Bottiglia di plastica schiacciata a terra, con montagne sullo sfondo; concept: inquinamento, riciclo, vuoto a rendere, deposito cauzionale

Uno studio internazionale mostra come depositi cauzionali, riutilizzo degli imballaggi e taglio alla produzione potrebbero quasi azzerare la plastica dispersa entro il 2040. Lo rivela un’indagine di Pew Charitable Trusts, che insieme a ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Università di Oxford ha pubblicato la nuova edizione del rapporto Breaking the Plastic Wave 2025. Ma mentre molti Paesi accelerano, l’Italia non riesce a far partire il vuoto a rendere, osteggiato dalle aziende e congelato da anni di rinvii.

Come riporta il quotidiano britannico The Guardian, ogni anno 66 milioni di tonnellate di plastica da imballaggi finiscono nell’ambiente. E se non verranno adottate misure drastiche, entro il 2040 l’inquinamento da plastica raggiungerà i 280 milioni di tonnellate all’anno. Una massa equivalente a un camion della spazzatura scaricato in mare o in natura ogni secondo.

La plastica cresce più velocemente dei sistemi di gestione dei rifiuti

Secondo il rapporto, la produzione mondiale di plastica – derivata in gran parte da combustibili fossili – aumenterà del 52% entro il 2040, passando dagli attuali 450 milioni di tonnellate a 680 milioni. Un ritmo due volte superiore a quello con cui si espandono i sistemi di raccolta e riciclo, già oggi in difficoltà.

Il settore che più contribuisce alla crescita è quello degli imballaggi monouso: pellicole, sacchetti, bottiglie, contenitori per ortofrutta, carne, pesce e prodotti da banco. Gli imballaggi rappresentano oggi un terzo di tutti i rifiuti plastici globali e costituiscono la quota maggiore di plastica dispersa nell’ambiente.

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Secondo il rapporto Pew, il 97% dell’inquinamento da plastica si può eliminare grazie a riuso e vuoto a rendere

La svolta possibile: riuso e sistemi di deposito

La parte più significativa del rapporto però riguarda le soluzioni: il 97% dell’inquinamento da imballaggi potrebbe infatti essere eliminato entro 15 anni. Per farlo tuttavia, il riciclo, seppur importante, non è sufficiente. È necessario quindi implementare sistemi di deposito cauzionale per bottiglie e contenitori (deposit return schemes), favorire il riutilizzo su larga scala (ad esempio portare flaconi e contenitori da riempire nei supermercati e borracce e bicchieri riutilizzabili in bar e caffetterie), ridurre la produzione di plastica per imballaggi e sostituirla con materiali a minor impatto (vetro, metallo, cartone), e vietare specifici polimeri difficili da gestire.

Secondo Winnie Lau, responsabile del progetto presso Pew, i sistemi di riuso e deposito cauzionale da soli eliminerebbero due terzi dell’inquinamento da imballaggi.

16mila sostanze chimiche nella plastica

Il rapporto dedica un capitolo esteso agli impatti sanitari. Oggi nei prodotti in plastica sono state identificate oltre 16mila sostanze chimiche aggiunte intenzionalmente o presenti come contaminanti. Molte di esse sono associate a interferenze endocrine, riduzione della fertilità, basso peso alla nascita, alterazioni cognitive nei bambini e aumento del rischio di diabete, malattie cardiovascolari e tumori.

La plastica è anche un potente acceleratore del cambiamento climatico: le emissioni globali associate alla produzione e gestione dei polimeri aumenteranno del 58% entro il 2040.

Se i governi adottassero un insieme coerente di misure – riuso, vuoto a rendere, limiti alla produzione, miglioramento della gestione dei rifiuti – gli effetti sarebbero enormi: -83% inquinamento da plastica, -38% emissioni climalteranti, -54% impatti sanitari e 19 miliardi di dollari risparmiati ogni anno dai governi per costi di raccolta e smaltimento.

plastica discarica bottiglie
La plastica è anche un potente acceleratore del cambiamento climatico

E l’Italia?

Mentre molti Paesi stanno introducendo sistemi di deposito cauzionale e modelli di riuso su larga scala – dalla Germania alla Lituania, fino all’Australia e al Canada – l’Italia resta bloccata. Il vuoto a rendere è previsto da anni in varie bozze di decreto, sperimentato in modo marginale e riproposto ciclicamente come ‘annuncio’, ma non è mai diventato realmente operativo.

Questo perché gran parte dell’industria delle bevande e della grande distribuzione si oppone, per timore di costi organizzativi e logistici, mentre c’è chi fa lobbying contro il deposito cauzionale, rivendicando l’efficienza del riciclo tradizionale e del vetro a perdere.

Anche per quanto riguarda il riuso, in Italia mancano infrastrutture e obiettivi vincolanti, che invece l’UE sta cercando di introdurre con il nuovo Regolamento Imballaggi (PPWR). Il risultato è che l’Italia, nonostante un sistema di riciclo relativamente efficiente, continua a investire quasi esclusivamente nel monouso, esattamente il contrario di ciò che indica il rapporto Pew.

Come ricorda Tom Dillon di Pew, “la comunità globale può rifare il sistema plastica in una generazione”. Ma servirà una scelta politica netta: dare priorità a persone e ambiente, anche quando l’industria non è d’accordo.

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Fotolia

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