles), chiediamo al Ministero dello sviluppo economico di cogliere l’occasione per rilanciare in Europa il valore indispensabile dell’informazione in etichetta sullo stabilimento di origine. I motivi che rendono utile e necessaria l’indicazione dello stabilimento sono diversi:
Sicurezza alimentare
Nei casi di allerta alimentare, la disponibilità immediata della notizia della sede dello stabilimento consente alle autorità di controllo di risalire in tempo reale alla causa del problema e di intervenire con efficacia per ritirare il prodotto, anche al di fuori dei giorni feriali e degli orari di ufficio. Nella gestione delle crisi di sicurezza alimentare il tempismo è cruciale, e l’indicazione dello stabilimento può sicuramente abbreviarlo.
Su questo tema è interessante sottolineare le lamentele del Ministero della salute che in un recentissimo documento sul sistema di allerta da attivare nei casi di crisi scrive “in taluni casi si assiste ancora ad una poca efficacia per la rintracciabilità da parte
degli Operatori del settore alimentare (OSA) che, a volte, ha comportato un rallentamento nelle
indagini e negli interventi mirati. Infatti, in taluni casi è stato necessario effettuare numerosi solleciti e comunicazioni per l’acquisizione di documenti necessari a garantire la completezza delle informazioni (in particolar modo sui provvedimenti adottati in ambito territoriale, compreso il ritiro/richiamo).” Se tutto ciò accade quando l’indicazione dello stabilimento sulle etichette dei prodotti è chiara figuriamoci cosa può succedere quando per esempio il venerdì nel tardo pomeriggio si scopre un caso di botulino su un vasetto di conserve vegetali e l’indirizzo sul prodotto indica una sede situata a Bruxelles o a Londra.
Sovranità alimentare e occupazione
I consumatori hanno il diritto di fare scelte consapevoli che incidono in misura significativa sull’economia e sull’occupazione nelle filiere agroalimentari scegliendo prodotti confezionati nel proprio Paese. Senza l’indicazione dello stabilimento i gruppi multinazionali dell’industria alimentare e della distribuzione possono trasferire le produzioni e gli approvvigionamenti da un Paese all’altro – dentro e fuori l’Unione Europea – senza informare gli acquirenti.
Protezione dei cittadini
In assenza di informazioni sulla sede di produzione, i gruppi multinazionali che hanno acquistato marchi legati a un Paese (o a una sua Regione) possono ingannare i consumatori, utilizzando questo marchio su prodotti realizzati altrove. È il caso marchi italiani legati a formaggi, insaccati, pizze, pasta, gelati, olio che verrebbero acquistati da consumatori convinti di comprare un alimento prodotto in Italia. Si deve perciò affermare il diritto dei cittadini a conoscere il luogo di produzione, a sapere se una pizza Margherita a marchio Buitoni è made in Germany, se un Cornetto Algida è made in UK, se un olio Bertolli è imbottigliato in Spagna, e così via.
In assenza di un intervento volto a tutelare il made in Italy, come pure il made in France o il made in Spain… diventa impossibile per i cittadini identificare l’origine degli alimenti confezionati con il marchio delle catene di supermercati e di grandi gruppi industriali, che troverebbero sull’etichetta solo l’indirizzo di una sede legale. Tutto ciò a discapito dell’identità e della cultura materiale, del valore del lavoro in ciascun distretto produttivo, e delle rispettive economie.
La petizione è stata inviata a:
- Federica Guidi, Ministra dello sviluppo economico
- Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole
- Beatrice Lorenzin, Ministra della salute
Adesioni ufficiali alla petizione
Baule Volante. Con piacere aderiamo all’iniziativa promossa da Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade. Anche noi di Baule Volante abbiamo deciso di mantenere comunque l’indicazione della sede di produzione sugli oltre 500 prodotti biologici a nostro marchio, in quanto riteniamo che questo sia un elemento distintivo e caratterizzante del prodotto, e permetta al consumatore attento di effettuare scelte consapevoli, a tutto vantaggio della trasparenza e della sicurezza alimentare.
Patrizia Bertoni (www.baulevolante.it)
MDC sostiene la petizione per dire sì all’indicazione dello stabilimento di produzione sulle etichette. Il Movimento Difesa del Cittadino sottoscrive e sostiene la petizione lanciata su Change.org, da Great Italian Food Trade e Il Fatto Alimentare per chiedere al governo italiano di tutelare il Made in Italy e la salute dei consumatori, riaffermando l’obbligo di indicare sulle etichette dei prodotti alimentari e delle bevande la sede dello stabilimento di produzione.
