Anche le persone più consapevoli e attente i danni di un utilizzo eccessivo di plastica non hanno quasi mai un’idea precisa di quanta ne consumino ogni giorno. E se sono abituate a fare acquisti online, la sottostima è ancora più marcata perché manca, nelle loro valutazioni, il riscontro della fisicità delle confezioni. Il fenomeno si potrebbe chiamare “cecità della plastica” (Plastic blindness), secondo i ricercatori del Revolution Plastic Institute dell’Università di Portsmouth, in Gran Bretagna, che l’hanno descritto e analizzato in uno studio pubblicato su Environmental Science & Policy attraverso un grande esperimento di citizen science, ossia la collaborazione tra scienziati e cittadini per la raccolta, l’analisi e l’interpretazione di dati, declinato in tre modalità differenti.
Tre modi per valutare la “cecità”
Per capire fino a che punto i consumatori fossero consci della propria impronta di plastica, i ricercatori hanno analizzato innanzitutto i dati di un grande test attualmente in corso in Regno Unito, chiamato The Big Plastic Count, un’iniziativa che ha lo scopo di responsabilizzare tutti, alla quale chiunque può partecipare semplicemente inserendo i propri dati di un anno. Nell’edizione del 2022, per esempio, hanno aderito oltre 250.000 persone, e dopo un anno il conteggio ha portato allo strabiliante numero di cento miliardi di pezzi di plastica buttati via nel paese, riciclati solo in minima parte: un dato che, da solo, ha modificato la percezione di molti.
In questo caso gli autori hanno controllato le abitudini di oltre 160.000 partecipanti al conteggio del 2022 e a quello del 2024 (il prossimo avverrà nel 2026), e le risposte di 8.000 di essi invitati anche a riempire un questionario sul tema. Hanno così visto che, in media, ogni cittadino utilizza e getta 23 pezzi di plastica alla settimana.
In gran parte la plastica arriva dal packaging alimentare, ed è suddivisibile in due tipologie principali: quella leggera, in forma di pellicole e rivestimenti (13 pezzi a settimana), per esempio degli incarti degli snack, e quella più rigida come, per esempio, quella dei vasetti per yogurt o dei vassoi dei biscotti all’interno delle confezioni (dieci pezzi a settimana). La plastica morbida, inoltre, è responsabile del 30% dei rifiuti plastici.

Reale consumo di plastica
Messi di fronte ai fatti, però, quasi il 45% dei partecipanti ha ammesso di aver sottostimato il proprio consumo di plastica settimanale, soprattutto quando erano soliti fare acquisti online. Il fatto di non vedere fisicamente ciò che si sta comprando – hanno sottolineato gli autori – rende l’acquirente più “cieco”, a causa dell’impossibilità di intervenire sul packaging. In altre parole, se al supermercato si può scegliere di evitare una verdura confezionata nella plastica e preferire quella pesata al momento, di fronte a un ordine online non si può in alcun modo scegliere un’opzione che faccia diminuire la plastica. Eppure questa impotenza rende le persone più distaccate e meno inclini a preoccuparsi.
Gli acquisti online
La proposta è quindi quella di obbligare i gestori delle piattaforme online a inserire messaggi uniformi e standardizzati, che diano informazioni semplici e chiare sulla plastica presente e sul modo migliore per smaltirla. Lo stesso si dovrebbe fare con le confezioni reali, migliorando e rendendo più efficienti le norme attuali.
Le informazioni, infatti, possono fare una grande differenza. E i consumatori lo sanno: il 41% dei partecipanti ha indicato la chiarezza come uno dei tre principali fattori che indirizzano le scelte in merito agli acquisti e allo smaltimento, prima ancora degli aspetti legati all’igiene o alla familiarità con il marchio in questione.
Le risposte hanno anche evidenziato un grande desiderio di conoscenza delle modalità di riciclo e riutilizzo, che tutti o quasi vorrebbero migliori.
Che sia così, del resto, lo ha confermato la terza parte dello studio, che ha messo in relazione l’adesione al Count con il lancio di una petizione di Greenpeace nel 2024, avvenuto in occasione del round di trattative per il Global Plastics Treaty. Nel mese di aprile, scelto da Greenpeace per la raccolta firme e la campagna di sensibilizzazione, il numero di persone che hanno aderito al conteggio è aumentato del 350% rispetto al mese precedente. Inoltre, chi aveva preso parte al Count era dieci volte più propenso a firmare la petizione rispetto a chi non lo aveva fatto, a conferma del grande ruolo dell’informazione, e anche delle potenzialità della citizen science.
Lo spazio di intervento è quindi ancora assai ampio, e andrebbe sfruttato, anche perché i costi sarebbero limitati, e l’efficacia garantita: saremmo tutti un po’ meno ciechi.
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Giornalista scientifica



La plastica è duttile, leggera, pratica, comoda da portare, il packaging è dappertutto, quando si imballanano i macchinari anche per alimentazione si usano metri di nylon e plastica di polietilene o sempre i rotoli di plastica spessorata,se arriva materiale in magazzino non si sa più dove metterla nei container, e non si divide nulla, tutto insieme, nylon,arnite,teflon, ma potrei continuare all’infinito,da tanto materiale di scarto si schiaccia con le benne del muletto, per aggiungerne ancora, perché smalitire i rifiuti costa,e il privato non vuole spendere, ci pensiamo quanto scarto c’è in ipermercato, o supermercato di packaging anche nuovo solo perché è rovinato o vicino alla data di scadenza, noi in sostanza viviamo nel wastepocene, che abbiamo creato dissennatamente molto tempo fa e non sappiamo più come uscirne.
Si ci sono molte realtà positive, anzi fantastiche, come Clean Up the Ocean che ha finalmente tolto l’enorme isola davanti alla Cina che era formata da tonnellate di plastica galleggiante e anche il fondo all’oceano pacifico,adesso sta entrando nei fiumi più inquinati del mondo pulendoli senza lasciare traccia del suo passaggio anzi ripristinando un Ecosistema che ormai pareva scomparso, o andando in rovina per sempre, ma se guardiamo i veleni che riversamo ogni giorno a quintali nei fiumi non so che fine faremo, basta guardare il servizio sul Guardian sullo stato dello Yamuna, è pazzesco,o per dirla come veramente stiamo facendo quando pazzi siamo noi.
Ecco il Video:Life and death on India’s toxic trash mountains-video
The Yamuna the most polluted River
I Video sono del Guardian se me ero dimenticato.