twitter

fake news businessman smartphoneLa disinformazione corre veloce sui social media, e spesso è portata avanti da soggetti che hanno interessi specifici. Accade in ogni ambito: anche in quello dell’alimentazione e, in particolare, dei messaggi relativi alla dieta che tutti dovrebbero adottare per ammalarsi di meno e, contemporaneamente, essere più sostenibili. In una delle prime analisi condotte sull’argomento, lo Stockholm Resilience Center ha verificato che cosa è successo su Twitter dopo la pubblicazione, nei primi giorni di gennaio del 2019, dei risultati della commissione EAT, pubblicati su Lancet e poi ripresi dai media di tutto il mondo, il cui messaggio più forte era quello sulla necessità di ridurre drasticamente il consumo di carne e latte.

I ricercatori svedesi, nell’articolo – pubblicato anch’esso su Lancet, fatto piuttosto inconsueto per un’analisi di questo genere – hanno raccontato che, nei giorni immediatamente precedenti il lancio dei risultati della EAT Commission, si è notato un aumento significativo dell’hashtag #yes2meat, e che nei giorni successivi si è verificato il temuto sorpasso dei tweet contrari su quelli favorevoli: nei mesi seguenti, i tweet che riprendevano i principali risultati di EAT, provenienti da accademici e ricercatori di tutto il mondo, sono stati 25 milioni, mentre quelli che attaccavano i risultati della commissione, di solito con argomentazioni false e talvolta chiaramente diffamatorie, 26 milioni. E non si è trattato di bot, cioè di utilizzatori virtuali finti creati ad hoc, ma di soggetti identificabili e residenti in Europa, Australia, Stati Uniti e Regno Unito; il cloud e le curve riportati nel lavoro rappresentano molto bene la situazione.

L’effetto alla lunga è stato amplificato per i sostenitori della carne, perché una parte di coloro che inizialmente erano stati definiti ‘indecisi’ ha ritwittato sei volte più spesso i messaggi pro-carne rispetto a quanto hanno condiviso i tweet dei sostenitori del rapporto EAT-Lancet, contribuendo, con tutta probabilità, a ingrossare le fila degli scettici.

Anche in questo caso, emerge con forza la questione della selezione dei messaggi che, secondo gli autori, quando si tratta di salute dovrebbe in qualche modo essere attuata a monte. Al tempo stesso, però, anche i ricercatori dovrebbero imparare a usare al meglio questi mezzi, per essere efficaci e contrastare la disinformazione con la stessa forza con la quale esse vengono diffuse.

© Riproduzione riservata

[sostieni]

0 0 voti
Vota
2 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Mauro
Mauro
24 Dicembre 2019 11:18

La demonizzazione di un comportamento ha di solito l’effetto contrario a quello desiderato, specialmemte se portata avanti con argomenti speciosi.

Vengano date senza allarmismi le giuste informazioni scientificamente corrette, e poi ciascuno decida cosa preferisce mangiare senza creare inutili polemiche.

Mauro

gianni
gianni
6 Gennaio 2020 21:21

Ci dovrebbe essere una disamina di questi report da parte di enti o gruppi di altri esperti/ricercatori/scienziati pari grado a livello nazionale e/o comunitario , esaminando i dati e i ragionamenti riportati e valutando come e perchè accettarli o rifiutarli in tutto o in parte. Vedremo se interessa a qualcuno , primo passo per portare a qualche eventuale cambiamento.
Affidare il giudizio di un costrutto importante al numero di piace/non piace a me sembra veramente ridicolo e superficiale considerando tra l’altro il ruolo opaco e manovrato da ignoti di questi enti social. Di moda ma i problemi della realtà non si risolvono con i like.
I dibattiti supportati da pareri e numeri comprensibili di esperti possono chiarirmi le idee e farmi capire, perchè questo è lo scopo di ogni discussione.