Aumenta la preoccupazione per il possibile salto di specie o spillover dell’influenza aviaria H5N1 dai bovini da latte all’uomo. Il virus – che finora, secondo le statistiche ufficiali statunitensi, ha contagiato 58 persone, quasi tutte lavoratori del settore, dando una malattia non grave, e oltre 845 allevamenti in 16 stati americani – potrebbe infatti evolvere, e diventare molto più infettivo per l’uomo, con conseguenze difficilmente immaginabili.
Secondo uno studio pubblicato su Science dai ricercatori dello Scripps Institute of Research di La Jolla, in California, nei giorni scorsi, basterebbe infatti una sola mutazione per modificare radicalmente l’affinità di H5N1 per i tessuti umani e, forse, scatenare una nuova pandemia. Anche per questo la Food and Drug Administration ha emesso una circolare che rende obbligatorio il test per la presenza del virus nel latte crudo, molto popolare negli Stati Uniti. Negli stessi giorni, peraltro, in California c’è stato un richiamo dovuto proprio al ritrovamento di H5N1 in una partita di latte crudo Raw Farm’s, venduto in 30 Stati.
Facciamo il punto
La presenza di virus H5N1 ad alta patogenicità o highly pathogenic avian influenza (HPAI) in bovini da latte è stata segnalata per la prima volta nella primavera del 2024 in Texas e si è rapidamente espansa, raggiungendo diversi stati e colpendo soprattutto il principale produttore di latte e derivati, la California. Fino dalle prime segnalazioni sono state adottate misure quali l’isolamento dei capi malati e qualche vaccinazione, e sono stati controllati prodotti caseari alle frontiere tra gli stati con focolai e parte di quelli giunti nei punti vendita, senza che però si capisse esattamente che cosa fosse successo.
Secondo alcuni, una contaminazione così ampia poteva arrivare solo dalla diffusione attraverso i mezzi di trasporto del latte, ma non è mai stato dimostrato esattamente come, quando e come sia avvenuto il passaggio alle vacche. Nel frattempo il virus si è diffuso e ha già contagiato decine di specie diverse, tra gli animali selvatici, compresi molti tipi di mammiferi.
Il monitoraggio è sufficiente?
Ciò che, secondo alcuni, giustifica la decisione di non intervenire in modo più energico, oltre alle difficoltà legate ad animali così grandi e costosi, che non possono essere soppressi in massa come accade per esempio con i polli, è il fatto che, finora, non è stato dimostrato neppure in un caso un passaggio diretto dai bovini all’uomo, e che la sintomatologia delle persone colpite si è limitata alla congiuntivite e a sintomi influenzali classici, mai molto gravi.
In un articolo appena pubblicato su Science, secondo alcuni esperti la mutazione ipotizzata nello studio dello Scripps è altamente improbabile in natura, e comunque contro l’aviaria esistono vaccini che, pur non essendo estremamente efficaci, hanno comunque un effetto protettivo: quanto si sta facendo sarebbe dunque sufficiente.
Influenza aviaria sottovalutata?
Secondo altri commentatori, invece, l’approccio soft sarebbe assai rischioso, e i pericoli sottovalutati. Che si stia giocando con il fuoco lo confermerebbe il caso di un adolescente canadese ricoverato in condizioni critiche, il cui il virus è mutato. Anche se non si tratta della mutazione ipotizzata nello studio di Science, si tratta comunque di un’altra che raggiunge lo stesso scopo, e cioè rendere il virus più affine ai tessuti umani, e quindi potenzialmente più infettivo per gli esseri umani, e più contagioso.
Tra gli altri, un allarme è arrivato dalla pagine di Time, dove Crystal Heath e Gene Baur, due veterinari e attivisti per il benessere animale, mettono pesantemente sotto accusa tutto il sistema industriale della produzione di latte e derivati, sottolineando come da quasi un anno si stia cercando di ignorare il problema, nonostante l’aviaria sia già passata anche ai maiali di alcuni di quegli stessi allevamenti, oltreché ai lavoratori. Inoltre, la situazione attuale sarebbe la più vicina di tutte quelle verificatesi negli ultimi anni alle previsioni di nuove pandemie: le tessere starebbero andando al loro posto come in un puzzle, la cui composizione finale potrebbe avere esiti drammatici.
Non mancano poi, tra i virologi, coloro che hanno una posizione equidistante, perché sostengono che sia impossibile, al momento, fare previsioni sensate. Oltretutto, le precedenti crisi di aviaria non hanno portato alle catastrofi attese.
Ciò che emerge dalle diverse posizioni è di sicuro un fatto: di virus influenzali ne sappiamo ancora troppo poco, e la pandemia di Covid non sembra aver lasciato segni importanti per quanto riguarda le strategie di contenimento e prevenzione di nuove pandemie, soprattutto quando sono in gioco, come in questo caso, interessi economici estremamente rilevanti come quelli dell’industria del latte.
In Italia
Intanto, anche se in Italia sono prodotti di nicchia, presto una legge bipartisan dovrebbe obbligare a indicare in etichetta la presenza di latte crudo nei formaggi. Secondo quanto riferisce Repubblica due parlamentari liguri, il deputato di Fratelli d’Italia Matteo Rosso e il senatore del Partito Democratico Lorenzo Basso, hanno infatti proposto una norma (due testi, che dovrebbero essere unificati) dopo la morte, la scorsa estate, di Elia Damonte, un bambino di Arenzano di tre anni morto per sindrome emolitico-uremica sviluppata dopo aver mangiato formaggio non pastorizzato contaminato da Escherichia coli acquistato in Valtellina.
La proposta prevede una modifica al decreto 158 del 2012 in materia di sicurezza alimentare, con l’introduzione dell’obbligo di indicare sulla confezione dei prodotti caseari a latte crudo freschi o di media stagionatura il rischio per la salute dei bambini di età inferiore ai dieci anni in maniera visibile e leggibile. Se la legge sarà approvata, ci sarà poi un decreto specifico del ministro della Salute, di concerto coi ministri delle Imprese e dell’Agricoltura per stabilire la dicitura specifica, la grandezza dei caratteri e un nuovo simbolo, oltre alle modalità per l’esecuzione dei controlli sui prodotti in commercio.
Non si tratta di una norma associata alla questione dell’aviaria, ma è comunque un riconoscimento dei rischi associati al latte non pastorizzato.
Negli Usa
E anche negli Stati Uniti, se si dovesse confermare la nomina di Robert Kennedy, convinto oppositore della pastorizzazione e adepto delle più strampalate teorie no vax e cospirazioniste, come ministro per la salute (contro la quale si sono espressi, in una lettera pubblicata sul New York Times, ben 77 premi Nobel), la battaglia sul trattamento del latte, e poi su eventuali campagne di vaccinazione dirette a bovini o umani sarà aspra, anche nel caso l’aviaria resti confinata agli allevamenti.
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Giornalista scientifica