Nei mari del Nord Europa c’è un patrimonio ancora in gran parte sconosciuto, ma che potrebbe costituire una risorsa di enorme importanza per la produzione di nutrienti preziosi, di prodotti per la farmaceutica e la cosmetica, di fibre e di combustibili: quello costituito dalle alghe a foglia larga, le cosiddette lattughe di mare. E, probabilmente non a caso, dai Paesi che si affacciano su quei mari arrivano alcuni progetti assai promettenti, finanziati anche dall’Unione Europea, per uno sfruttamento ottimale e a impatto zero di queste alghe.
Che i mari del Nord siano molto più ricchi di varietà di alghe del genere Ulva rispetto a quanto ritenuto finora lo dimostra uno studio pubblicato su Algal Research, nel quale i ricercatori dell’Università svedese di Göteborg hanno percorso oltre 10mila km di coste di Danimarca, Finlandia, Germania, Norvegia e Svezia raccogliendo campioni, per poi tornare in laboratorio ed effettuare accurate analisi genetiche. Hanno così scoperto che le specie di Ulva presenti sono venti, nove delle quali mai descritte prima e tre delle quali aliene, a rischio di diventare invasive. La classificazione – hanno poi spiegato – e la localizzazione sono di fondamentale importanza, per valutare quali possano essere le specie migliori da coltivare in base alle specifiche necessità e i luoghi dove insediare le colture senza stravolgere gli ecosistemi, e, non da ultimo, per tenere sotto controllo la situazione dei singoli siti, monitorando attentamente le specie pericolose.
È invece già in piena fase di lancio il progetto SeaFree, coordinato dall’Università di Copenaghen e basato anch’esso sulla lattuga di mare, coltivata utilizzando tutti gli scarti dei mangimi e la CO2 prodotti dalle acquacolture di gamberi e pesci. Il progetto, sostenuto con 1,9 milioni di euro dal Fondo danese per l’innovazione e nato in collaborazione con alcune aziende (Pure Algae, DryingMate, Food Diagnostics, Sigrid Therapeutics, XOventure GmbH/Rigi Care, KOST, SOF Odden Caviar and HanseGarnelen) ha avviato la sua fase pilota, con otto vasche da mille litri di acqua salata ciascuna, nelle quali sono riversate appunto la CO2 e i nutrienti, e illuminate da LED. In una sola settimana, le vasche si riempiono di alghe e si può procedere al raccolto di un prodotto che ha un retrogusto di umami. Tutto il sistema, che assicura quindi pesci, gamberi e alghe a impatto zero, è progettato in modo da utilizzare anche l’energia che avanza dal ciclo, per disidratare le alghe destinate alle aziende farmaceutiche o cosmetiche, una volta raccolte. Quelle destinate all’alimentazione, invece, sono oggetto di una parte specifica del progetto, che prevede lo studio di nuove ricette che includano la lattuga di mare, per renderla sempre più gradevole e accettabile anche per tradizioni culinarie che non la prevedevano, valorizzandone le notevoli proprietà nutrizionali.
Secondo i coordinatori del progetto, questo sistema è facilmente riproducibile, perché non richiede strumentazioni sofisticate, e se fosse adottato anche solo da metà delle acquacolture del mondo, l’effetto sulle emissioni e sugli scarichi dei rifiuti sarebbe alquanto significativo. Per tale motivo si sta cercando di dare forma a una società che offra le SeaFree Synergy Solutions, e c’è già un cliente: la Corea del Sud.
Ma SeaFree non è l’unico progetto europeo. Tra gli altri, si segnalano Seafood Alg-ternative, finanziato con i fondi europei per il mare e la pesca e finalizzato a mettere a punto sostituti del pesce a base di alghe (ne abbiamo parlato più in dettagli in questo articolo), e North Sea Farm 1, che sta nascendo in un parco eolico olandese, nel quale sarà anche studiata, nel dettaglio, la capacità delle alghe di assorbire la CO2 in una zona – quella tra una pala e l’altra – che non potrebbe avere molti altri tipi di utilizzi e che grazie alle alghe dovrebbe richiamare altre forme di vita.
Un altro progetto finanziato dall’Unione Europea è AlgaeProBanos, che rientra nei bandi di Horizon Europe e dovrebbe supportare anche lo sviluppo della parte informatica dei progetti relativi alle colture di alghe nei Paesi nordici. AlgaeProBanons fa parte del Submariner Network interamente dedicato allo sviluppo di vari tipi di prodotti a base di alghe, da crescere in aree dei mari del nord Europa che non hanno altre possibili destinazioni come quelle industriali dismesse. Al Submariner Network partecipano 26 partner dei Paesi nordici, che nei prossimi anni realizzeranno i primi sei impianti pilota per la produzione di micro- e macroalghe coltivate per vari scopi appunto nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. L’obiettivo è arrivare ad avere non meno di otto nuovi prodotti nei diversi ambiti in quattro anni (alimentare, farmaceutico e cosmetico). Tutto il settore è insomma in grande effervescenza, soprattutto in quei Paesi che hanno grandi aree marine da destinare alla coltura, perché si ritiene che sia molto più semplice inserire nelle abitudini alimentare le alghe rispetto ad altri novel food come gli insetti e perché le alghe non solo non emettono CO2, ma catturano quella che c’è in atmosfera.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock, Algama
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Giornalista scientifica