Alzi la mano chi stacca il bollino adesivo dalla buccia della frutta (o della verdura) prima di gettarla nell’umido. Non saranno in molti a farlo, eppure quelle piccole etichette non sempre sono compostabili, anzi, in molti casi ancora non lo sono. Stiamo parlando di un rifiuto particolarmente piccolo, facile da trascurare, ma che può comunque contaminare la raccolta differenziata dell’umido. Che fare, quindi? Bisogna verificarne le caratteristiche e, nel caso non sia compostabile, staccare il bollino e buttarlo nell’indifferenziato. Grazie al progresso nelle tecnologie per gli imballaggi, però, le versioni compostabili sono oggi sempre più spesso disponibili.
Dopo una sperimentazione fatta in Francia, è approdata a questo traguardo anche Del Monte, che nel mese di settembre ha annunciato la commercializzazione in Europa di tutte le sue banane con adesivi compostabili a partire dal 2023. Il passo sembra giungere ‘in ritardo’ rispetto alla grande sensibilità ormai diffusa per queste tematiche, ma le difficoltà insite nella realizzazione di adesivi compostabili per la frutta e la verdura sono numerose, come dimostra la storia di questi piccoli bollini, di cui ci siamo occupati già nel 2018, quando è stata introdotta in Italia la vendita di sacchetti monouso compostabili, ma nella normativa non sono state considerate né le etichette adesive con il prezzo né, appunto, questi bollini. In quell’anno cominciavano a circolare anche in alcune catene italiane i primi prodotti con il nuovo sticker ecologico, soprattutto tra le referenze bio.
La prima azienda a realizzarle, a livello mondiale, è stata la statunitense Sinclair Systems, che già nel 2008 ha creato la sua EcoLabel in acido polilattico. Il prodotto è stato però certificato come compostabile e lanciato sul mercato solo nel 2014 e si trattava solamente dell’inizio di un lungo percorso, visto che occorreva produrre un’etichetta per l’ortofrutta che non solo fosse compostabile, ma anche compatibile con le norme relative al contatto con gli alimenti e che potesse ottenere la certificazione per tutti i componenti: dal materiale di base agli adesivi, senza dimenticare gli inchiostri. Un risultato definitivo è stato finalmente ottenuto nel giugno 2019 con il confermimento, per la nuova Sinclair EcoLabel, della certificazione indipendente OK Compost Industrial e Seedling. Per ottenere la certificazione, il prodotto ha dovuto superare quattro test: l’analisi dei metalli pesanti e del fluoro, la prova di biodegradazione, quella di disintegrazione e l’analisi di tossicità vegetale. I test hanno dimostrato che il bollino si disintegra in 12 settimane e si degrada nell’ambiente in 180 giorni. Tra le prime aziende ad adottarlo spicca la neo zelandese Zespri, nota in Italia soprattutto per i suoi kiwi, che ha affiancato Sinclair nelle ricerche in questo campo fin dal 2010. Ora i kiwi Zespri commercializzati in Italia hanno l’etichetta compostabile, l’informazione è reperibile sul sito dell’azienda, ma purtroppo non è dichiarato sul bollino in questione.
A sviluppare e lanciare sul mercato italiano questa tecnologia è però stata Gpt (Gruppo Poligrafico Tiberino), una società che raggruppa 20 aziende con competenze diverse negli ambiti della stampa, della grafica e del packaging. “Abbiamo presentato la nostra etichetta nel 2012, dopo oltre tre anni di ricerca e sviluppo, al salone Fruit Logistica di Berlino – spiegano – e nel 2013 abbiamo ottenuto il certificato di compostabilità Ok Compost. La commercializzazione effettiva dei primi frutti con il nuovo tipo di adesivo è avvenuta a partire dal 2019 grazie ad alcuni clienti che hanno colto il valore della nostra proposta”. Oggi la CompostLabel di Gpt è una soluzione consolidata e utilizzata da numerose aziende e imprese della grande distribuzione, anche se naturalmente determina per il produttore un incremento dei costi rispetto all’etichetta trazionale (circa il 50%). “Si tratta però di una scelta ormai diventata irrinunciabile, soprattutto per chi vuole proporre sul mercato prodotti che generano concreti benefici ambientali, compensando ampiamente il maggiore costo del prodotto – spiegano dall’azienda –”.
Lo sa bene anche Coop Italia, la prima realtà della grande distribuzione italiana ad aver creduto nell’importanza di realizzare questi sticker da gettare nell’umido. Fin dal 2017 Coop ha collaborato in contemporanea sia con Gpt che con Sinclair e, dal gennaio del 2019, ha lanciato i bollini compostabili su tutti i suoi prodotti ortofrutticoli sfusi a marchio Origine. Sinclair ha fornito gli adesivi applicati in maniera automatica, mentre Gpt quelli sui prodotti che richiedevano l’applicazione manuale, come banane, melanzane e pomodori. L’applicazione manuale o automatica costituisce un tema significativo anche per Melinda. Da anni infatti il consorzio della Val di Non porta avanti la ricerca per ottenere bollini compostabili che possano essere utilizzati nella filiera di lavorazione delle mele. Questa infatti prevede la movimentazione attraverso l’acqua e il mantenimento in celle a umidità superiore al 90%. A oggi, però, non sono ancora disponibili bollini biodegradabili in grado di resistere a questo processo di lavorazione senza degradarsi precocemente. Le uniche soluzioni esistenti sono quindi applicabili “a valle” della filiera. Visto però che tale applicazione comporta un impegno di manodopera importante, Melinda ha scelto già da qualche anno di utilizzarle esclusivamente per i prodotti biologici.
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Sarebbe più civile che chi produce o commercializza frutta sia costretto a mettere bollini compostabili risolvendo il problema all’origine…
Stavo scrivendo lo stesso commento!
Andrebbero vietati. La comunicazione commerciale e pubblicitaria andrebbe fatta sul cartellino del banco vendita o sulla confezione. E questa mia proposta vale anche per il biologico, visto che scimmiotta il convenzionale ache su pratiche discutibili.
Ma e propio necessario mettere questi bollini? Non si potrebbe evitare?
Signor Alberto……forse ha ragione Lei. Torniamo al mercato del dopoguerra e anche più recente, sistemiamo la frutta su un banco di legno piuttosto “vissuto” al mercato, che alla fine della giornata veniva lavato con un tubo legato alla fontanella più vicina ed esponiamo il prezzo e le informazioni sul prodotto in vendita con un cartellino, a volte sgrammaticato, ma ben comprensibile. E la scritta sul cartellino fatta con un inchiostraccio che non apparteneva certo a materiale “per alimenti” Anche lo stesso cartellino era a lungo riusabile. E, scena finale, il venditore ti dava il resto estraendo da una tasca un rotolo di banconote maleodoranti con le stesse mani con cui serviva la frutta e la verdura. La pubblicità era poi affidata a un urlo a squarciagola che descriveva le qualità della merce, senza i cartelli, le luci o le scritte pubblicitarie a cui siamo abituati oggi. Si pensi a quanto risparmio e quanti problemi si potrebbero evitare. Ovviamente questo commento è un po’ scherzoso, ma forse anche…un po’ romantico.