Tra gli alimenti del futuro (per il mondo occidentale) potrebbe esserci la cassava o manioca o yuca, una pianta che cresce spontanea in molte aree aride soprattutto in Africa e sui cui tuberi amidacei si basa già oggi l’alimentazione di un miliardo di persone, al centro di un progetto chiamato Cassava Source-Sink Project.
Le sue caratteristiche nutrizionali, unite a quelle quali la resilienza alla siccità la rendono infatti un frutto particolarmente adatto alle sfide che abbiamo davanti, soprattutto a resistere all’impoverimento dei terreni, a non perdere di efficienza quando la CO2 atmosferica sale, e a usare pochissima acqua.
Per verificare ciò che è noto alle popolazioni africane da millenni con test specifici, i ricercatori dell’Università dell’Illinois di Urbana-Campaign hanno utilizzato una struttura chiamata SoyFace, che hanno progettato e realizzato negli anni scorsi . Lo scopo è di avere un appezzamento di terreno un cui controllare la composizione dei fattori ambientali (in particolare l’innalzamento della temperatura atmosferica, l’aumento di CO2 e ozono, la carenza di acqua e l’impoverimento del suolo) e studiarne gli effetti sulle colture.
Vi hanno fatto crescere otto diversi cultivar di cassava tra quelli più diffusi già oggi in Africa, e hanno controllato come andavano rendimenti e processi fisiologici delle piante.
Come hanno riferito sul Journal of Experimental Botany, sette delle otto varietà hanno avuto un aumento di rendimento, in condizioni di aumentata CO2, compreso tra il 22 e il 39% e hanno visto che non c’era una diminuzione del contenuto proteico nelle radici, né di quello di azoto nelle foglie. Volendo capire meglio in che modo la pianta resiste alla CO2, i ricercatori hanno verificato le diverse parti, e scoperto che, quando la pressione di anidride carbonica aumenta (per esempio passando da 400 a 600 ppm), essa modifica i canali attraverso cui le foglie estrudono acqua durante la traspirazione, al fine di conservarne di più. In media questo si traduce in un incremento di acqua trattenuta del 58%, e in un miglioramento dell’efficienza della fotosintesi, cioè della produzione di energia. Di conseguenza, cresce anche il raccolto. E questo è ciò che la rende resiliente alla siccità. Non sembrano inoltre esserci differenze significative nelle varietà analizzate, anche se i ricercatori stanno cercando di capire quali siano le migliori dal punto di vista delle radici che, oltretutto, fissano la CO2 nel terreno sottraendola all’atmosfera.
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Giornalista scientifica