Chi, come e quando si attiva un’allerta alimentare? Le regole non sono sempre chiare e poi occorre l’analisi del rischio. Il contributo di Fabrizio de Stefani
Chi, come e quando si attiva un’allerta alimentare? Le regole non sono sempre chiare e poi occorre l’analisi del rischio. Il contributo di Fabrizio de Stefani
Agnese Codignola 13 Giugno 2014È necessario poi tenere a mente la distinzione tra pericolo e rischio. Il primo è infatti definito come l’agente biologico, chimico o fisico in un alimento o in un mangime in grado di provocare un effetto dannoso per la salute, mentre il secondo è funzione della probabilità di tale effetto, quando quindi si è già in presenza del pericolo. L’esecuzione dell’analisi del rischio è un obbligo degli operatori del settore alimentare, così come la predisposizione dei controlli e dei provvedimenti da adottare in ogni caso in cui si accerti un pericolo.
Ma qui c’è un punto critico: la maggior parte delle aziende del settore è di dimensioni medio-piccole, o piccolissime, e non ha i mezzi tecnici e finanziari per fare tutto ciò che sarebbe necessario. Inoltre tocca a loro informare in modo efficace e accurato i consumatori sui motivi del ritiro o del richiamo, e anche in questo caso i mezzi a disposizione non sono sempre adeguati. A volte, nei casi particolarmente gravi, alla comunicazione aziendale si affianca quella delle autorità sanitaria.
Le autorità devono quindi eseguire i controlli per verificare che gli operatori mettano in campo tutte le azioni necessarie ed effettuino il ritiro e/o il richiamo, ma sono tenute a rispettare il segreto professionale, cioè a non divulgare particolari che non siano rilevanti per la sicurezza dei consumatori. Fin qui, a grandissime linee, il quadro generale, ma non tutto funziona come dovrebbe.
Uno dei problemi maggiori sta nell’attribuzione dei ruoli in questa complessa e articolata filiera: non è sempre chiaro infatti chi deve procedere all’analisi del rischio, se è l’operatore dell’azienda produttrice in cui è scaturito il pericolo, o uno che si trova più a valle nella catena distributiva per arrivare fino al dettagliante. Allo stesso modo è poco chiaro chi deve materialmente procedere al ritiro e/o il richiamo dei prodotti pericolosi. Ulteriori dubbi, inoltre, riguardano a quale delle autorità territorialmente competenti, eventualmente coinvolte nella catena distributiva, spetti attivare l’allerta. Purtroppo, spesso i ruoli si mescolano e si confondono, determinando lentezze e inefficienze.
Capita che si passi da un eccesso all’altro, perché a volte vengono lanciate allerte per alimenti considerati difettosi ma del tutto innocui. Per esempio quando si riscontra la presenza di additivi o residui di sostanze legali, ma in quantità superiori ai limiti (sempre se tali quantitativi non sono ritenuti pericolosi), oppure perché, in qualche fase intermedia, si è riscontrata la presenza di agenti patogeni che tuttavia, nelle fasi successive, saranno eliminati dai processi di lavorazione (per esempio dalle alte temperature). Un altro caso riguarda la presenza di agenti biologici affatto pericolosi anche se non graditi, come nel caso delle mozzarelle blu, o non vitali come nel caso di tracce di parassiti in sgombri in scatola sterilizzati ad alte temperature e, ancora, per la presenza di pepe passato ai raggi gamma in un paese membro dell’Unione europea in cui tale pratica è permessa per eliminare eventuali contaminazioni batteriche, ma commercializzato poi in Italia dove la stessa tecnica è vietata.
Un altro problema è che in Italia a ogni allerta alimentare corrisponde pressoché in modo automatico una notizia di reato, che può riferirsi a un pericolo concreto o potenziale per la salute dei consumatori disciplinato dal codice penale o da leggi speciali di settore. E quando c’è la notizia di reato, il personale delle ASL assume le vesti di polizia giudiziaria alle dipendenze del Pubblico Ministero e, nel rispetto del segreto istruttorio, può capitare che si metta in movimento una complessa (e costosa) macchina solo per un colorante in eccesso. Il più delle volte in questi casi si fa del lavoro inutile visto che poi finiscono in prescrizione. Le questioni si potrebbero efficacemente gestire con azioni correttive previste dal diritto alimentare europeo e punite, oltretutto, con pesanti sanzioni pecuniarie.
In definitiva molti passaggi, nel loro insieme, sono ancora lunghi e farraginosi. Per migliorare l’efficienza del sistema si dovrebbero accorciare i tempi, standardizzare le procedure, garantire la riservatezza e la protezione dei dati. Tutto ciò potrebbe essere assicurato da nuove linee guida per gli operatori e le autorità competenti a cui affiancare il supporto scientifico di un’unità di analisi del rischio rapido nazionale o, quantomeno, macro-regionale: l’argomento su cui Fabrizio De Stefani sta lavorando.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica