natale pranzo cena festa Depositphotos_431697540_L

Le festività natalizie, così come, probabilmente, qualunque festività che preveda pasti specifici, riunioni familiari e una certa sacralità dell’evento, sono anche veicoli culturali attraverso i quali i bambini scendono a patti con le resistenze morali nei confronti della carne. Il contesto sembra infatti consegnare ai più piccoli una scala di priorità grazie alla quale la difficoltà di cibarsi di animali passa in secondo piano rispetto a quella di essere parte di un momento fondante della comunità e del nucleo familiare.

È un’interpretazione inedita, quella del Natale che emerge da uno studio effettuato dagli psicologi dell’università di Exeter, nel Regno Unito, e fornisce una possibile spiegazione sul perché tutte le culture abbiamo sempre associato feste e rituali al consumo di cibo. Probabilmente nessun adulto ha mai coinvolto i più piccoli con questa finalità in mente, ma secondo gli psicologi britannici tra gli scopi di questi momenti ci sarebbe anche qualcosa di questo tipo. E per verificarlo hanno effettuato uno studio in due parti, pubblicato su Social Psychological and Personality Science.

Polpette di carne su un piatto
La priorità passa così dal benessere degli animali al consumo tradizionale

Lo studio in due parti

Nella prima parte dell’indagine i ricercatori hanno selezionato circa di 500 persone di tutte le età (8-85 anni), le hanno suddivise in gruppi di bambini (con non più di 11 anni), adolescenti (12-17 anni) e adulti, e tutti sottoposti a una serie di domande specifiche dopo aver osservato alcune fotografie. La seconda parte è incentrata solo su 168 bambini, sottoposti a domande ancora più approfondite. A tutti è stato mostrato un uccello sconosciuto (denominato fittiziamente “harven”) e, accanto, l’immagine di un uomo che ne mangiava uno, contestualizzato in due diversi modi: uno attinente alla normalità (per esempio a un pasto quotidiano), l’altro a una festività come il Natale nel Regno Unito o una festa tradizionale dell’Ecuador, scelta per essere sicuri che i partecipanti non la conoscessero e potessero dare un giudizio non condizionato.

Quindi è stato chiesto a tutti di esprimere una valutazione da “del tutto inaccettabile” a “del tutto accettabile” e di valutare quanto gli umani dovessero trattare bene l’uccello, rispetto a come veniva trattato effettivamente, nonché di esprimersi sulla disponibilità di ciascuno a offrirsi volontario per nutrire e accudire l’harven.

Cosa accadrebbe se, in occasione di festività tradizionali, il menu fosse esclusivamente o prevalentemente a base vegetale?

Il natale giustifica il consumo

In generale, le riposte hanno chiaramente evidenziato che i bambini hanno più difficoltà ed esprimono una preoccupazione maggiore rispetto agli adulti, chiedendosi se sia lecito mangiare l’animale di cui si prendono cura. Tuttavia, quando si sottolinea l’importanza di un’evento come una cena di Natale, le resistenze scemano e via via i piccoli si mostrano più inclini a consumare la carne o comunque a giustificare tale gesto.

La priorità passa così dal benessere degli animali al consumo tradizionale con tutti i suoi annessi come il fatto che la famiglia si ritrovi e che la tradizione sia tale da generazioni. Questo accade perché i bambini sono molto sensibili alle norme sociali e ai gruppi familiari, ed è in quei contesti, più che in altri, che apprendono ad allineare le proprie idee e i propri valori a quelli della società in cui vivono e alle aspettative degli adulti. Via via che crescono, la ritualità di quelle cene attenua ulteriormente le resistenze e fa cambiare prospettiva. Non a caso, gli adulti danno quasi sempre priorità al contesto, pur attribuendo valore al benessere animale così come agli aspetti legati alla salute del consumo di carne. Quando mangiare carne è routine, non sono più necessari stimoli culturali per giustificare tale atto.

Come sfruttare questo “strumento”

Vista l’efficacia di questo tipo di condizionamento, gli autori si domandano che cosa accadrebbe se, in occasione di festività tradizionali, il menu fosse esclusivamente o prevalentemente a base vegetale. Probabilmente i bambini farebbero propria la convinzione che il pasto nomale, socialmente accettato dalla comunità, è quello in cui la carne ha pochissimo spazio, se ne ha uno. In altri termini, si potrebbe sfruttare questo processo mentale per modificare le abitudini alimentari delle generazioni future, che dovranno necessariamente abituarsi a mangiare meno carne.

Infine, un altro aspetto da approfondire è se altre tradizioni alimentari che prevedono pasti con carne esercitino la stessa influenza, anche se non ci sono motivi per pensare che non sia così.

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Depositphotos

5 1 vota
Vota
Iscriviti
Notificami
guest

0 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
0
Ci piacerebbe sapere che ne pensi, lascia un commento.x