La coerenza necessita di volontà ma anche di strumenti. Chi ama gli animali, o semplicemente li rispetta, può essere coerente con le proprie azioni e con i propri sentimenti a patto però che sappia come farlo. Ad esempio, per gli animali d’affezione, molti sono gli strumenti, utili, disponibili e facilmente accessibili come gli ambulatori veterinari, professionisti del settore, siti web, riviste, libri, ecc. Attraverso questi strumenti, chiunque può documentarsi in modo soddisfacente per incidere personalmente con le proprie azioni. Ma quando parliamo di animali da reddito, allevati principalmente per il cibo che ci forniscono quale latte, uova, carne, e tutto ciò che li contiene, il tutto si riduce spesso alla firma di una qualche petizione.
I cittadini in realtà avrebbero, tutti i giorni, almeno tre occasioni per agire: colazione pranzo e cena. Alcuni ragionamenti stanno alla base di questa affermazione. Consumiamo troppi prodotti di origine animale e, in particolare, troppa carne. È universalmente riconosciuto che riducendone il consumo la nostra salute ne guadagnerebbe. Questa abitudine alimentare recente, dal dopoguerra ad oggi, ha la sua radice nel guadagno economico che questi alimenti producono lungo tutta la filiera.
L’obiettivo è sempre quello di massimizzare il profitto che deriva dall’allevamento degli animali, estremizzando le condizioni nelle quali crescono (densità, nutrizione, cure veterinarie, luce, temperatura, umidità, ecc.) per garantire una vasta produzione di carne a basso costo, da immettere sul mercato rapidamente. L’operazione è riuscita, la domanda è aumentata e sono aumentati così tanto gli animali allevati, da necessitare la creazione degli allevamenti intensivi per lungo tempo nascoste dentro capannoni chiusi e inaccessibili.
L’inquinamento degli allevamenti
Oggi si sa che gli animali vengono stipati in condizioni che le nostre coscienze e la ricerca scientifica ritengono essere benessere. Un concetto previsto per legge anche se fortemente indirizzato alla conservazione e alla tutela degli interessi economici. In provincia di Modena, la cui superficie totale, comprensiva di pianura, boschi, colline e montagne è di 2.689 km2, sono presenti, secondo la Banca Dati Nazionale, tra bovini, ovi-caprini, suini, avicoli, equidi, conigli, complessivamente 986.167 animali, il che significa che, se li liberassimo tutti, in provincia di Modena, ogni km2 dovrebbe ospitare 367 animali. Quello che si conosce meno è il potenziale di inquinamento di questi allevamenti. Considerando che l’aspettativa di vita dei modenesi è minore di 13 mesi a causa delle polveri sottili, di questi 2,5 sono imputabili agli allevamenti e all’agricoltura ad essi collegata (il 70% delle terre coltivate nella Regione è destinata all’alimentazione animale).

Ma gli allevamenti inquinano anche l’aria con produzione di gas climalteranti, tra cui metano e protossido di azoto, molto più pericolosi della CO2. Attraverso feci e urina immettono nel terreno, nell’aria e nelle acque, quantità eccessive di azoto dando luogo a fenomeni di eutrofizzazione delle acque superficiali e morte della flora e fauna di fiumi e laghi. Inquinano le acque potabili e di irrigazione delle colture con nitrati, potenziali cancerogeni.
Antibiotico-resistenza e malattie
Sono anche corresponsabili di un eccesso di utilizzo di antibiotici somministrati agli animali che per il 70% vengono poi espulsi con feci e urine favorendo il fenomeno dell’antibiotico-resistenza (Hashmi Muhammad Zaffar (ed.), 2020. Antibiotics and Antimicrobial Resistence Genes. Environmental Occurrence and Treatment Technologies. Springer.) I morti per antimicrobico-resistenza in Europa sono 33mila l’anno, di cui 11mila in Italia.
