Seguo sempre le informazioni che mettete sul vostro sito, che trovo molto interessante e benfatto, soprattutto quando si affronta la correttezza delle etichette che vi segnalano i lettori.
Sono una commissaria mensa di una scuola primaria, e mi incuriosisce un’etichetta che trovo regolarmente sul pane (vi allego foto) e mi chiedo: è giusto scrivere “prodotto messo in vendita il …”? A me non sembra un’etichetta corretta, potreste aiutarmi a capire?
Patrisha
Abbiamo chiesto un parere all’avvocato Dario Dongo esperto di diritto alimentare
Il suo dubbio, più che legittimo, corrisponde una delle violazioni più diffuse delle norme stabilite sull’informazione al consumatore relativa agli alimenti.
Come da Lei correttamente annotato, la notizia sulla data di “messa in vendita” – o di “preincarto”, che ancora purtroppo si vede in parecchi supermercati – è priva di alcun significato per il consumatore finale. Il quale invece ha diritto di conoscere:
– entro quale data è possibile consumare il prodotto (se del caso, anche dopo l’apertura dell’incarto), in condizioni di sicurezza e mantenimento delle proprietà organolettiche a esso proprie, “secondo l’uso previsto”,
– le modalità di conservazione dell’alimento, atte a garantirne il consumo sicuro e gradevole, in linea con le aspettative.
Il regolamento UE 1169/11 (vedi eBook L’Etichetta), ha confermato l’obbligo di citare il cosiddetto “termine minimo di conservazione” (“da consumare preferibilmente entro…”) – o in alternativa, per i cibi rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico, la data di scadenza (“da consumare entro…”) – sulle etichette di tutti gli alimenti preimballati.
Le suddette informazioni sono da ritenersi obbligatorie altresì sui prodotti “preincartati”, sebbene rispetto ad essi il legislatore europeo abbia ceduto il passo alla legislazione nazionale concorrente (1). Viceversa, il reg. (EU) n. 1169/11 non prevede la possibilità di indicare la data di immissione in commercio o di preincarto del prodotto. Ed è perciò dubbia la sua legittimità (oltre al significato, come si è condiviso).
(1) Il citato regolamento infatti vieta al distributore di modificare o sottrarre le informazioni ricevute dal proprio fornitore, quando ciò possa indurre in confusione o comunque ridurre il livello di tutela del consumatore (reg. UE 1169/11, articolo 8, comma 4). Da ciò deriva il divieto di omettere notizie essenziali dall’incarto, come appunto i termini e le modalità di conservazione dell’alimento.
© Riproduzione riservata
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal): clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264
indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare
Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Buonasera, sono un consulente in legislazione alimentare, ex ispettore del NAS.
Permettetemi di esprimere tutto il mio apprezzamento per il vostro pregiatissimo Sito e tutta la mia stima per l’Avvocato Dongo, di cui ammiro competenza ed esperienza.
Nel caso in questione però ritengo non del tutto esatta la riposta fornita e spiego il perché.
L’informazione relativa alla data di messa in vendita o di preincarto, non essendo tra quelle obbligatorie previste dal Reg. UE 1169 rientra, di conseguenza, tra quelle facoltative. Al riguardo il citato Regolamento all’art. 37 prevede che “le informazioni volontarie sugli alimenti non possono occupare lo spazio disponibile per le informazioni obbligatorie degli alimenti”.
Pertanto purché siano presenti le indicazioni obbligatorie correttamente citate dall’Avvocato Dongo e qualora l’informazione sulla data di preincarto non induca in errore il consumatore (da valutare caso per caso), non mi sembra che l’indicazione in questione violi la normativa vigente.
Dott. Saverio Voliani
Patrocinatore legale
Consulente in legislazione alimentare e sanitaria.
Buongiorno,
leggo sempre con molto interesse il Vs. sito ricco di spunti e notizie interessanti. Sono un veterinario che si occupa di sicurezza alimentare e vedo riproposto ormai da moltissimi anni il dibattito sui preincarti. Il problema è che non si tratta di confezioni ma di un pacchetto preparato per il cliente “in anticipo”. La mia è una domanda: perchè il pacchetto preparato all’istante non è etichettato (pensiamo alle due fettine dal macellaio) mentre quello preparato in anticipo deve rispondere ai requisiti del 1169? grazie e cordiali saluti, giancarlo nervi
Scrivo questo insieme di pensieri a seguito dell’articolo e del commento precedente, ma non mi riferisco alle persone, ma a tutto un sistema che vede nella legalità il “bene assoluto”.
