Quella dell’alimentazione è una questione che porta con sé un grande paradosso: se da una parte è oramai certezza il binomio cibo-salute, dall’altra sempre più persone mangiano cibi ultra processati. Riccardo Fargione, economista e direttore della Fondazione Aletheia (think thank collegato a Coldiretti), e Stefania Ruggeri, ricercatrice del CREA – Alimenti e Nutrizione, nel loro Cibi falsi, edito da Newton Compton, partono da questa contraddizione per puntare il dito contro quelle multinazionali che traggono profitto formulando prodotti così lontani dall’idea antica e naturale di cibo da poter essere definiti artificiali.
Cosa sono gli ultra processati
Ma come fare a riconoscere gli alimenti da evitare? Nel libro di Fargione e Ruggeri si suggerisce il modello di classificazione detto NOVA che prevede una suddivisione in quattro categorie. La prima comprende i prodotti naturali, non processati o minimamente processati; la seconda include gli ingredienti culinari trasformati per prolungarne il consumo, come olio, burro, zucchero; il terzo gruppo annovera gli alimenti processati unendo alimenti del primo e del secondo gruppo, come pane, marmellate, sughi pronti; infine l’ultima categoria abbraccia gli alimenti ultra processati (che gli autori chiamano “ultraformulati”), cioè tutti quelli che utilizzano un numero più ampio di ingredienti tra cui additivi chimici, grassi idrogenati e altre sostante che normalmente non si trovano nelle nostre cucine.
Sebbene solo il 31,4% degli acquirenti guarda con frequenza l’etichetta, leggerla ci può essere d’aiuto per orientarci nelle scelte alimentari: se la maggior parte degli ingredienti non si trovano nella nostra dispensa e non li conosciamo, molto probabilmente abbiamo a che fare con un prodotto ultra processato. La lista degli ingredienti acquista ancora più importanza a fronte di un marketing feroce che usa claim salutistici per prodotti frutto di numerose lavorazioni industriali. Consapevoli di quello che ci propongono di mettere nel carrello, le industrie alimentari presentano i loro cibi con parole come ‘funzionali’, ‘arricchiti’, ‘senza”’ espedienti che mirano a confondere l’acquirente.
L’effetto cocktail
Oltre alla fallace associazione light-salutare, in Cibi falsi si viene anche messi in guardia rispetto al cosiddetto “effetto cocktail”. Esistono infatti oltre 4 mila sostanze impiegate per la trasformazione del cibo, ognuna delle quali risulta sicura per le autorità predisposte alla sicurezza alimentare. Negli studi sulla tossicità, non vengono però considerati gli effetti di un loro consumo simultaneo e reiterato, sebbene esistano delle ricerche che stimano che ogni anno inconsapevolmente ingeriamo circa 5 kg di additivi alimentari, assimilati giorno dopo giorno.
La nuova frontiera degli ultra processati
Tra i prodotti che erroneamente tendiamo a pensare salutari ci sono anche quelli a base vegetale. Rispetto ai cosiddetti plant-based, Fargione e Ruggeri spiegano come, per imitare l’aspetto, la consistenza e il gusto della carne, siano necessarie numerose trasformazioni e l’aggiunta di decine di ingredienti spesso non naturali. Oltre alla non salubrità di questi cibi, gli autori sottolineano un ulteriore limite: la scelta di evocare prodotti di origine animale oltre a provocare una sorta di disorientamento nel consumatore sembra non determinare una reale contrazione nel consumo di carne tradizionale, ma piuttosto l’introduzione nel mercato di un nuovo alimento ultra processato. E citando le stesse parole del libro “dai cibi ultraformulati a quelli di laboratorio il passo è breve”.

Tra le ‘invenzioni’ dell’industria alimentare messe sotto accusa in Cibi falsi c’è la carne prodotta in laboratorio. Il progressivo cambio di abitudini alimentari di Paesi che tradizionalmente consumavano soprattutto cibi vegetali – Cina e India su tutti – sta determinando una crescita della richiesta di carne e un conseguente interesse da parte di multinazionali verso la carne a base cellulare. Dopo aver illustrato il processo di produzione di questo ‘new food’, viene spiegato la scarsa qualità del prodotto da un punto di vista di valore nutritivo e vengono messi anche in discussione eventuali rischi per la salute.
