Nutri-Score E sulla confezione di un prodotto

Secondo la maggior parte dei ricercatori del settore, degli esperti di salute pubblica, delle società scientifiche, dei comitati dedicati e delle autorità di salute pubblica il Nutri-Score è basato su evidenze scientifiche solide, che riguardano sia la sua elaborazione sia la sua efficacia. Per questo dovrebbe essere reso obbligatorio in Europa, al fine di rendere i consumatori più consapevoli e far diminuire l’incidenza delle malattie non trasmissibili, che rappresentano l’80% della mortalità e sono associate, in misura più o meno significativa, all’alimentazione. Accanto a questa opinione, c’è poi quella di una chiassosa minoranza, cui appartengono i produttori e alcuni settori dell’agricoltura e dell’allevamento, decisi a tenere in vita un modello alimentare spesso indifendibile, basato in gran parte su alimenti ultra-trasformati, costi quello che costi. Il loro argomento principale è spesso l’insufficienza delle prove scientifiche a supporto del Nutri-Score. Ma è proprio così?

Per verificarlo, tre ricercatori hanno analizzato tutta la letteratura pubblicata sul tema dal 2013, anno delle prime ricerche sul sistema Nutri-Score, al settembre 2022, e cioè 149 studi: 15 riguardavano singoli alimenti, mentre gli altri 134 investigavano l’efficacia dell’etichetta, divisi tra 110 ricerche originali e 24 review generali. Come hanno poi riportato sul British Medical Journal Global Health, solo 23 dei 134 studi giungevano a una conclusione sfavorevole, per lo più indicando una scarsa efficacia o comunque un effetto non statisticamente significativo sulla percezione della qualità del prodotto, sulle scelte e così via. Di contro, 111, pari all’83% delle ricerche, promuoveva a pieni voti il Nutri-Score o la sua prima versione detta etichetta 5C (da 5 colori). Ma è andando a verificare i conflitti di interesse che questi dati, di per sé già molto interessanti, hanno mostrato i rischi insiti nei condizionamenti impropri delle aziende o delle lobby. Infatti, tra gli studi che giungevano a conclusioni positive, solo due, pari all’1,8% del totale, erano firmati anche da autori che dichiaravano di aver ricevuto qualche sostegno economico da aziende, mentre tra gli altri 23, ben nove, pari al 39,1% del totale, avevano autori sostenuti da privati. Inoltre, di questi ultimi, ben sei erano review narrative, nelle quali si seminavano dubbi, quasi sempre senza dimostrazioni reali, sull’algoritmo che genera il Nutri-Score oppure sulla sua efficacia o, ancora, si mettevano in discussione risultati positivi ottenuti da altri ricercatori. In altre parole, la probabilità che uno studio giunga a conclusioni negative si è rivelata essere 21 volte più alta se tra chi finanzia la ricerca ci sono aziende o specifiche lobby. 

Nutri-Score da A ad E su diverse confezioni di pizza surgelata sovrapposte in scala
Dei 111 articoli a favore del Nutri-Score, meno del 2% dichiara finanziamenti industriali, contro il 39% dei 24 articoli contrari

Andando poi a vedere chi erano gli sponsor di questi autori, i ricercatori hanno trovato tre sponsor principali: la Dutch Dairy Association, olandese, e le italiane Federalimentare e Italian Nutrition Foundation, finanziata da 18 produttori italiani, tutti in prima linea nel cercare di impedire con ogni mezzo l’introduzione del Nutri-Score in Europa. L’Italia, quindi, non ne esce bene e questi dati spiegano molto chiaramente chi ci sia dietro la guerra all’etichetta che il nostro Paese sta conducendo con tanta veemenza. Non ci si deve sorprendere: l’influenza dei produttori ha sempre questo effetto, come è stato dimostrato più volte (per esempio nell’ambito delle ricerche sui legami tra bevande zuccherate, obesità e diabete), ed è confermato ogni volta che si va a verificare. Per esempio, nel 2018, un’indagine molto accurata su dieci tra le principali riviste scientifiche del settore ha rivelato che il 55% degli studi finanziati dall’industria, guarda caso, giungeva a conclusioni positive per i prodotti delle stesse aziende, contro il 9,7% degli studi privi di sponsorizzazione o i cui autori non erano stati sostenuti economicamente dai produttori.

