La carne coltivata è prodotta in laboratorio, utilizzando tecniche di coltura cellulare, a partire da cellule staminali di bovini, polli, maiali, agnelli, nonché di altri tipi di bestiame, pesci e frutti di mare. Si tratta di un processo etico, che non implica l’utilizzo diretto degli animali (se non per la raccolta iniziale delle cellule per la coltura) e a basso impatto ambientale (motivo per il quale la carne coltivata è chiamata anche clean meat, ‘pulita’), e che può essere sfruttato anche per produrre altri prodotti di origine animale, come cuoio, pellicce, latte e albumi d’uovo.
Oggetto di ricerche e investimenti fin dal 2013 (quando un hamburger così prodotto costava 375 mila dollari), da qualche anno, in alcune parti del mondo, la carne coltivata è diventata una realtà accessibile sul mercato e un settore in rapida crescita. Se nel 2016 c’erano solo quattro start up attive a livello mondiale, ora se ne contano circa un centinaio, che tentano di ricreare in vitro carne di diverse varietà: da quella avicola a quella ovina, fino a ai molluschi e al foie gras.
A Singapore questo novel food ha già fatto il suo debutto ufficiale nei menu dei ristoranti già nel 2020 (si trattava di un assaggio di petto di pollo per l’equivalente di 23 euro e dalla metà del 2023 sarà disponibile anche un prodotto a base di carne di quaglia ‘coltivata’); a Tel Aviv (Israele), invece la somministrazione è iniziata in via sperimentale (senza il pieno via libera delle autorità regolatorie) nell’ambito del progetto SuperMeat, dove ‘The Chicken’, un burger realizzato a partire da cellule di pollo coltivate, non è ancora in commercio, ma viene servito in degustazioni private.
Nel 2022 anche altri Stati hanno deciso di puntare su questo cibo innovativo, investendo in ricerche e tecnologie necessarie a produrlo (in totale 1,3 miliardi a livello mondiale): per esempio in Giappone i ministeri si sono attivati per stabilirne gli standard di sicurezza e definire i protocolli necessari a rispettarli, mentre nei Paesi Bassi il governo ha stanziato 60 milioni di euro per supportarne lo sviluppo. Negli Stati Uniti lo scorso novembre è arrivata la prima approvazione della Food and drug administration (Fda) per il consumo umano per un prodotto a base di pollo coltivato (ne abbiamo parlato in questo articolo); mentre per quanto riguarda l’Europa, si prevede che a breve le prime richieste di autorizzazione siano sottoposte alla Commissione Europea e all’Efsa.
Queste aperture fanno sperare nel possibile avvio di una produzione su vasta scala della carne coltivata, con conseguente abbassamento dei costi e dei prezzi di vendita. Secondo il database continuamente aggiornato di BioInformant Worldwide, l’ascesa del mercato della carne coltivata è favorito dalla sostenibilità del processo produttivo e dalla possibilità di fornire una “nutrizione su misura”, nonché dall’atteggiamento favorevole del quasi 50% dei consumatori. Tali fattori potrebbero far sì che, entro il 2040, il 60% della carne consumata al mondo sia costituita da cellule cresciute all’interno di bioreattori e che nei prossimi 10-20 anni, il mercato della carne coltivata rappresenti un settore concorrenziale rispetto a quello della carne convenzionale.
In Europa questo novel food non è accettato da tutti i Paesi: tra questi l’Italia, che ha già espresso il suo parere contrario. Infatti, per quanto la carne coltivata non abbia nulla di sintetico, è stata inclusa tra gli alimenti (e i mangimi) vietati dal disegno di legge presentato lo scorso 28 marzo dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, congiuntamente al ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e al ministro della Salute Orazio Schillaci.
Sostenuto da Coldiretti, dall’Associazione industriali delle carni e dei salumi, dalla fondazione Filiera Italia e dalla stessa presidente del consiglio Giorgia Meloni, il Ddl che impone sanzioni da 10 a 60 mila euro per chiunque immetta sul mercato prodotti alimentari realizzati in laboratorio, ha ottenuto consensi anche nell’ambito della conferenza Stato-Regioni del 19 aprile, facendo leva sulla presunta volontà di tutelare la produzione di carne italiana e la salute dei consumarori rispetto ad alimenti ancora poco conosciuti e studiati, nonché la sua opportunità di acquistare cibo del quale conosce esattamente la provenienza e la composizione.
Contrarie invece le associazioni animaliste e l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa), secondo le quali la carne coltivata (derivata da cellule animali e quindi tutt’altro che ‘artificiale’, ‘chimico’ o ‘non biologica’) offrirebbe una soluzione ‘scientifica’ a diversi problemi correlati alla sostenibilità della produzione di carne, alla tutela del benessere animale, alla salvaguardia ambientale e la stessa sicurezza alimentare, senza mettere a rischio la a biodiversità, la ricchezza culturale e l’etica italiana in fatto di cibo.
Neppure la tesi di voler tutelare la produzione agroalimentare nazionale regge. Infatti la maggior parte della carne venduta e consumata in Italia (ad eccezione di quella di pollo e tacchino) è soprattutto d’importazione: quella bovina proviene dalla Francia, quella suina arriva dalla Germania, quella di pecora o caprina dalla Romania o dall’Ungheria. Ma il Bel Paese è anche il primo importatore europeo di carne bovina dal Brasile: oltre 1 milione di tonnellate di carne a poco prezzo, per lo più destinata a ristoranti, mense, hotel e catering sottoforma di prodotti trasformati (come pasta ripiena, i sughi pronti, ragù e i brodi di carne, surgelati, insaccati e prodotti per l’infanzia), per la quale non è previsto l’obbligo di legge di indicare al consumatore l’origine della materia prima e che spesso non risulta conforme alle normative stabilite dal Sud America né a quelle europee.