Non riesco a non pensare invece che la legge a cui ormai siamo obbligati/abituati ad ottemperare, non tiene assolutamente conto delle particolarità, creando anche danno sociale ed economico. Il fatto di essere non conforme alla legge, non vuol dire che l’atteggiamento sia di disonestà, ed anche il fatto di essere al di fuori della legge, non significa che si stia compiendo un crimine. Spesso è la legge, scritta da gente relativamente competente con competenza limitata dalla conoscenza dell’epoca o dalla corrente di pensiero, ad essere contraria al “bene”.
Un tipico esempio è dato dai formaggi tradizionali portati all’inesistenza (il bassissimo livello di stagionatura ad esempio li rende totalmente anonimi – mi riallaccio qui alla questione delle date di scadenza -), all’estinzione o sul suo orlo dalle ASSL/USSL/leggi vigenti: da quelli – per esagerare – sardi con i vermi, ai molti stagionati e stagionatissimi, che sono, per i regolamenti vigenti assolutamente non commerciabili in quanto contengono ad esempio Escherichia colii.
Ecco un caso a proposito delle correnti di pensiero: una corrente di pensiero (quella prevalente ed ufficiale) dice che se c’è escherichia non é commestibile, tout curt. L’altra corrente di pensiero (non ammissibile in un mondo deterministico e riduzionista come il nostro – si veda Wikipedia per il termine “riduzionismo” -) dice che se l’escherichia è immersa in un bioma di competitori, non può nuocere (ma può svolgere i suoi ignoti compiti per il nostro organismo quando limitata a pochi esemplari) e quindi l’organismo la può tranquillamente ingerire (si veda un mio post sul mio blog in merito). L’elevata stagionatura dei formaggi è stata fatta per secoli, prima di oggi, prima cioè che una consistente massa di ignoranti della vita/realtà si siano laureati in discipline di cui hanno avuto una comprensione solo parziale – una ristretta area della realtà, in ottemperanza al riduzionismo determinista da cui siamo affetti nel nostro pensiero scientifico e sociale – e siano andati ad occupare posti in cui potevano prendere decisioni su cose che non comprendevano appieno: se volessi usare un’espressione aulica direi che nell’atto e nel pensiero di qualcuno che comincia a malapena a balbettare le prime sillabe di un linguaggio c’è subito il suo primo tentativo di correggere l’opera del dio!
Se vogliamo un altro esempio, per la legge anche gli olivi secolari della Puglia affetti da quel batterio, devono essere abbattuti; gli animali coinvolti in un focolare di aviaria pure. Tutte queste azioni che sembrano sagge al legislatore sono viste in un ottica miope del “cosa mi serve qui ed ora” ma sono ad esempio contrarie alla evoluzione della specie – che tutti studiamo in via teorica ma che nessuno considera reale/operativa né in politica né in sanità -, alla possibilità di lasciare selezionare animali che non si infettino di aviaria o che gli olivi – che sono sopravvissuti per secoli a svariati attacchi – mettano in atto le loro lente strategie di sopravvivenza, prima che la mano di un legislatore zelante (e per il mio modo di vedere le cose, anche imbecille) li tagli.
Dov’è il discrimine tra legalità e saggezza/giustizia? Sicuramente non è un fatto oggettivo, ma spesso purtroppo non è nemmeno una questione soggettiva, ma piuttosto di arroganza: il fatto di “potere” mettere in atto una propria volontà trasforma ogni errore in legge mentre tutte le conseguenze di tale atto sono lasciate come onere ad altri (si veda il caso degli olivi e degli allevamenti distrutti dalle leggi per l’aviaria): qui sta l’arroganza.
Grazie per lo spunto!
Buongiorno, scusate la mia ignoranza ma se il prodotto è un pane fresco che per sua natura deve essere consumato entro 1 giorno dalla produzione non può essere ragionevole indicare quando è prodotto?
Grazie