Per aiutare le donne in Africa, e in particolare in Malawi, uno dei Paesi più poveri del mondo, ad avere una fonte di reddito personale e a diventare microimprenditrici, l’Università dell’Illinois ha messo a punto un kit economico, che non richiede particolari fonti energetiche né spazi dedicati, per ottenere prodotti lavorati dalla soia, da vendere nei mercati locali. Donato a 200 donne e valutato per 18 mesi, il kit si è rivelato essere uno strumento molto valido, come descritto in uno studio pubblicato sul Food and Nutrition Bulletin.
I componenti del kit sono strumenti semplici come cucchiai, ciotole, tela per il formaggio e un termometro, che possono essere reperiti sul mercato locale a un costo totale di circa 80 dollari. Il tutto viene regalato insieme a un breve ciclo di lezioni per apprendere come utilizzare gli strumenti al meglio, e (nel caso dello studio) come tenere regolarmente la contabilità, al fine di monitorare gli effetti della sua presenza nell’economia familiare.
Partendo dalla soia, permette di ottenere bevande, formaggi, creme, yogurt e gelati: tutti prodotti da consumare entro qualche ora, perché non refrigerati. Ciò consente da una parte di non dover necessariamente ricorrere a una sorgente di elettricità, e dall’altra di non sprecare, producendo solo quello che si pensa possa essere venduto in giornata, in base alle richieste del mercato locale. Inoltre si presta a una grande versatilità, ideale per preparare anche prodotti della tradizione locale come l’okara, una polpa iperproteica usata sia come mangime per gli animali sia come base per prodotti da forno e altri cibi. Nei 18 mesi del test, le donne che hanno usato il kit hanno avuto margini di guadagno del 56%, equivalente un salario di 2 dollari all’ora: non poco, per la media del Malawi.
Questa esperienza, che è stata realizzata grazie al contributo di una Ong canadese e che si spera ora di estendere e di esportare anche in altri Paesi, appare tanto più preziosa se messa a confronto con altre due ricerche pubblicate nelle stesse ore. Questi studi, infatti, raccontano quanto gli effetti del cambiamento climatico si stiano facendo sentire nel continente africano, e quanto siano urgenti soluzioni per rendere le popolazioni locali più resilienti.
Il primo, pubblicato su Nature e condotto con il sostegno della Gates Foundation dalle università di Nottingham (Regno Unito), Addis Abeba (Etiopia) e Lilongwe (Malawi) e altri istituti di ricerca, dimostra quanto alcuni cereali, in Africa, siano ormai poveri di micronutrienti e come la loro qualità dipenda dal terreno, più che dal tipo di pianta. I ricercatori hanno infatti analizzato più di 3 mila campioni di vari tipi di cereali e altre piante commestibili provenienti dal Malawi e dall’Etiopia, e hanno trovato grandi variazioni nelle concentrazioni di ferro, selenio, calcio e zinco, che cambiano a seconda del livello di aridità e di contaminazione dei suoli molto più che del tipo di cereale. E in molti casi hanno ormai ben poco di nutriente, rispetto alle versioni selvatiche o a quelle di altre zone della Terra, dove il suolo è meno impoverito.
Infine, il terzo studio, pubblicato su CABI Agriculture and Bioscience, è una valutazione dell’impatto delle specie aliene invasive sull’economia africana. In base a quanto calcolato dagli autori, il costo è stratosferico: 3,6 trilioni di dollari all’anno, ovvero 1,5 volte il reddito complessivo del continente.
Le specie aliene sono in vertiginoso aumento ovunque, ma in Africa i danni che arrecano sono ancora più devastanti, perché colpiscono sistemi intrinsecamente fragili. Tra i nuovi parassiti, i peggiori sono la tignola del pomodoro Phthorimaea absoluta (anche nota come Tuta absoluta), che minaccia pomodori e altre piante e che, da sola, causa perdite annuali per 11,5 miliardi di dollari, e la lafigma Spodoptera frugiperda, un insetto polifago che attacca numerose colture diverse e costa 9,4 miliardi di dollari ogni anno. E poi il Prostephanus truncatus, la Bactrocera dorsalis, il Chilo partellus e il Banana bunchy top virus (BBTV). I raccolti che risentono di più dell’invasione sono la cassava (per 21,8 miliardi), gli agrumi (14,6 miliardi), i pomodori (10,1 miliardi), il mais (9,8) e le banane (7,1).
Contro tutto questo soluzioni come il kit per i derivati della soia possono aiutare a preservare almeno in parte l’economia locale, e stimolare le donne e non solo a farsi imprenditrici dei prodotti di cui possono disporre.
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Giornalista scientifica