Fave, cabosse e polvere di cacao con su un tavolo di legno

cacao illegale foreste africa might earthAnche se il problema è meno percepito rispetto a quello delle palme da olio in Indonesia o quello della soia e dei bovini in Brasile, la produzione di cacao sta devastando interi paesi soprattutto africani, e il sistema di tracciabilità delle filiere è molto lontano dall’essere ottimale. L’ultimo allarme arriva da Trase Earth, associazione dedicata a questi aspetti, che ha appena reso noti gli ultimi dati allarmanti sulla Costa d’Avorio: tra il 2000 e il 2019 le coltivazioni si sono letteralmente mangiate il 2,4 milioni di km2 di foreste vergini, pari al 45% della deforestazione attuata, e arrivando a coprire un’area grande quanto il Rwanda. Ancora: nel 2019, un quarto delle coltivazioni si trovava in aree teoricamente protette, a (triste) conferma del fatto che la protezione, molto spesso, è solo sulla carta. Ma la responsabilità, scrive Confectionery News, è anche dei paesi che importano il cacao ivoriano: in questo caso, due terzi della produzione va in Europa e Gran Bretagna, e questo nonostante gli impegni dell’Unione Europea e la certificazione della Cocoa & Forest Initiative, accordo internazionale cui aderiscono tutti i più grandi produttori del mondo, secondo il quale il 70% del cacao utilizzato arriva da filiere certificate e sostenibili.

Nel caso della Costa d’Avorio, la quota di cacao tracciato fornito a chi aderisce sarebbe del 72%. Ma qualcosa, evidentemente, non torna. E la percentuale che fa la differenza non è quel 72, ma il ben più misero 22, che è la quota di cacao destinato all’export che l’iniziativa riesce a controllare. Del restante 78% non si sa nulla. Secondo gli autori dello studio, ricercatori dell’Università di Lovanio, l’anello debole sono gli intermediari tra i produttori e gli acquirenti finali: è lì che si perde la tracciabilità e che si inseriscono coloro che vendono cacao ottenuto da piantagioni non sostenibili. È quindi urgente fare molto di più, concludono, e la responsabilità è di tutti, dai produttori africani fino ai consumatori occidentali, passando per gli intermediari e le aziende che realizzano prodotti con cioccolato, e le legislazioni nazionali e internazionali.

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Costa d’Avorio: tra il 2000 e il 2019 le coltivazioni si sono letteralmente mangiate il 2,4 milioni di km2 di foreste vergini

Intanto, in settembre, l’Unione Europea ha approvato una legge che ha provocato grandi discussioni e suscitato diverse critiche, ma che è comunque un passo in avanti contro la deforestazione. Non sarà infatti più possibile commercializzare prodotti che non possano attestare una provenienza sicura: priva di deforestazioni e con trattamento adeguato dei lavoratori. Come riferisce il sito Food Navigator, secondo i paesi produttori, questa legge è destinata a far salire molto i prezzi e a rallentare gli scambi per le complicazioni burocratiche associate, mentre secondo alcune associazioni ambientaliste come Greenpeace, sarebbero state escluse senza motivo aree altrettanto fragili quali quelle umide: si sarebbe quindi persa una grande occasione, pur essendoci degli aspetti positivi. Inoltre, esisterebbe un rischio di discriminazione perché il testo non tiene adeguatamente conto del rischio di deforestazione presente in alcuni paesi ricchi come il Canada, ma mette sotto esame soprattutto quelli più poveri. Infine, essendo il mercato globale, sarebbe relativamente facile aggirare i vincoli.

Pur perfettibile, la norma ha però dato ascolto ai cittadini europei, l’82% dei quali, in un sondaggio dedicato alla legge in discussione, aveva affermato non volere i prodotti che comportino deforestazione, e il 78% che sarebbero stati necessari leggi e divieti specifici.

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