Etichetta: il consumatore compra di più quando si dice che un ingrediente è assente, rispetto a quando si vanta la presenza di un nutriente salutare
Etichetta: il consumatore compra di più quando si dice che un ingrediente è assente, rispetto a quando si vanta la presenza di un nutriente salutare
Redazione 2 Dicembre 2013I consumatori preferiscono le etichette con l’indicazione che il prodotto non contiene qualche ingrediente giudicato potenzialmente dannoso, piuttosto che quelle che indicano che contiene qualcosa ritenuto positivo.
Se il prodotto non contiene un particolare ingrediente, ad esempio un colorante artificiale, i consumatori sono ancor maggiormente disposti ad acquistarlo, pagando anche di più, se nelle informazioni supplementari dell’etichetta vengono indicati gli effetti negativi dell’ingestione di tali sostanze. Ad esempio: “Alcune ricerche hanno suggerito che il colorante artificiale chiamato Red n. 40 porta a cambiamenti comportamentali nei bambini con diagnosi di ADHD”. Se l’etichetta indica che il prodotto contiene un ingrediente presentato come positivo, questa maggior disponibilità all’acquisto non c’è.
Questo risultato è emerso da uno studio condotto in laboratorio da ricercatori della statunitense Cornell University, che ha coinvolto 351 persone ed è stato pubblicato dalla rivista Applied Economic Perspectives and Policy, dell’Università di Oxford.
Beniamino Bonardi
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d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 “pubblicità ingannevole”: “qualsiasi pubblicità che in qualche modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente. Vi ricordate quella azienda che produce lo yogurt con la lista degli ingredienti più corta, bene ora tirate voi le conclusioni. Questo è quanto recita la “legislazione alimentare”. Emanuele Giorgini – Dietista
Mi perdoni ma non ho capito il nesso tra il suo intervento e l’articolo…
Forse non ha letto attentamente !! l’articolo precedente il mio intervento ci riprovi!
Complimenti per il modo in cui favorisce la discussione e il confronto.
L’articolo in ogni caso parla della preferenza del consumatore a claim che riportino l’assenza di sostanze ritenute “negative”, non del fatto che un’azienda ometta dolosamente di indicare tra gli ingredienti delle sostanze effettivamente presenti nel prodotto il che potrebbe configurare anche la frode in commercio.
Se diamo per scontato che lo studio sia stato fatto su etichette “regolari” (altrimenti che validità avrebbe?!) continuo a non cogliere il senso del suo intervento e il suo richiamo a Yomo (non è vero che è la più corta? o non è vero che contiene solo quelle sostanze?), ma è evidente che è un limite mio. Lei è stato chiarissimo.
L’affermazione “Alcune ricerche hanno suggerito che il colorante artificiale chiamato Red n. 40 porta a cambiamenti comportamentali nei bambini con diagnosi di ADHD” è troppo allarmistica sopratutto se si parla di un unico studio condotto con solo 351 persone. Per avere un idea scientificamente attendibile della situazione occorre analizzare lo studio pubblicato nei suoi dettagli.
NON CREIAMO ALLARMISMI INUTILI.
Esiste una legislazione alimentare che si occupa del controllo e dei livelli di sostanze presenti nei cibi. RIMANE IL FATTO CHE NELL’ ARTICOLO E’ SCRITTO:
I consumatori preferiscono le etichette con l’indicazione che il prodotto non contiene qualche ingrediente giudicato potenzialmente dannoso, piuttosto che quelle che indicano che contiene qualcosa ritenuto positivo.
DA QUESTA AFFERMAZIONE PRESENTE NELL’ARTICOLO E’ FACILE PENSARE E RICOLLEGARE ALLE VARIE PUBBLICITA’ DI PRODOTTI ALIMENTARI OVVIAMENTE.
INOLTRE IN QUESTE PUBBLICITA’ NON VIENE ASSOLUTAMENTE CONSIDERATO IL VALORE NUTRITIVO DEL PRODOTTO, MA SI PARLA DELLA LISTA PIU’ CORTA DEGLI INGREDIENTI: PARAMETRO ASSOLUTAMENTE NON INDICATIVO DELLA QUALITA’ NUTRITIVA DI UN ALIMENTO.
ECCO CHE VIENE FACILE L’ACCOSTAMENTO CON L’AZIENDA CHE PRODUCE YOGURT CHE LEI HA CITATO
QUINDI RIBADISCO CHE SECONDO IL d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 “pubblicità ingannevole”: “qualsiasi pubblicità che in qualche modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente.
