Riceviamo e pubblichiamo questa lettera sulla Peste suina a africana firmata da Giancarlo Belluzzi medico veterinario che lancia un allerta per la grave situazione che si sta creando in Italia e non solo.
In tema di Peste suina africana (Psa) il 2023 è partito male in Europa. Mentre il 2022 si chiudeva con un significativo regresso numerico dei focolai, il primo semestre di quest’anno registra ovunque una crescita allarmante con 675 casi in sei regioni. L’Italia mantiene purtroppo il suo trend consueto e pericoloso: dal mese di gennaio ad oggi le segnalazioni di Psa si susseguono con un ritmo incessante e la minaccia che il virus arrivi a contagiare i 5 milioni di maiali allevati nel bacino padano diventa verosimile. Se la Peste irrompesse in questo vasto distretto agro-zootecnico la suinicoltura rischia di chiudere i battenti. È di questi giorni il ritrovamento della carcassa di un cinghiale sulle colline del pavese. Purtroppo, mentre gli allevatori e l’industria della salumeria sono con le mani nei capelli, si ha l’impressione che nulla si muova nei palazzi del potere mentre il virus silenziosamente avanza. Non è un’opinione: i rinvenimenti liguri, piemontesi, laziali e del sud sono il segnale che il virus è vivo e circola fra i due milioni di cinghiali selvatici della dorsale appenninica. Non è neppure colpa dei due Commissari che si sono succeduti o del ministero della Salute, perché anche loro hanno operato ed operano coi fragili “ferri” del mestiere, qual è, ad esempio, la ricerca delle carcasse di cinghiale, segnale quasi sempre certo della malattia allo stato terminale.
Sta di fatto però che, a dispetto di chi, un paio di mesi, fa definiva il fenomeno “non allarmante”, adesso la situazione sta diventando tragica per l’intera filiera. Il bacino padano dell’allevamento e della trasformazione, che comprende le aziende private ed i Consorzi di produzione DOC dei prosciuttifici più rinomati, si troveranno tra poco ad affrontare problemi molto seri se non vengono presi severi provvedimenti. Mentre nuovi focolai sono stati recentemente segnalati in tutta l’Europa, ancora in Polonia (dove la peste è scoppiata dieci anni fa), in Russia, in Bosnia-Erzegovina ed in Croazia, già si parla sui nostri mercati di “accerchiamento a tenaglia del bacino padano”. Persino la Siberia, mai toccata dal virus, ha segnalato un focolaio; e persino l’intera Russia ha deliberato ispezioni a sorpresa nei numerosissimi allevamenti domestici e nei macelli per frenare l’impennata della malattia. Di fronte a queste evidenze cosa possono fare allevatori e industriali del settore più che adottare severe misure di biosicurezza, considerato che un vaccino contro la Psa non è stato certificato? La spada che pende sulle teste degli operatori rimane appesa al dilagare del virus, che può trasferirsi, attraverso un vettore qualunque, dai cinghiali selvatici negli allevamenti, col conseguente blocco dei mercati internazionali. Davanti a questo scenario gli allevatori reclamano a gran voce una presa di posizione decisa a farla finita coi i cinghiali selvatici. Una volta per tutte si formino guardie forestali preparate, volontari addestrati e si vada a copiare dal Belgio: con battute centripete si vada al depopolamento di interi branchi, si recintino le zone. L’alternativa? Mettere in ginocchio un settore che produce un valore di miliardi di prodotto interno lordo.
Giancarlo Belluzzi, medico veterinario
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Miliardi di prodotto interno lordo a spese degli animali ammassati negli allevamenti intensivi!! Forse si riuscirà a cambiare questo sistema grazie alla peste suina! La natura si riprende sempre il suo spazio prima o poi…
io sarei propensa ad abbattere gran parte dei cinghiali che vanno a passeggio in varie città
portano sporcizia e sono in numero troppo alto si riproduco velocemente e di certo non
danno una sicurezza alimentare
Il problema è come fare la riduzione. Sembra facile ma in realtà è molto complicato e fino ad ora non si è riusciti