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[åiuta]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
ora non ci resta che sperare 🙂
Tracciabilita’ totale
Il metodo più efficace resta il boicottaggio dei prodotti senza l’indicazione dello stabilimento di produzione.
Bene, una petizione utile.
Fatela girare su Facebook e i social media
Questo è quanto dichiarato dal sottosegretario Vicari l’altro giorno in risposta ad un’interpellanza (l’ennesima) su ciò che chiedete.
“Per quanto concerne l’osservazione che «a decorrere dal 13 dicembre 2014, a causa della mancata notifica del Governo italiano alla Commissione europea, la prescrizione italiana di mantenere l’obbligatorietà di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia, non è stata mantenuta, nonostante il Governo abbia espresso più volte la volontà di intervenire», si rammenta che l’articolo 38 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in materia di etichettatura degli alimenti, dispone il divieto, da parte degli Stati membri, sia di adottare, sia di mantenere norme nazionali in contrasto con le materie armonizzate dal regolamento stesso.
Pertanto, il regolamento citato elimina per gli Stati membri la facoltà, precedentemente prevista dalla direttiva 2000/13/CE, di «mantenere le disposizioni nazionali che impongono l’indicazione dello stabilimento di fabbricazione o di confezionamento per la loro produzione nazionale». L’individuazione delle indicazioni obbligatorie da riportare in etichettatura, come disciplinata dagli articoli 9 e 10 del regolamento, è infatti una materia armonizzata, tant’è che il successivo articolo 39 disciplina le «Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari», ovvero la facoltà degli Stati membri di introdurre l’obbligo di riportare in etichetta ulteriori indicazioni.”
Fatevene una ragione. Non si può andare (e chiedere di andare) contro la legge.
si può chiedere di modificarla.
Caro Luigi, sembra a dir poco curioso che proprio ora l’Italia – dopo aver emanato varie leggi in palese contrasto con l’aquis communitaire (tra cui ricordiamo la L. 204/2004, che all’articolo 1-bis imponeva l’indicazione obbligatoria dell’origine delle materie prime sulle etichette di tutti gli alimenti) – si trinceri dietro ipotetiche questioni interpretative del diritto comune.
Tanto più che lo stesso regolamento (UE) 1169/2011 all’articolo 39, comma 1, definisce una serie di condizioni, per legittimare le norme nazionali concorrenti, e tali condizioni ricorrono tutte nel caso che ci occupa:
“a) protezione della salute pubblica;
b) protezione dei consumatori;
c) prevenzione delle frodi;
d) protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale.”
Per essere ‘più realisti del re’, si tratta solo semmai di limitare il campo di applicazione della norma nazionale – in fase di notifica – a una serie di categorie di prodotti. A tal fine, basta escludere quelli rispetto ai quali già la normativa europea (generale e/o di settore) già prescrive idonee informazioni, quantomeno sul Paese di origine. Vale a dire ortofrutta, carni, prodotti ittici freschi, uova, miele, oli vergini di oliva, passate di pomodoro etc.
Caro Dario
La questione deve essere posta a livello europeo e non con decreti nazionali che poi sono bocciati o danno origine a procedure d’infrazione. Sai bene che tante volte è successo, specie se la norma è chiara come ora.
Sono convinto che il problema della mancato obbligo di indicare lo stabilimento di produzione non sia solo italiano ma europeo e pone come dicevi in altri articoli problemi di delocalizzazione comuni a tutti i paesi europei.
Per tale motivo sarebbe più utile e producente che la questione sia sollevata a livello politico nel prossimo Consiglio Europeo dall’Italia, così da costituire un blocco politico da contrapporre alla Commissione. Direi che non conviene all’Italia andare a fare uno scontro con la Commissione da sola.
Se questo non è un chiaro ed esplicito esempio di tradimento del mandato di rappresentanza della Commissione Europea, che sembra rappresentare solamente l’interesse di poche multinazionali a sfavore di tutti i paesi europei ed dei cittadini consumatori, cos’altro può essere?.
Non credo all’ignoranza dei commissari, piuttosto alla loro astuzia ed arroganza perché supportati da funzionari ed anche ministri nazionali che li spalleggiano, non oso pronunciare le motivazioni, perché sono chiare a tutti, se queste scelte scellerate producono dei danni alla salute dei cittadini ed all’economia del proprio paese.
Partecipo alla vostra iniziativa ed auguriamoci che possa servire a qualcosa, vista la potenza e l’arroganza dei burocrati.
perchè le lotte che sono costate anni devono essere annullate con un colpo di spugna?