Il cibo non è solo cibo
Questi sono solo alcuni aspetti affrontati in Cibi falsi, un libro che ha il merito di esporre in maniera chiara e immediata le implicazioni che accompagnano gli alimenti che mangiamo quotidianamente. Oggi il cibo è diventato qualcosa di diverso da quello che realmente è: non più – o forse non solo – prodotto della terra destinato a nutrirci, ma merce che subisce innumerevoli trasformazioni prima di arrivare sugli scaffali dei supermercati, merce che rispecchia le disuguaglianze sociali ed economiche fino a rappresentare una vera e propria arma di guerra. Stefania Ruggeri e Riccardo Fargione fanno esattamente questo: ci spiegano in che modo il cibo non è solo cibo.
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Trovo che la descrizione del libro evidenzi una scelta di parte netta, quella del Coldiretti, contraria a tante innovazioni, modifiche e cambiamenti nell’alimentazione. Sposare in modo acritico il sistema NOVA, che pure ha una sua ragione di essere e il primo a definire gli alimenti sulla base della loro elaborazione, mi sembra eccessivo. Nel mondo della dietologia è della nutrizione in generale si sta ragionando su ultraprocessati di base e ultraprocessati spinti: i primi (prodotti secchi da forno in primis) tutto sommato corretti e non demonizzabili; i secondi (snack e anche alcuni – non tutti – meat sound) da prendere con le dovute attenzioni. Gli additivi consentiti, poi, proprio perché valutati da commissioni europee (EFSA e non solo) e consentiti, non sono poi il veleno, come sembra suggerito. Quanto alla carne sintetica (non ho letto il libro e mi bado su quanto riportato), dire che è carente di nutrienti mi sembra arbitrario al momento. Questa recensione mi sembra in linea con gli autori, ma non con la linea editoriale sin qui seguita da Il Fatto Alimentare.
Grazie, estremamente interessante, attuale e necessario. Scritto da ricercatori del Crea sarà senza dubbio aderente a una visione tecnica e scientifica che ne garantisce l’imparzialità.
Nel merito, ora. Trovo questo aspetto particolarmente importante: “Negli studi sulla tossicità, non vengono però considerati gli effetti di un loro consumo simultaneo e reiterato, …”. È un problema serio, analogo a quello che abbiamo sempre sostenuto per i pesticidi e i fitofarmaci. Non si può parlare di sicurezza, di rispetto della soglia, quando non si consideri l’effetto tossico sinergico che le varie sostanze usate – pur nei limiti che ognuna di esse ha per la sicurezza – hanno sulla salute (nostra e dell’ambiente). Che m’importa se le fragole sono entro i limiti ma ha 13 sostanze chimiche?
Se ne possono dire tante sulla carne coltivata o carne da colture cellulari, ma il solo fatto di chiamarla “sintetica” e dire che verrà prodotta in laboratori mostra un atteggiamento fazioso, denigratorio. Sono stupito che il Fatto Alimentare, che io stimo, pubblichi una “recensione” così acritica su questo libro.
La nostra posizione non rispecchia necessariamente il contenuto del libro
Le vostre indagini sono molto interessanti, sono le uniche sul mercato che dicono la verità.
Da quello che ho capito quando si parla di cibi processati (o ultra processati) si può parlare in maniera teorica di cibi sottoposti a trattamenti di tipo chimico che ne modifichino le caratteristiche originali (come mettere del sale per rendere salato e piu appetibile il cibo).
Ma tra questi cibi secondo voi possiamo far rientrare, usando un orizzonte più ampio nell’accezione del termine , anche quelli “semplici naturali”, ma che nella loro formazione possono subire processi tra virgolette “chimici” (alcuni anche con il rischio che qualcuno possa risultare borderline per la salute se non rispettati certi canoni ) di modificazione per produrre senza rischi igienici e in quantità maggiori (e a volte massimissare il guadagno) , tipo, per esempio, prodotti derivanti da cicli produttivi in cui vi sia un uso massivo di additivi medicinali tipo antibiotici che si trasferiscono in essi, o prodotti sottoposti all’uso massivo di prodotti per proteggere (antiparassitari) e conservare per magari lunghi viaggi per l’esportazione ?
Perché come in passato la cronaca ci ha mostrato con casi come, per esempio, la mucca pazza anche questi per un uso spregiudicato di prodotti che ne hanno processato l’evoluzione naturale i problemi ci sono stati per la salute e non mi ricordo che li si fece passare o li si fece rientrare nella definizione di cibi processati.
Si può applicare anche qui la definizione di cibo processato, oppure sono fuori strada con questo ragionamento e mi sbaglio e non si può usare questa accezione del termine ? Mah.