Dopo i tentativi al Gabinetto dell’ex-ministro Passera (1), d’accordo con Confindustria per non applicare la norma, é il turno di FIPE, la Federazione Italiana dei Pubblici esercizi, che predica la disapplicazione della legge dello Stato, adducendo la sua presunta incompatibilità con l’aquis communitaire. Quali i rischi dell’illegalità, per baristi e ristoratori, ma anche per la federazione che li dovrebbe rappresentare? Il Fatto Alimentare indaga.
FIPE, la Federazione italiana pubblici esercizi, cavalca la goffa tesi avanzata da Confindustria – in evidente conflitto di interesse con la Federazione di categoria che rappresenta il comparto industriale alimentare – secondo cui l’articolo 62 della legge 24.3.12 n. 27 sarebbe “superato” dal d.lgs. 192/12, che recepisce la direttiva UE/2011/7, recante norme generali contro la lotta ai ritardi di pagamento.
FIPE si sarebbe affidata addirittura al professor Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, per avanzare un ricorso alla Corte di Giustizia contro il fatidico articolo 62, adducendo teoremi d’interpretazione già linearmente smentiti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (2). A ognuno la sua tesi, nel Paese degli azzeccagarbugli.
Il guaio risiede nei cattivi consigli che FIPE avrebbe diramato ai suoi associati, invitandoli a ignorare i termini di pagamento – 30 giorni per le forniture di alimenti deteriorabili, 60 per i non deteriorabili, a decorrere dall’ultimo giorno del mese di data certa ricevimento fattura o ricezione delle merci – stabiliti da una legge dello Stato formalmente in vigore. Una manovra di dubbio gusto, sotto il profilo giuridico ma anche dal punto di vista concreto, della realtà delle operazioni commerciali in esame.
Posto che la quasi totalità dei pubblici esercizi non accumula scorte, e tende invece a ricavare in tempi brevi profitti – maggiorati di una considerevole quota di “servizi” – sulle merci acquistate, non si comprende a quale titolo dovrebbero trattenere i pagamenti per mesi, a discapito di chi produce e fornisce loro prodotti agricoli e alimentari.
Il rischio per i pubblici esercenti che seguiranno i cattivi consigli di FIPE é quello di incorrere in sanzioni amministrative anche assai gravose (dai 500 ai 500.000 euro, tenuto conto del fatturato del trasgressore e della gravità dei ritardi, per cifre e tempi). Il rischio per la Federazione, invece, è quello di incorrere in un’azione di risarcimento, eventualmente una class action da parte dei propri associati che sulla base dei cattivi consigli incorrano nelle predette sanzioni.
“Perché tanto odio?”, avrebbe chiesto Edika sulla storica rivista Totem. “Perchè tanto rischio?”, diremmo noi oggi, e soprattutto “per quale ragione?”. Una federazione dovrebbe piuttosto organizzare corsi di management, per aiutare i baristi e i titolari di locali e ristoranti a gestire la cassa con un po’ di buon senso. Si sarebbe al contempo attivata con il sistema creditizio per garantire un minimo di “respiro finanziario” ai più ostinati nel gestire gli incassi come fossero proventi familiari, quasi a dimenticare le proprie responsabilità nei confronti del fisco, dei fornitori e dei dipendenti. Ma si sa, e purtroppo questo caso ci ricorda, siamo in Italia.
“Ad maiora!”
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Il settore produttivo è diverso, ma i problemi sono glistessi per tutti. Quindi non mi stupisco affatto di quel che leggo in questo articolo; proprio stanotte (avere un’azienda oggigiorno ti tiene sveglio di notte) ripensavo a quel cliente che approffittando della sua posizione dominante ha imposto un pagamento a 90 giorni fine mese, anzichè i soliti 60 che offriamo, e con questo tanti saluti alla Direttiva UE sui pagamenti.
(Vedi: http://paoblog.net/2012/09/21/lavoro-38/)
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Per non negarsi nulla, poi, mentre noi scriviamo tutto, lui fa solo accordi telefonici ed ha confermato l’ordine con una riga (di numero) inviata via mail, salvo poi inviare l’ordine al termine della produzione (solo perchè sollecitato in tal senso) accludendo 2 pagine fitte di condizioni d’acquisto delle quali ovviamente non ci ha informato preventivamente.
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Insomma la strada è a senso unico e la traccia il più forte. Norme, leggi e regolamenti sono quindi aria fritta…, checchè se ne dica. E nessuno tutela le piccole aziende.
Approfitto! Come fare, che procedura intendo, con un cliente che deve pagare, ad oggi, 31 maggio 2013, una fattura di dicembre 2012, per circa 2000 (duemila) euro? Voi avete idea di quanto costi instaurare una “lite” se cosi si puo dire? Legale, bolli, diritti, decreti ecc ecc! Vediamo! Grazie comunque