Poi ci sono le zoonosi, malattie che si trasmettono dall’animale all’uomo come la rabbia, la salmonellosi, la toxoplasmosi, solo per citare le più conosciute, atteso che il 70% delle malattie emergenti nel mondo è dovuto a zoonosi. Le probabilità di zoonosi e spillover crescono all’aumentare del numero di animali a stretto contatto con l’uomo e del tempo di contatto; più sono gli animali, più sono stipati in condizioni malsane e di fragilità, più aumenta il tempo della loro vicinanza all’uomo che li accudisce, più aumenta il rischio. Per finire, questi allevamenti non creano posti di lavoro, poche unità lavorative gestiscono migliaia di animali.
Un’etichetta ambientale per la carne
Colazione, pranzo e cena dunque. La normativa europea ha catalogato gli allevamenti in base al loro potere inquinante. Le categorie della direttiva europea combaciano per buona parte con le condizioni di allevamento. Gli allevamenti più inquinanti corrispondono, in buona parte, a quelli con le peggiori condizioni di vita degli animali. Se come cittadini potessimo sapere, all’atto dell’acquisto, con un’etichetta chiara, immediatamente comprensibile, da che categoria inquinante di allevamento, provengono i prodotti che acquistiamo potremmo tutelare benessere animale, ambiente, salute dell’uomo e lavoro.
Parleremo di questo e altro nel convegno che si terrà a Modena il 10 ottobre dal titolo: Etichettatura ambientale delle carni: una scelta consapevole per i consumatori e un’opportunità per l’ambiente
Eva Rigonat, Medico veterinario ISDE Modena
Daria Scarciglia, Avvocato ISDE Modena
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La corretta informazione dovrebbe essere alla base della scelta coinsapevole di noi consumatori ancor più quando si parla di consumo di carne. Che questa si scontri con gli interessi economici dell’industria alimentare è altresì abbastanza chiaro. Se in questa contrapposizione di obiettivi gli organi competenti riusciranno a fare prevalere l’interesse della collettività, sono certo che a trarne i benefici saranno anche le condizione di vita degli animali destinati alla macellazione.
Da quando ci sono gli allevamenti intensivi non mangio più carne e poco latte e formaggi, uova solo da allevamenti all’aperto. Se ci fosse una etichetta sicura e verificata potrei inserire nuovamente certi prodotti. Gli animali non sono macchine al nostro servizio!!!
Quando lo faranno ? Perché per l’avicolo il sistema di allevamento è già chiaro da anni per broiler ed ovaiole ?
La prima cosa da fare è educare il consumatore, dopo di che tutto avverrà naturalmente perché i consumi saranno guidati da scelte consapevoli.
Ma non c’è interesse ad educare il consumatore.
L’educazione Alimentare, quella Civica e quella dell’attività Fisica devono essere la base dell’Educazione scolastica e da che poi arriverà agli adulti.
È una proposta
È vero ciò che è scritto,ho partecipato ad una riunione sulla problematica degli allevamenti intensivi,in un circolo culturale in cui c’erano molte persone molto esperte sulla tematica, quando si è approfondito il discorso Emilia Romagna mi ricordo degli allevatori si sono sentiti offesi erano da Modena, sebbene era già avvenuta l’alluvione, e molti allevamenti erano stati distrutti,sostenendo che erano in conformità alle norme di sicurezza, non venivamo usati antibiotici e se lo venivano era per la sicurezza della salute del consumatore, poi si sono alzati e se ne sono andati, irritati dalle domande poste, vado a Carpi e tutta l’acqua non è potabile era il ’23 alla mia domanda di come facevano a pulire l’insalata e lavarsi mi è stato risposto che in qualche maniera ci si arrangia, è tutto in bottiglia di plastica, o vetro, ma è sempre e solo acqua minerale,la conseguenza di ciò che sono gli allevamenti intensivi e la loro pericosità per l’ambiente e per chi ci vive,e il problema non riguarda solo l’Emilia Romagna ma riguarda tutte le regioni che hanno allevamenti intensivi e usano gli animali in gabbie o i polli broiler, mucche malate di mastite,e molte altre patologie, immesse nella grande distribuzione,poi vengono i richiami per contaminazione sempre tardivi.
È il minimo si possa fare!!!