
Smettiamo di essere consumatori, e torniamo a definirci cittadini e cittadine. È l’invito che ci rivolge Fabio Ciconte in Il cibo è politica (Einaudi), in cui l’autore, cofondatore dell’associazione ambientalista Terra! e presidente del Consiglio del cibo di Roma, ci ricorda che come cittadini possiamo ottenere quello che non riusciamo a fare con i nostri consumi individuali, per quanto attenti.
Essere consumatori consapevoli non basta più
Per anni, scrive Ciconte, siamo stati convinti che essere consumatori consapevoli fosse sufficiente. Ma non è così, “intanto perché dobbiamo fare i conti col tempo che è sempre meno, e con i prezzi sempre più alti, – ricorda. – E non ha senso dire che basta spendere ‘un pochino di più’ per comprare alimenti più sani, perché c’è chi non se lo può permettere”.
La risposta è rimettere al centro la politica: occuparci delle responsabilità a monte della filiera, e chiederci cosa fare per ottenere un impegno della società, delle istituzioni, senza il quale il pur meritorio impegno personale è destinato a dare pochi risultati. “In passato la scelta individuale andava di pari passo con un movimento politico attento a questi temi, ma oggi le piazze si sono svuotate – osserva l’autore. – In questo modo l’impegno individuale non incide come dovrebbe: ma non è colpa nostra se gli stipendi sono rimasti fermi a trenta anni fa, e se non abbiamo tempo da dedicare alla spesa e alla preparazione del cibo, come sarebbe giusto”.
Senza contare che le aziende hanno intercettato le esigenze dei consumatori e praticano ampiamente il greenwashing, presentandosi come paladine della sensibilità ambientali senza un motivo valido: “un’indagine realizzata nel 2021 mostra che la metà delle affermazioni ecologiche nei siti delle aziende sono esagerate o decisamente false”, sottolinea Ciconte, citando come esempio McDonald’s che promuove Giornate per l’ambiente dedicate alla raccolta dei rifiuti abbandonati in giro, e in gran parte prodotti proprio da questa e altre catene di fast food.
Il giusto prezzo del cibo
Un tema centrale del saggio è il prezzo del cibo, uno degli elementi su cui si gioca la criticità del settore. L’autore descrive le esternalità negative, “ossia gli oneri che ricadono sulla collettività in termini di costi ambientali e sanitari”. Costi che il prezzo al consumo degli alimenti – per alcuni è comunque troppo alto – non copre. È vero che i prezzi di ciò che mangiamo dovrebbero essere ancora più alti, ma soprattutto dovrebbero essere suddivisi in altro modo: secondo i dati Ismea citati da Ciconte, su 100 € di spesa fatta al supermercato all’agricoltura vanno 7 € se si parla di cibo fresco, e solo 1,5 € negli altri casi. Uno squilibrio che sta alla base dello sfruttamento del lavoro agricolo e del fenomeno del caporalato, su cui Terra! è impegnata da anni, come abbiamo anche riferito in un articolo recente.
Il ruolo dei supermercati
Proprio i supermercati sono una delle storture del mercato evidenziate dall’autore: in Italia sono 25mila e facciamo lì l’80% dei nostri acquisti alimentari. Un meccanismo che punta ad accontentare tutti appiattendo gusti e culture, ma al tempo stessi regala alla GDO uno strapotere che gli consente di imporre i propri prezzi a danno degli agricoltori. Anche se, proprio grazie all’impegno delle associazioni ambientaliste tra cui Terra!, sono state vietate le aste al doppio ribasso, quelle cioè in cui a una prima asta in cui si definisce il prezzo del prodotto ne segue un’altra al ribasso che parte dal prezzo più basso tra quelli proposti in precedenza, finendo col costringere i produttori a vendere in perdita.
Senza dimenticare che i criteri imposti dalla GDO sono anche alla base degli sprechi dovuti al fatto che molti prodotti che non soddisfano i canoni estetici per la commercializzazione restano a marcire nei campi, “un fenomeno che, accanto all’induzione a consumi sempre maggiori, favorita dalle offerte proposte dai supermercati, pesa sullo spreco alimentare assai più degli sprechi casalinghi”.

Mangiamo troppa carne
Un altro tema che, secondo Ciconte, mette in evidenza il difficile equilibrio tra consumi individuali e scelte collettive è la produzione di carne: ne mangiamo un’infinità, 350 milioni di tonnellate l’anno. Non tutti allo stesso modo, “ma i consumi mondiali sono destinati ad aumentare, – ricorda l’autore, – perché consumare carne è visto come indice di ricchezza e benessere”. E il problema si pone anche da noi: “è bene che nelle mense scolastiche si propongano pasti vegetariani, – ricorda l’autore che si occupa, tra l’altro delle mense scolastiche del comune di Roma – ma è anche vero che per molti bambini quello in mensa è l’unico pasto completo della giornata”.
Il che non esclude che il consumo di carne andrebbe ridotto davvero, perché oggi, “il 70% della terra coltivabile è usata per produrre mangime per animali che contribuiscono al 20% delle proteine che ingeriamo”, senza considerare l’impatto degli allevamenti sull’ambiente. La soluzione sarebbe produrre meno carne trasformando il settore a partire dagli allevamenti intensivi – ma per far questo bisogna cambiare le politiche, quelle nazionali e quelle internazionali”, osserva Ciconte. Ricordando che Terra! insieme con altre associazioni ambientaliste ha proposto una moratoria agli allevamenti intensivi, un’iniziativa che nel 2024 è diventata una proposta di legge trasversale.
Come garantire cibo più equo e sotenibile?
Il cibo è politica dunque non è un invito a non impegnarsi: “È giusto consumare in modo consapevole, – sottolinea Ciconte, – ma bisogna tenere conto di tutte le responsabilità”. E in chiusura il saggio elenca gli interventi strutturali più urgenti: “Ci sono ancora milioni di persone in condizioni di indigenza che non riescono a mangiare come dovrebbero: quella per il salario e il reddito minimo è una battaglia ecologista”, ricorda l’autore.
Così come lo è garantire prezzi che remunerino adeguatamente tutta la filiera, e accompagnare gli agricoltori verso una vera transizione ecologica, anche cambiando i meccanismi di erogazione dei finanziamenti della PAC che premiamo le aziende più grandi e meno sostenibili. E poi, prosegue Ciconte, tutelare la biodiversità arginando i ‘prodotti club’, le nuove varietà di frutta di cui le grandi aziende sementiere e vivaistiche detengono la proprietà, e riportare sul mercato i prodotti imperfetti e meno belli anche riscrivendo le norme europee in materia. Ma il quadro non è tutto negativo: “c’è una generazione di agricoltori e di contadini, molti giovani e molte donne che in questi anni hanno provato a costruire un immaginario nuovo dell’agricoltura, – ricorda Ciconte, – un modo diverso di produrre il cibo si può immaginare”.
Il cibo è politica. Fabio Ciconte, Einaudi Editore, 2025, 144 pagine, 13 euro.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Einaudi, AdobeStock
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