I cinghiali morti a causa dell’epidemia di peste suina africana, arrivata in Italia nel gennaio 2022, ad oggi sono 554 (498 in Liguria e Piemonte) ne abbiamo parlato qui e qui. Il dato è preoccupante perché il 15% dei casi è stato registrato nelle ultime tre settimane e gli esperti prevedono un peggioramento della situazione. Il rischio è che il virus della peste suina arrivi negli allevamenti suini provocando l’abbattimento di tutti i maiali e l’embargo dell’export del prosciutto crudo di Parma. Per avere un quadro della situazione e capire quali sono le future strategie messe a punto per fronteggiare la situazione abbiamo intervistato Vincenzo Caputo (direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche), nominato tre settimane fa dalla presidenza del Consiglio dei ministri Commissario straordinario per la gestione dell’emergenza.
La peste suina africana si sta diffondendo velocemente fra i cinghiali, quali sono le nuove iniziative che intendete prendere per arginarne l’espansione?
La situazione è molto complessa e deve essere affrontata con una strategia che comprenda diversi strumenti. Stiamo lavorando per adattare al contesto italiano modelli che hanno funzionato in altri paesi tenendo conto delle linee guida comunitarie e delle più recenti evidenze scientifiche.
Le reti dislocate in Liguria funzionano o sono insufficienti?
Le reti applicate in Liguria e Piemonte sono purtroppo incomplete e insufficienti, ma non è opportuno concentrare l’attenzione su questo strumento. La peste suina africana è una malattia complessa, molto legata all’interazione con l’ospite e l’ambiente e quindi dobbiamo pensare in termini di strategia olistica; il fattore umano è senz’altro la questione più importante.
C’è chi sostiene che la miglior cosa sia evitare le battute di caccia ai cinghiali che contribuiscono solo all’incremento del numero di animali liberi nei boschi e ad ampliare il territorio coinvolto.
La caccia può essere praticata in molte forme e non tutte hanno lo stesso impatto sul territorio; è chiaro che il mondo venatorio subisce l’impatto della peste suina africana, ma proprio per questo la fattiva collaborazione dei cacciatori può aiutare a risolvere il problema il prima possibile. Alcune forme di bioregolazione possono essere efficacemente incluse nella strategia di prevenzione e forse anche in quella di eradicazione, specialmente con la creazione di strutture operative a conduzione pubblica che possano centrare l’obiettivo prefissato.
Esiste un reale pericolo di contagio negli allevamenti di suini?
Assolutamente si! Il pericolo di contagio del comparto domestico è altissimo e lo dimostra la Germania in cui si sono già verificati diversi casi di peste suina africana in allevamenti a fronte di un’emergenza che i colleghi tedeschi faticano a fronteggiare nei selvatici lungo il confine con la Polonia. Il sistema veterinario italiano è stato fino ad oggi in grado di proteggere i nostri allevamenti, ma il pericolo continua a essere incombente e le conseguenze di un solo caso nel domestico sarebbero devastanti per il nostro sistema economico.
Fino ad ora le iniziative adottate sono servite a poco, a chi è affidata la scelta e la valutazione della situazione?
In realtà è stato fatto tantissimo soprattutto in termini di prevenzione: abbiamo i manuali delle emergenze, sistemi informativi adeguati, un piano di sorveglianza all’altezza della situazione. Dobbiamo invece cambiare passo in termini di gestione del cluster in Piemonte e Liguria e invertire la tendenza epidemiologica. La struttura commissariale si affianca al ministero della Salute, al Gruppo operativo degli esperti, al Centro di referenza nazionale e all’Unità di crisi centrale, ma ascolta anche altri attori istituzionali come il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Ministero per gli Affari regionali e le Autonomie senza trascurare il livello regionale e locale o il mondo dell’associazionismo. Tutti possono, anzi devono fare la loro parte.
In Sardegna a distanza di 45 anni dal primo caso di peste suina africana ci sono ancora focolai, quale sarà il destino nella penisola?
La situazione in Sardegna è decisamente confortante e favorevole. I pochi riscontri positivi sono solo su base sierologica e rappresentano la coda di quello che, gli esperti, dicono non essere più presente. In Sardegna ormai bisogna probabilmente dimostrare l’avvenuta eradicazione; tutto ciò dimostra che l’applicazione di una strategia forte sostenuta da adeguate risorse economiche permette di vincere una battaglia che, altrove, nel mondo, il virus sta vincendo e che invece in Italia stiamo risolvendo a nostro favore; dobbiamo ricordare che anche nel cluster di Roma stiamo osservando un ottimo trend epidemiologico.
Le associazioni degli allevatori sono molto preoccupate, come tranquillizzarle?
Gli allevatori devono contare sul sistema sanitario nazionale e quindi sui servizi veterinari che sono un eccellenza del nostro paese. Il Governo con la struttura commissariale ha inteso coordinare anche le risorse di agricoltura e ambiente per combattere questa battaglia perché ognuno deve fare la sua parte. Per gli allevatori è cruciale il tema della biosicurezza e in generale la prevenzione: qualsiasi sospetto deve essere segnalato all’autorità competente perché la Peste suina africana si vince con l’early detection.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Che cosè l’early detection?
Perchè si utilizzano sempre più termini che rendono difficile la comprensione dei testi?
Conosco poco l’argomento ma a me sembra che il Commissario, alla fine, abbia detto… niente.