Pertanto, l’opposizione delle istituzioni italiane alla carne coltivata si dimostra una mera presa di posizione politica, basata sulla volontaria distorsione della realtà (a partire dalla stessa definizione ‘sintetica’ applicata a un prodotto 100% organico) e su un ingiustificato allarmismo, privo di qualsiasi fondamenti scientifico e, anzi, in contrapposizione con i risultati delle ricerche condotte finora a livello internazionale. La carne coltivata potrebbe infatti rappresentare un’alternativa all’attuale, insostenibile, ritmo di produzione e consumo di carne da allevamento animale, ma anche offrire un rimedio alle esternalità negative degli allevamenti in tema di inquinamento atmosferico, deforestazione, consumo di suolo e contaminazione delle falde acquifere, nonché un modo per intervenire positivamente sull’alimento dandogli accezioni positive dal punto di vista proteico e vitaminico, eliminando grassi e zuccheri in eccesso e assicurando una minore presenza di microrganismi e impurità tramandate nella catena alimentare come le microplastiche, i pesticidi e gli antibiotici.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Mosa Meat, Coldiretti
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Non posso che condividere il ragionamento espresso nell’articolo. Governo e ministri che pensano solo al proprio tornaconto e non un esame obiettivo del tema. Conta di più quanto guadagnano (dal-)le corporazioni che rappresentano, piuttosto che considerare i potenziali vantaggi etici ed ambientali che ne sortirebbero.
Nella vita non bisogna aver paura di nulla.Occorre capire.
Avanti tutta con la carne coltivata !!! E con il latte e le uova cellulari !!!
Sarei felice di trovare finalmente carne coltivata, prodotta senza causare sofferenze e senza infierire sui problemi ambientali. Se proprio vogliamo continuare a nutrirci di carni e se continuiamo a crescere in maniera esponenziale, è necessario studiare nuove soluzioni per nutrirci e questa mi sembra buona, sana, eticamente corretta.
Condivido le preoccupazioni di natura etica ed ambientale espresse a supporto di questa innovazione, ma non condivido i toni da crociata di molti articoli, che trascurano diversi aspetti in realtà tutti ancora da chiarire:
– gusto: è impossibile riprodurre tutte le caratteristiche di gusto della carne tradizionale, il rischio concreto è che nella carne coltivata vengano aggiunti aromi ed altre sostanze che la trasformano, di fatto, in un alimento industriale processato
– sicurezza: per coltivare le cellule in laboratorio vengono utilizzate diverse sostanze come ormoni e fattori di crescita. Siamo CERTI che a lungo termine questo non creerà problemi di salute sui consumatori ?
– aspetto nutrizionale: la carne coltivata non ha la stessa quantità di vitamine, amminoacidi, ecc… della carne tradizionale
– aspetto etico: per produrre questa carne viene comunque utilizzato il feto animale
Ecco, mi piacerebbe trovare un’informazione meno schierata ideologicamente e più equilibrata nel considerare tutti gli aspetti della questione, anche quelli più problematici.
Per quanto riguarda il gusto, diverse start-up stanno studiando il modo di migliorare gusto e texture della carne coltivata in modo che si avvicini il più possibile al prodotto tradizionale, senza bisogno di aggiungere additivi al prodotto finito. Uno degli elementi su cui si concentra la ricerca è la coltivazione del tessuto adiposo, perché il grasso è fondamentale per conferire texture e sapore alla carne. Ne abbiamo parlato qui: https://ilfattoalimentare.it/grasso-carne-coltivata.html
Anche per quanto riguarda la questione del siero fetale bovino, esistono già mezzi di coltura studiati apposta per la carne coltivata che non lo richiedono, come quelli prodotti dall’azienda Multus Biotechnology https://www.multus.bio/
Infine, per quanto riguarda le questioni di sicurezza e gli aspetti nutrizionali, verranno valutati dalle autorità competenti, come l’Efsa, quando verrà presentata una domanda di autorizzazione
Vi faccio i miei migliori auguri visto che siete molto sicuri che una soluzione si troverà., come si dice? una soluzione win-win o anche meglio…..purtroppo le ricerche sempre più accurate dimostrano che in molti casi le soluzioni geniali man-made del passato non erano poi così geniali……eppure erano il meglio del momento.
E alcuni gravi problemi sistemici recenti richiedono spasmodiche ricerche per evitare catastrofi causate da scoperte scientifiche applicate male -per usare parole educate-, vorrei condividere la vostra cieca fiducia, perchè di questo si tratta.
Una cosa deve dimostrare di funzionare bene anche fuori dai laboratori di ricerca, in scale adeguate e ad attento ed indipendente esame sia delle procedure che dei materiali usati e degli effetti sulla salute in periodi congrui.
Tutto questo per fornire 50 grammi circa di proteine al giorno a persona, una gran parte delle quali possono essere prese da alimenti di altra provenienza…….
Penso che la carne coltivata sia un’ottima alternativa anche per ridurre l’inquinamento da CO2 causato dagli allevamenti intensivi. Il nostro governo ha voluto imporre il divieto, ma quando questa produzione prenderà piede si rivelerà un autogol che farà male all’ Italia.