Nonostante gli appelli, gli allarmi, gli impegni, le prese di posizione e le dichiarazioni di intenti, l’impiego di antibiotici negli animali da allevamento continua a salire e, oltre ad aver raggiunto valori molto preoccupanti, mostra una tendenza all’aumento che si tradurrà in un’ulteriore crescita dell’8% entro il 2030. Questi i valr che emergono in una stima elaborata dai ricercatori del Politecnico Federale di Zurigo per il periodo compreso tra il 2020 e il 2030. La previsione parte da due serie di dati: quelli ufficiali sull’utilizzo di antibiotici a partire dal 2016, raccolti dalla World Organization for Animal Health (WOAH), e quelli sul numero di bovini, suini, ovini e polli secondo i calcoli della FAO.
Come riportato su PloS Global Public Health, in ogni paese sono state valutate le possibili aree ad alta intensità di impiego, in base alla concentrazione degli allevamenti. I quantitativi totali, espressi in tonnellate, sono stati poi corretti in base ai dati pubblici sull’utilizzo medio. Il risultato è stato che, nel 2020, nel mondo sono state usate 99.500 tonnellate di antibiotici per animali, valore destinato a salire a oltre 107mila tonnellate nel 2030, se non saranno presi provvedimenti drastici e immediati.
Nello studio sono presenti alcune rappresentazioni grafiche che aiutano a comprendere meglio la situazione. La maglia nera va alla Cina che, anche se nel Paese sta aumentando meno di altri l’impiego di antibiotici (la stima è attorno al +1% annuo), in valori assoluti batte di gran lunga tutti gli altri Paesi, con un quantitativo superiore alle 37mila tonnellate. Seguono Brasile, India, Stati Uniti e Australia, da anni stabilmente in cima alla classifica. L’Asia è al momento il continente in cui si usano più antibiotici, ma si prevede una crescita elevata anche in Africa, così come in zone quali l’Oceania e il Sud America, tra le più virtuose fino a ora.
La situazione peggiora se la si osserva da vicino, perché anche se l’Europa nel suo insieme non è tra i grandi consumatori, vi sono tre zone alla pari con aree di Paesi che abusano di antibiotici come la Cina orientale, l’India del Sud, l’isola di Giava, il Vietnam. Su tutte, svettano il Nord Italia, buona parte della Germania del Nord e tutta la Polonia. In America del sud spicca l’hotspot del Brasile, simile a quello delle grandi pianure del Midwest statunitense. L’Africa, per ora, conta meno dell’1% rispetto a tutti i centri ad alta densità di antibiotici del mondo, localizzati soprattutto nel delta del Nilo e nella zona di Johannesburg in Sudafrica.
Lo studio attuale ritocca al rialzo le ultime stime, del 2018, relative a 109 Paesi, che si fermavano a 76.700 tonnellate, escludevano i Paesi che non avevano fornito dati (circa il 40% del totale). Le stime, invece, contengono anche estrapolazioni basate su vari parametri, per un totale di 299 Paesi, e ciò spiega come si sia arrivati a raddoppiare il consumo in Africa e ad aumentare del 50% quello di altre aree a basso uso come l’Oceania. Va anche detto che, secondo gli ultimi rapporti, qualche paese ha intrapreso un percorso virtuoso. Tra questi rientra proprio la Cina, che ha diminuito il suo utilizzo, passato da oltre 92mila tonnellate del 2016, alle attuali 37mila, ma resta il Paese che ne usa di più.
Lo studio analizza le tipologie di antibiotici più diffuse (le tetracicline) e i diversi tipi di animali, portando alla luce un autentico trucco che sarebbe giunto il momento di smontare. Molti Paesi, infatti, non includono tra gli antibiotici gli ionofori inserendoli nelle categorie generiche: in questo modo possono vantare l’impiego di quantitativi più bassi. Ciò spiega perché l’utilizzo nel pollame in diversi Paesi si è dimezzato rispetto alle stime precedenti, ed è in calo, nonostante la produzione di animali continui ad aumentare in tutto il mondo. Un esempio? Il Regno Unito. Tra il 2013 e il 2017 il Paese ha diminuito apparentemente l’utilizzo di antibiotici, passato da 94 a 14 tonnellate annue. Ma ha aumentato quello di ionofori da 209 a 281 tonnellate: ecco spiegato il crollo degli antibiotici dichiarati. Alla situazione specifica del pollame possono aver contribuito anche altri fattori quali la transizione verso specie a crescita più lenta, meno vulnerabili, molto evidente in uno dei Paesi considerato un grande produttore come i Paesi Bassi. Per quanto riguarda i bovini, la situazione è peggiorata, e dopo una certa stabilità tra il 2010 e il 2017, e nel 2020 si è registrato un aumento, associato probabilmente alla crescita degli allevamenti in Brasile, Australia, Pakistan e India.
Nel 2017, il 73% di tutti gli antibiotici prodotti a livello mondiale è stato utilizzato in veterinaria. In ogni caso, se si osservano le tendenze, non ci sono dubbi sul fatto che il genere umano stia giocando con il fuoco, vista la continua crescita di batteri e funghi resistenti ai medicinali esistenti. E fino a quando i Paesi (come l’Italia, nonostante le restrizioni imposte dalla legislazione europea) che utilizzano grandi quantitativi di antibiotici per gli allevamenti di animali da carne non se ne renderanno conto e adotteranno misure adeguate, la situazione potrà solo peggiorare, e i rischi aumenteranno insieme all’uso di antibiotici.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Mulchandani R. et al. PLOS Global Public Health, AdobeStock
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Giornalista scientifica
Eh, ma il problema è la carne coltivata, chissà che porcherie ci mettono dentro. Mica come la carne allevata, dove polli di tre settimane sono il doppio dei polli che in natura raggiungono quelle dimensioni in due anni, o dove la metà del peso di manzi è dato dagli ormoni della crescita…
Infatti!!! Il “naturale” è meglio….
Non conosco le fonti, ma tra i miei lavori c’è quello di controllare, da indipendente, gli antibiotici nei mangimi medicati. Devo dire che il business è calato molto, in particolare il numero delle molecole da controllare, oltre al numero di campioni che i clienti storici inviavano.
Per cui sono leggermente stupito, visto che è dal 1994 che ho il polso della situazione.
A fronte di questo c’è stato un notevole aumento di analisi di principi attivi “naturali” derivati da erbe a cominciare dal salice che è stata tra le prime piante sperimentate.
Interessante articolo, ho dato una scorsa anche alla fonte originale per capire se c’erano ulteriori informazioni. Sicuramente il problema degli antibiotici è uno dei problemi di cui ci dobbiamo fare carico al più presto, ma credo che presentato così com’è presentato nell’articolo sia un po’ fuorviante. Qui si parla solo del consumo degli antibiotici per paese ed è chiaro che a parità di metodi di allevamento paesi più grandi, più popolosi avranno consumi di antibiotici maggiori. Confrontare però la quantità di antibiotici usati con la popolazione presente, la quantità di carne macellata e con la quantità di carne consumata potrebbe dare un’idea più precisa di qual è l’intensità dell’uso degli antibiotici sull’animale. Una rappresentazione che aiuta questo approccio è presentato nell’articolo originale dove viene presentata una figura con il consumo di antibiotici nel mondo con una risoluzione di 10*10km. da quella figura si vede come in diverse parti del mondo l’intensità d’uso di questi prodotti è estremamente simile.