Al supermercato un chilo di castagne costa circa 5-7 euro, mentre si sale a 9-10 euro per un chilo di marroni, in particolare se sono Igp o Dop. Come si distinguono le castagne dai marroni? Le prime hanno forma più schiacciata e sono in genere più adatte ad essere arrostite, i secondi sono bombati e vanno bene sia arrostiti che bolliti, perché la pellicina interna si stacca facilmente.
Oltre ai frutti crudi, da alcuni anni sono in vendita anche versioni già cotte, in confezioni di piccole dimensioni, adatte a essere consumate come snack. Prodotti interessanti, per chi ama questo frutto, perché sono disponibili tutto l’anno e pronte all’uso. I prezzi in questi casi si attestano intorno a 16-22 €/kg per le castagne convenzionali cotte a vapore e 27 €/kg per la versione bio. Quelle arrostite e pelate, da consumare dopo un passaggio nel forno, marchiate Noberasco, sfiorano i 50 €/kg. Dal punto di vista nutrizionale, l’apporto energetico, pari a 165 kcal per 100 g, è piuttosto elevato, ma rispetto ad altra frutta secca hanno un basso contenuto di grassi, fra l’altro ricchi di acidi grassi essenziali. Le castagne, poi, forniscono una buona quantità di carboidrati, prevalentemente complessi, e sono ricche di fibre, quindi hanno un basso indice glicemico.
La produzione di castagne in Italia
Il nostro Paese è sempre stato un importante produttore di castagne, frutto che, fino alla Seconda guerra mondiale, in alcune zone di collina e media montagna rappresentava la principale fonte di energia. La produzione ha cominciato a diminuire alla fine degli anni Cinquanta e ha subito un crollo negli anni 2011-2014, a causa di un insetto parassita di origine orientale: il cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus). Questa crisi è stata superata con la lotta biologica grazie all’introduzione di Torymus sinensis, insetto antagonista che si nutre delle larve del parassita.
Se negli anni Sessanta la produzione era pari a circa 120mila tonnellate all’anno, scese a 50mila nel 2005 e crollate a 18mila nel 2014, successivamente c’è stata un’inversione di tendenza e i volumi sono aumentati, fino ad arrivare all’attuale valore medio di circa 50mila tonnellate (dati Ismea). Nel 2022 l’Italia è stata il quinto produttore a livello globale, dopo la Cina, (responsabile del 76% dei 2,1 milioni di tonnellate globali), la Spagna, la Bolivia e la Turchia (dati Faostat).
“La produzione mostra una tendenza alla crescita. – Fa notare Tatiana Castellotti del Crea – Inoltre confrontando i dati del censimento dell’agricoltura del 2020 con quello del 2010 si nota che oggi i castanicoltori sono più giovani, più istruiti e praticano una maggiore diversificazione aziendale, che coinvolge agriturismo, fattorie didattiche o altre attività. Inoltre, diminuisce il peso delle piccole aziende. Possiamo dire quindi che è in corso una ristrutturazione della castanicoltura che nel complesso diventa più ‘moderna’. Allo stesso tempo, però, continua l’abbandono dei castagneti delle aree montane (sopra i 500 metri) mentre crescono quelli in pianura, anche se hanno un peso ancora trascurabile sul totale.”
Come rilanciare il settore
È un po’ meno ottimista Elvio Bellini, presidente del Centro di Studio e Documentazione sul Castagno di Marradi, secondo il quale per rilanciare il settore sarebbero necessarie azioni mirate su più fronti. “Solo un italiano su quattro – sottolinea Bellini – conosce e consuma le castagne e i marroni. Sarebbe importante promuovere con campagne informative specifiche, per diffondere in modo capillare la conoscenza di questo frutto, partendo anche dalle scuole. Allo stesso tempo, sarebbe necessaria una ‘rivoluzione’ agronomica che rendesse la castanicoltura moderna e meccanizzata.”
“I castanicoltori – prosegue Bellini – sono ancora in gran parte anziani e ‘sfruttano’ le piante in modo tradizionale, accontentandosi di ciò che queste offrono in modo quasi ‘spontaneo’. I castagneti monumentali presenti nelle colline di molte zone d’Italia devono essere curati e valorizzati per l’aspetto produttivo, ma soprattutto per quello paesaggistico e culturale. Allo stesso tempo si dovrebbero realizzare nuovi impianti in zone meno impervie, più facili da raggiungere e da coltivare con le moderne attrezzature agricole, in modo da aumentare la produttività e la redditività, attirando in questo modo agricoltori più giovani e intraprendenti. I margini ci sono, perché è una coltura redditizia. Il nostro Paese detiene ben 16 riconoscimenti europei di eccellenze castanicole fra Dop e Igp, ciascuno dei quali comprende nel suo disciplinare varietà di grande pregio.”
Le importazioni e i consumi di castagne
La produzione nazionale non è sufficiente a soddisfare le vendite di castagne fresche e ad approvvigionare la produzione di marron glacés, farine, confetture e dolci a base di castagne. Quindi dobbiamo importare questi frutti e il nostro Paese è il primo importatore a livello globale, mentre nell’export è secondo solo alla Cina. Il volume importato, nel 2023, è stato pari a circa 17.500 tonnellate (Ismea mercati), e i principali fornitori sono stati Portogallo, Turchia, Spagna e Grecia. L’export, nello stesso anno, ha movimentato 10mila tonnellate di prodotto, dirette principalmente in Germania, Svizzera e Stati Uniti.
Quante castagne si consumano in Italia? Le stime parlano di 15mila tonnellate ma è un dato difficile da calcolare, perché le sagre e i mercatini, in questo caso, hanno un ruolo importante ma gli scambi che si verificano in queste occasioni non sono registrati. “Il fabbisogno di castagne fresche è verosimilmente coperto dalla produzione nazionale, – dice Bellini – mentre il prodotto importato è destinato soprattutto alla trasformazione… oppure nuovamente esportato.”
E per quanto riguarda la qualità? “I frutti prodotti in Italia appartengono per tradizione alla specie Castanea sativa – spiega Bellini – però si stanno diffondendo ibridi (vedi foto sopra) ricavati da incroci con varietà giapponesi o cinesi, come la Bouche de Betizac. Queste risultano competitive, perché precoci rispetto alle castagne tradizionali, inoltre producono frutti molto grandi e attraenti per i consumatori. Peccato che siano molto meno saporite dei nostri ‘vecchi’ marroni. Il risultato è un effetto negativo sul mercato, perché una volta acquistate queste castagne insapori, difficilmente si tenterà un nuovo acquisto. Per avere frutti più saporiti è meglio quindi cercare varietà tradizionali, sia di castagne che soprattutto di marroni.”
© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, Valeria Balboni
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.