Tutelare la biodiversità non è solo utile all’ambiente, ma anche vantaggioso per l’agricoltura, aiuta a difendere i campi dagli insetti dannosi, favorisce l’impollinazione e aumenta la produzione. Per questo si stanno riscoprendo, con una nuova consapevolezza, pratiche antiche come la costruzione di siepi intorno ai campi le bordure fiorite attorno ai frutteti, le rose nelle vigne o il mantenimento di strisce di terreno incolto. Lo conferma una ricerca su oltre 1.500 terreni agricoli in tutto il mondo, uno sforzo internazionale coordinato da Eurac Research di Bolzano e dall’Università di Würzburg.

I ricercatori hanno analizzato due servizi ecosistemici – processi regolati dalla natura – vantaggiosi per l’uomo: il servizio di impollinazione fornito dagli insetti selvatici, e il servizio di controllo biologico, cioè la capacità di un ambiente di difendersi da insetti nocivi grazie ad altri insetti antagonisti presenti in natura. “In questo modo si migliora la produzione e si riduce la spesa per i pesticidi”, spiega Matteo Dainese, biologo di Eurac e responsabile dello studio, “una ricerca nata all’Università di Padova, dove mi sono formato, e poi sviluppata negli anni in una collaborazione internazionale”, spiega il ricercatore.

In passato alcune di queste tradizioni esistevano anche da noi, come le siepi fiorite a separare i campi o le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza: oggi in Italia il recupero di queste tradizioni è diffuso soprattutto nelle coltivazioni biologiche, mentre c’è più interesse in Germania o in Europa settentrionale, dove si lavora soprattutto nei meleti e sulle coltivazioni di colza, ma anche in altri paesi come l’America Latina dove questi metodi sono applicati alle piantagioni di caffè. “Ma anche da noi le cose stanno cambiando, in Alto Adige per esempio la biodiversità è entrata nel linguaggio dell’amministrazione”, sottolinea Dainese, “si comincia a comprenderne l’importanza”. Arriva dalla centro di sperimentazione di Lainburg in Alto Adige, per esempio,  una serie di studi sui vantaggi legati alla presenza di strisce fiorite perenni nei meleti.

“Fino a qualche anno fa si lavorava per salvaguardare la biodiversità in quanto tale, ora stiamo cominciando a comprenderne i vantaggi legati alla produttività “, spiega Paolo Barberi, agronomo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha partecipato a vari progetti europei su questi temi.

Le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza

“Per anni l’agricoltura intensiva ha permesso di incrementare la produttività, ma oggi le cose stanno cambiando”, conferma Dainese. Siamo arrivati a una fase di stallo o addirittura a una diminuzione, senza contare che alcuni organismi stanno sviluppando resistenze a pesticidi ed erbicidi. “Abbiamo avuto un approccio semplicistico, pensando che si potesse risolvere tutto attraverso soluzioni tecniche puntuali, con uno specifico pesticida o diserbante, dimenticando la complessità dei sistemi naturali“, aggiunge Barberi. “Per questo abbiamo dimenticato buone prassi come la rotazione delle colture, che stiamo recuperando.” Oggi si punta a un approccio integrato (Integrated Pest Management) che usa vari sistemi preventivi per ridurre l’utilizzo di pesticidi, e più in generale di prodotti chimici, “con risparmio di costi diretti e indiretti, senza dimenticare l’impatto dell’uso delle sostanze chimiche sulla salute di chi lavora in agricoltura”, ricorda Barberi, “per questo c’è sempre maggior interesse per la biodiversità, anche a livello di Unione Europea”.

Così si recuperano le pratiche tradizionali, rivisitandole alla luce delle conoscenze scientifiche per costruire un paesaggio eterogeneo, un mosaico di campi agricoli, bordure di siepi fiorite e piccole aree naturali preservate per tutelare la biodiversità. Che serve a migliorare l’impollinazione – “di cui ha bisogno il 70% delle colture agricole”, ricorda Dainese – e a favorire la presenza di insetti utili. “ Come le coccinelle, che soprattutto allo stato larvale attaccano gli afidi, ma anche alcuni coleotteri oppure i sirfidi, insetti simili alle api che ricoprono importanti ruoli negli agroecosistemi, agendo come impollinatori nonché come antagonisti naturali di insetti nocivi, ma anche api selvatiche e farfalle”, spiega Dainese. Oggi gli insetti utili si possono anche allevare per poi inserirli nell’ambiente sulla base di rigidi protocolli di screening che garantiscono la sicurezza dell’intervento, “che può essere integrato con altre forme di interventi per la tutela della biodiversità e dell’ambiente”, spiega Barberi, “per esempio recuperando una pratica antica come l’introduzione nei sistemi di coltivazione di leguminose che, fissando l’azoto atmosferico, permettono di ridurre l’uso di fertilizzanti e migliorano la qualità del terreno”.

Biodiversità
Il 70% delle colture agricole ha bisogno dell’impollinazione tramite insetti

In realtà esistono molti possibili interventi per ogni tipo di coltivazione. “Anche i sistemi a monocoltura possono giovarsi di un’introduzione di biodiversità”, spiega Barberi, “anzi, tanto più il sistema di partenza è povero di biodiversità, tanto più il vantaggio è evidente”. Colture diverse richiedono però interventi diversi: per le colture perenni, come frutteti oliveti o vigneti, di solito si punta sulla presenza di inerbimenti (creazione di una copertura erbosa, Ndr) tra i filari. Per i cereali o altre colture che possono essere messe in rotazione si può ricorrere a questo metodo lungo il perimetro dei campi “ma anche a colture di copertura“, spiega Barberi, “coltivazioni inserite nel periodo di tempo tra il raccolto della coltura precedente e la semina della successiva”. In questo modo, anziché lasciare incolto o lavorato il terreno, si introduce un elemento di biodiversità, per esempio una leguminosa, per poi sfalciarla o interrarla, “proteggendo il suolo dall’erosione e dalla perdita di fertilità, e migliorandone la qualità, oltre a contrastare le erbe infestanti”, spiega Barberi.

Per quanto riguarda invece i prati e prati pascoli, “che nella nostra zootecnia mancano e che stiamo cercando di recuperare”, quando si tratta di prati artificiali si tutela la biodiversità seminando al posto di una singola coltura (come l’erba medica) un mix di specie, per esempio graminacee e leguminose, che stabilizza la produzione, migliora l’ambiente e fornisce un alimento più completo agli animali. “Senza dimenticare”, ricorda Barberi, “che i sistemi agricoli ad alta biodiversità sono più attrezzati per contrastare e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”. Si tratta di progetti ambiziosi che hanno bisogno di consenso. Per questo, spiegano i ricercatori, oggi bisogna lavorare insieme agli agricoltori, evitando soluzioni calate dall’alto e coinvolgendoli nelle scelte. Mentre sono in preparazione nuovi studi per quantificare il beneficio economico di queste innovazioni che guardano al passato.

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