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I sistemi agrivoltaici sono impianti che uniscono la produzione di energia solare e l’agricoltura grazie a pannelli installati direttamente nei campi agricoli, ma senza sottrarre terreni alla coltivazione.

Da qualche anno, vista la redditività della produzione di energia, a fronte di uno sforzo lavorativo decisamente inferiore (i pannelli richiedono solo un po’ di manutenzione, a differenza delle colture), si assiste infatti a una competizione tra i parchi solari e l’agricoltura, al punto che c’è chi cerca di limitare per legge l’insediamento di nuovi pannelli, per tutelare l’agricoltura. Lo stallo, tuttavia, non è ineluttabile: potrebbe essere superato, con un impiego più razionale dei terreni, che preveda un’inclusione maggiore delle aree a vocazione non agricola per i nuovi insediamenti. Questa la conclusione cui giunge uno studio finanziato anche con fondi di NextGeneration EU e del PNRR, effettuato dai ricercatori del Department of Civil and Environmental Engineering e del Department of Energy del Politecnico di Milano, aderenti al gruppo interdisciplinare Glob3Science, che hanno pubblicato un dettagliato resoconto delle loro valutazioni su Earth’s Future.agrivoltaico energia solare pannelli fotovoltaici IA Depositphotos_808874304_XL

La ricognizione globale

Per capire quale fosse la situazione attuale, e quali gli spazi di miglioramento, i ricercatori hanno innanzitutto verificato quanti dei campi agrivoltaici esistono attualmente su terreni agricoli destinati a non essere più coltivati nel mondo, e hanno trovato che la percentuale è compresa tra il 13 e il 16%. Il settore è però in miglioramento, perché se nel 2003 il 25% di tutti i pannelli agrivoltaici erano insediati in campi agricoli, nel 2019 la percentuale era scesa a poco più dell’otto, a fronte di una crescita del numero globale del 25% (rispetto sempre al 2003).

Questa fotografia è di per sé importante, perché sfata la credenza secondo la quale i campi fotovoltaici si stanno appropriando sempre di più di quelli coltivati, sottraendo preziose risorse alla produzione di cibo. In realtà, già oggi i nuovi pannelli sono sempre più spesso montati in zone non destinate alla coltivazione che, anzi, possono diventarlo (se le aree sotto i pannelli sono debitamente coltivate).

Ma ciò che interessava di più gli autori era verificare la possibilità di migliorare ulteriormente le percentuali e i reciproci rapporti. E in effetti, secondo le loro stime, c’è un ampio margine di miglioramento: tra il 22 e il 35% delle aree oggi coltivate ma non irrigate potrebbe mantenere la propria vocazione agricola anche se diventasse sede di campi agrivoltaici. Lo si vede attraverso una serie di complessi calcoli che tengono conto della temperatura, della diminuzione dell’irraggiamento causata dai pannelli e delle reazioni a tali cambiamenti, in termini di raccolti, di ben 22 tra cereali e altre piante coltivate a scopi alimentari. Se ben progettati, i pannelli non competono, ma agiscono sinergicamente.

I precedenti

Lo studio del Politecnico ne conferma altri usciti negli ultimi anni, che vanno tutti nella stessa direzione. Come ha mostrato uno degli studi sull’agrivoltaico più citati, uscito nel 2019 su Nature Sustainability, la presenza di pannelli nei campi non solo non compromette i raccolti ma, al contrario, migliorando il microclima, aumenta le rese, consente un utilizzo più efficiente dell’acqua, dal momento che l’evaporazione è molto meno potente, e permette di destinare alla coltivazione anche alcune aree che non lo erano, grazie a un clima migliore. E le tecnologie sono sempre più raffinate, come confermano, tra gli altri, due studi recentissimi.

Agrivoltaico per l’agricoltura

Nel primo, pubblicato su Nature Communications, i ricercatori dell’Institute for Microelectronics and Microsystems del Centri Nazionale delle Ricerche (CNR-IMM) di Catania hanno proposto un nuovo materiale che sarebbe ottimale per la coltivazione di radicchio nei campi agrivoltaici, e nel secondo, uscito su Scientific Reports, i test effettuati in Nigeria hanno permesso di dimostrare che l’ombra dei pannelli sulla coltivazione del fagiolo mungo verde apporta benefici molto rilevanti. Andando verso climi sempre più caldi e aridi, l’agrivoltaico può essere una delle risposte migliori. E spazio ce ne sarebbe ancora molto, come mostra una cartina pubblicata dai ricercatori del Politecnico, che mostra come in tutti i continenti vi siano zone sfruttabili per l’insediamento di nuovi campi agrivoltaici.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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Angela Aliano
Angela Aliano
7 Maggio 2025 08:35

Trovo sia una spiegazione troppo sintetica, senza esempi pratici e chiari che tutti possano comprendere.
È vero che l’informazione ci rende liberi, ma che sia una informazione dettagliata sui pro e contro, tenendo presenti anche le opinioni di chi ha forti dubbi!

Giovanni
Giovanni
8 Maggio 2025 18:19

Non so se viene tenuto debito conto del fatto che i pannelli fotovoltaici potrebbero rilasciare, attraverso le piogge e con lazione modificatrice del sole sul materiale di cui sono fatti i pannelli, sostanze inquinanti che finirebbero nel terreno e nelle coltivazioni sottostanti. Ricordo di aver letto in passato che a fine vita, i pannelli necessitavano di particolari trattamenti per non inquinare. Non so se i più recenti sono fabbricati in modo da non presentare questa necessità. Ben vengano studi e controlli adeguati per escludere questa necessità. Condivido invece l’aspetto positivo che potrebbero avere per mitigare il calore del sole e l’eccesso di luminosità per quelle colture che preferiscono calore e luminosità moderate. I classici due piccioni con una fava.
Grazie

Lotti Alessandro
Lotti Alessandro
Reply to  Giovanni
11 Maggio 2025 20:47

un pannello che ha la faccia attiva rivestita da una lastra di vetro non capisco come potrebbe mai inquinare

giova
giova
Reply to  Lotti Alessandro
22 Maggio 2025 14:01

Il pannello non è una lastra di vetro, è composto da altri microcomponenti.

Anna
Anna
22 Maggio 2025 10:12

Chi ha finanziato lo studio?

giova
giova
Reply to  Anna
22 Maggio 2025 14:04

dall’ articolo: “…con fondi di NextGeneration EU e del PNRR, effettuato dai ricercatori del Department of Civil and Environmental Engineering e del Department of Energy del Politecnico di Milano, aderenti al gruppo interdisciplinare Glob3Science “

Flavio Barozzi
23 Maggio 2025 08:07

Lo studio citato su Scientific Reports (https://www.nature.com/articles/s41598-024-84216-3) fa riferimento a Vigna radiata (ovvero al fagiolo mungo, correttamento tradotto in mungbean) e non a vite!!!
Più volte ho detto che certi “soloni” che parlano e pontificano a sproposito di agricoltura non sarebbero in grado di distingure una pianta di mais da una quercia.

Valeria Nardi
Reply to  Flavio Barozzi
23 Maggio 2025 10:06

Abbiamo corretto. grazie

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