Le conclusioni vanno in diverse direzioni. Da una parte, chi è chiamato a prendere decisioni e a formulare leggi e obblighi, deve prestare molta attenzione a chi ha finanziato gli studi su cui si basano le scelte. Dall’altra, i governi e le istituzioni sovranazionali come quelle europee devono finanziare studi indipendenti e coinvolgere di più l’opinione pubblica nelle discussioni sui risultati e sulle conseguenze. Infine, le riviste scientifiche devono fare tutto il possibile per evitare i conflitti di interesse e per rendere evidenti e trasparenti tutte le fonti di finanziamento di chi chiede di pubblicare un articolo.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

4.8 6 voti
Vota
6 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
gianni
gianni
29 Maggio 2023 20:49

A parte l’assenza di conflitti di interesse ” dichiarati ” per par condicio chi ha finanziato gli studi favorevoli…….giusto per essere informati.

Antonio Pratesi
Antonio Pratesi
Reply to  gianni
6 Giugno 2023 15:34

“Fondi pubblici”, fondi governativi. E’ interessante leggere il libro di S. Hercberg in cui racconta anche chi ha finanziato gli studi condotti dal suo gruppo di ricerca.

https://ilfattoalimentare.it/mangia-e-taci-libro-serge-hercberg-nutri-score.html

Antonio De Canio
Antonio De Canio
31 Maggio 2023 11:32

Articolo preciso e narrativo dell’argomento trattato. Una riflessione : sarebbe opportuno ,per una trasparenza veramente ottimale nei confronti dei consumatori, che il Nutri-score vada ad analizzare tutti i prodotti a semaforo per verificare se l’etichetta che loro giudicano combaci effettivamente con il contenuto. Solo così si vanno a smascherare le truffe ,che,purtroppo vengono sistematicamente fatte dalle aziende.
Oggi il settore alimenti viene continuamente truccato , es. additivi ed addensanti che hanno l’unico scopo di falsare ,e non di poco,le etichette. Altrimenti si da un giudizio completamente falsato anche da parte del Nutri-score.
Cordiali saluti e buon lavoro.
P.S. vi seguo sempre con interesse.
Antonio De Canio.

gianni
gianni
7 Giugno 2023 20:59

——-“Directive” approaches tend to show a “wear out effect” and, in addition, they suffer from various underlying conceptual problems.

Articolo su agricolae.eu, non sono abbonato e riesco a leggere solo il titolo, peraltro abbastanza significativo……
Inchieste 11/10/2022 21:04
Nutriscore, Claire Bury (Dg Sante): Commissione Ue non lo proporrà, stiamo valutando altri schemi etichetta. Non possiamo polarizzare il dibattito.

Ovunque, italiano, inglese o francese si parla di diete intese come insieme qualitativo e quantitativo di cibi diversi, e non di singoli cibi.
Quindi sarà quel che sarà ma in risposta alla sfiducia sul consiglio di istruire meglio le persone, Ballarini dixit, non si tratta di ritagliare un’oretta settimanale tra un social e qulcosaltro………se siete attenti alle implicazioni del pieno soddisfacimento di uno dei fondamentali bisogni primari è essenziale un cambio di paradigma e un lavoro attento. meticoloso e costante nel tempo, persone istruite e non eterodirette.
E “tutti” gli algoritmi, soprattutto in biologia, sono incompleti e vagamente fuorvianti, è un fatto accertato.

Rossella
Rossella
26 Giugno 2023 11:03

Mi piacerebbe leggere un articolo che entri nel dettaglio della dose su cui si basano i due sistemi: se è vero che per il nutriscore è 100 g, il semaforo è di maggior impatto visivo, ma il riferimento a 100g non è a mio giudizio corretto. a me piacerebbe un nutriscore “corretto”.

Giulia Crepaldi
Reply to  Rossella
26 Giugno 2023 11:50

Il team di ricercatori che ha elaborato il Nutri-Score ha spiegato molte volte perché il sistema è basato su 100 g e non sulla porzione di consumo (e na abbiamo parlato in molti articoli anche noi). Le ragioni sono molteplici: non esiste una porzione standard condivisa e ogni produttore indica la propria; rispettare la porzione indicata è complicato quando non si ha a disposizione una bilancia (a meno che non corrisponda a un ‘pezzo’); anche se la porzione standard esistesse non sarebbe corretto utilizzarla perché la porzione di consumo ideale è diversa per ciascun individuo, a seconda delle sue esigenze nutrizionali e del suo stile di vita. 
Il riferimento standard dei 100 grammi, che deriva dalla tabelle nutrizionali presenti sul retro delle confezioni, consente di confrontare prodotti tra loro prodotti che hanno la stessa occasione di consumo, ma che sono diversi (ad esempio, cereali da colazione vs croissant vs biscotti).
https://ilfattoalimentare.it/nutri-score-scheda-100-grammi-porzione.html