GRAZIE PER L’OCCASIONE ULTERIORE DI CHIARIMENTO. EMANUELE
Temo che sia lei ad aver travisato l’articolo.
Lo studio menzionato non è quello secondo il quale si dimostrano (se mai sia vero e se mai sia stato fatto uno studio specifico, non lo so, non è il mio campo) gli effetti del colorante Red n.40.
E’ semplicemente uno studio che dimostra (con i limiti certo, di uno studio fatto su 351 persone) che il consumatore preferisce leggere di “un’assenza” piuttosto che di una “presenza”. Il colorante era solo un esempio preso tra tanti.
Meglio ancora non vedo il motivo di citare allarmismi inutili sulla patologia ADHD ed inoltre rinnovo la lettura del seguente d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 “pubblicità ingannevole”: “qualsiasi pubblicità che in qualche modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente.
se si vuole dare informazioni devono essere chiare e non ambigue caro alessandro ciao
Ritengo che mentre si sta indicando la luna lei stia guardando il dito.
Per il resto non tocca certo a me difendere un articolo che non ho scritto.
questo è quello che lei ritiene, ma per fortuna per il mondo scientifico quanto lei ritiene non è un parametro rilevante. Quando si parla di argomenti scientifici è necessaria una bibliografia con dati certi e ben controllati ricavati da pubblicazioni scientifiche derivanti da riviste del settore con elevato impact factor per avere credibilità nel mondo scientifico.!! ciao
Faccia una prova.
Rilegga tutto l’articolo escludendo il paragrafo in cui si cita l’esempio incriminato.
In questo modo anche lei guarderà “la luna”.
Tant’è che la categoria in cui rientra questo articolo è “etichette e prodotti” e non “sicurezza alimentare”.
Hanno sbagliato l’esempio? Benissimo. Ciò è indice di poca professionalità o superficialità? Può essere, sarebbe interessante leggere anche la controparte (e non capisco perchè chi ha scritto l’articolo non abbia interesse a difenderlo).
Detto questo, l’imprecisione non pregiudica la sostanza della tesi che si vuole sostenere.
Trovo molto più “grave” che una tesi sia supportata da uno studio che ha coinvolto solo 351 persone. Ma in fin dei conti, si tratta di uno studio di marketing, non certo di uno studio che abbia rilevanza sulla salute umana…
Gentili lettori,
il link della fonte è questo: http://www.news.cornell.edu/stories/2013/11/consumers-want-ingredient-details-study-shows
Ci scusiamo di non averlo inserito dal principio, c’è stato un errore di impaginazione.
Grazie Sig Valeria Nardi il link che ha pubblicato è prezioso grazie ancora
Al di là delle polemiche, attenzione al fatto che l’etichettatura non deve riportare l'”assenza di determinate sostanze” quando tragga in inganno i consumatori facendo presupporre che gli altri prodotti similari le contengano. Questi comportamenti tendono a far diminuire la fiducia dei consumatori sul carattere preventivo della legislazione, UE e nazionale, con grave danno.
Secondo me e’ importantissimo quello che si scrive nell etichetta e Emanuele a perfettamente ragione e invece quello che dice Alessandro e’ un po’ superficiale….. Bisogna che il consumatore finale e cioè tutti noi abbiano più informazione e non sarebbe sbagliato che la lista ingredienti sia più sincera senza la regola del 2%!!!! Bisogna scrivere!!!! Il sig Emanuele e’ molto attento e molto pronto complimenti!!!!
Luigi, io sarò superficiale, ma lei e il sig. Emanuele non avete colto il significato dell’articolo…mi spiace.
Citare la regola del 2% non è pertinente. Rilegga l’articolo.
Lo studio e’ americano. In Europa un claim come questo sull’ assenza di un colorante che comporterebbe diagnosi di ADHD non sarebbe possibile per cui penso stiamo parlando di una tempesta in un bicchiere d’acqua. Pensate se tutti i produttori che NON utilizzano il RED40 (la stragrande maggioranza?) se ne vantassero sulle confezioni e con questo tono allarmistico… Se vogliamo continuare il dibattito sulla dichiarazione di assenza di un ingrediente, un esempio piu’ calzante potrebbe essere “senza coloranti artificiali” oppure “senza emulsionanti” che viene adottata da qualche produttore, anche se altri pur non utilizzando questi additivi non ne fanno oggetto di comunicazione sulla confezione. Visto che questo tipo di informazione viene utilizzata da molti anni, credo che non venga considerata pubblicita’ ingannevole.