Per questa petizione ho firmato.
Mi interessa lo stabilimento per vari motivi. Innanzitutto per sapere se il prodotto è fatto in Italia, senza lo stabilimento mi manca anche questa informazione. Poi spesso ci sono prodotti di marche sconosciute che non sono altro che prodotti di marche famose commercializzate sotto altro nome e che costano meno, ma che sono esattamente lo stesso prodotto. Con lo stabilimento di produzione è facile rendersene conto.
E poi amo anche privilegiare i prodotti fatti vicino a dove abito, perché comprare qualcosa che ha viaggiato giorni se posso comprare un prodotto equivalente fatto a 50 km da dove vivo? anche per questo mi serve lo stabilimento di produzione.
Per me poi vorrei anche che per tutte le materie prime mi si indicasse la provenienza, ma è un’utopia purtroppo.
Credo sia una vera sciocchezza; in questo modo si danneggeranno sia i produttori che i consumatori ITALIANI. Infatti se tale obbligo sussiste solo in Italia, resterà la pizza margherita prodotta in extra UE con il solo indirizzo dell’importatore di Napoli che preferirà farsi fare la pizza in Cina e farla passare per sua (almeno dalle informazioni obbligatorie in quel caso in etichetta) piuttosto che farsela produrre a Firenze….perché in quel caso dovrebbe indicare lo stabilimento di produzione a Firenze! (che se è vero che è in Italia….non è Napoli!!!). Occorre stare attenti e non cedere alla lusinga di un’indicazione che all’apparenza sembra dare trasparenza, ma che potrebbe nascondere “soluzioni” ben diverse dal nostro obbiettivo. Per questa ragione, sono assolutamente contraria ad una norma solo Italiana. Non sono neppure d’accordo sul fatto che questa indicazione consenta una maggior tutela dei consumatori nel caso in cui “si scopra una conserva vegetale al botulino” il venerdì sera….il produttore sarà chiuso comunque e il prodotto comunque sul mercato …in quel caso devono muoversi in prima linea i centri commerciali e le reti d’informazione….non credete? In ultimo, se è vero che le uniche avvantaggiate da queste nuove regole sono poche grandi aziende….perché non hanno aderito ufficialmente le migliaia di medie aziende eccellenti che abbiamo in tutta Italia????
Sino ad ora. L’obbligo in Italia esisteva e non per questo i nostri prodotti sono stati penalizzati
Concordo con Laura solamente sulla necessità che questo principio divenga norma europea e non solo italiana, ma dissento su tutte le altre argomentazioni, che sono complicanze mentali.
La verità riportata in etichetta è talmente vantaggiosa per quasi tutti, che anche se si tenta di confondere le idee, rimane inattaccabile.
Il fatto è che nascondere l’origine delle materie prime e dove sono state trasformate, interessa solamente i pochi commercianti internazionali che vogliono spacciare per prodotto nazionale un alimento (ma non solo), fatto chissà con cosa e chissà da chi.
E lei come può costruirci sopra un ragionamento a favore dei produttori nazionali e dei consumatori, se non è schierata proprio con questi interessi di pochi?
Non serve a niente sapere se il prodotto lo fanno sotto casa mia………..ma magari con materie prime che vengono dalla cina!!!!
Penso che sia più importante sviluppare e prediligere i prodotti DOP.
Questa battaglia sullo stabilimento NON SERVE A NULLA e distoglie l’attenzione da cose più importanti.
Sono due cose diverse. L’origine degli ingredienti è già una realtà per diversi alimenti e l’UE dovrebbe presto estenderlo ad altre categorie. L’indicazione dello stabilimento di origine è forse meno importante ma è qualche cosa che esisteva per tutti i prodotti fino a due mesi fa e che ora rischiamo di perdere.
Concordo con Andrea che la sola indicazione dello stabilimento di produzione risolve poco, anzi crea l’alibi ai produttori nazionali che utilizzano solo materie prime importate.
La protezione dei consumatori si realizza solamente con l’indicazione di tutti gli ingredienti in etichetta, la loro provenienza ed infine lo stabilimento di produzione che identifica il saper fare del produttore.
Puntare ad un solo aspetto della questione permette agli addetti di aggirare la tracciabilità, inserendo ingredienti non identificabili e chi lo ha prodotto in quale stabilimento(leggi saper fare ed occupazione nazionale).
Bene! Petizione utilissima… anche se basterebbe consumare direttamente cibi sani ed italiani e soprattutto non industriali. Qualcosa di interessante l’ho trovato su http://www.southinitaly.com