Gli italiani non hanno cambiato solo il loro rapporto con la cucina, ma anche con il ristorante e il modo in cui ne fruiscono, tra food delivery, celebrity chef e nuovi menu. Ne parla Giovanni Ballarini, in un articolo di approfondimento pubblicato su Georgofili.info, notiziario di informazione a cura dell’Accademia dei Georgofili.
Jules Gabriel Verne (1828-1905), considerato uno dei padri della moderna fantascienza, immagina che nelle città del futuro vi saranno strade mobili, macchine aeree e nelle case rubinetti che permettono di ottenere tè e brodo di carne, quest’ultimo componente fondamentale dell’allora dominante cucina francese. Avere il cibo pronto in casa non è più fantascienza e il food delivery, la consegna a domicilio di cibo, è oggi un mercato che sembra interessare circa un terzo degli italiani – poco meno di quattro milioni regolarmente e circa quindici milioni occasionalmente – per diversi motivi: scarsa voglia, tempo o capacità di cucinare, non rinunciare a una buona cucina senza dover uscire di casa, voglia di stupire amici e parenti con piatti di qualità, desiderio di provare piatti nuovi e originali.
Un fenomeno che oltre a influire sui consumi contribuisce anche a cambiare i gusti e le abitudini alimentari e il ruolo della ristorazione, con la comparsa per esempio delle dark kitchen o ghost kitchen, ristoranti virtuali o cucine chiuse, evoluzione del food delivery, pensate esclusivamente per la produzione di piatti da asporto e dove il cliente non si reca mai fisicamente (ne avevamo parlato in questo articolo). La cucina di un ristorante senza sala diviene quindi il pacco di un pranzo o una cena da consumare a casa. La novità e la forza del servizio a domicilio e soprattutto delle cucine esclusivamente a loro dedicate sono i big data e cioè la raccolta e conoscenza delle preferenze e dei profili degli utenti che sono organizzati e studiati. Chi possiede quei dati può predisporre gli acquisti, organizzare il lavoro e fare proposte in base alle pietanze più richieste in un dato periodo, quali sono le più ordinate secondo i giorni della settimana, la stagione, la situazione climatica o altro, facendo fronte agli ordini da consegnare ai rider delle varie imprese di distribuzione, in un nuovo modello di cucina globale che alle cucine virtuali dà la possibilità di gestire al meglio la domanda dei clienti. Per ora questo particolare tipo di ristorazione rientra nel campo del take away, locale per la produzione del cibo da asporto, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista di autorizzazioni, misure di sicurezza e quant’altro.
Non sappiamo se e come la cucina per il solo asporto, nella quale la sala diventa la casa del consumatore, potrà evolvere, ma rispetto ai ristoranti classici porta sicuramente dei vantaggi perché attraverso la raccolta e l’analisi dei dati relativi agli ordini e la zona in cui opera è possibile prevedere le richieste del mercato muovendosi di conseguenza. Vi è inoltre meno stress sulla cucina occupandosi solo degli ordini online, con meno rischio di ritardi per la preparazione degli ordini. Inoltre la cucina per solo asporto è spesso anche il luogo ideale che permette agli chef e alle loro creazioni di spostarsi per far assaporare la propria inventiva anche fuori dal paese nel quale operano quotidianamente.
Il cibo non è solo alimento e cultura, ma è anche soprattutto convivialità che parte dall’ambiente dove questo è consumato e con chi. La dark kitchen può essere un nuovo modo di concepire la ristorazione in una convivialità non scomparsa, ma solamente spostata presso la casa. In famiglie di dimensioni sempre più ridotte o di un single che vogliono far un invito senza avere la possibilità, la voglia o i fastidi di fare cucina, importare un’intera cena o uno o due piatti pronti è il migliore sistema per una convivialità senza incomodi e più libera. La vita moderna è caotica e frenetica e altrettanto pratico e veloce deve essere il mondo che la circonda. È difficile, se non impossibile, prevedere il futuro anche se è possibile pensare a un tipo di cucina che si affianca alle altre già consolidate di cucina familiare, del ristorante, della pizzeria, come abbiamo accettato il cibo surgelato o precotto che non ha sostituito quello fresco, in un contrasto tra gusti e comportamenti antichi e nuovi, in una perenne presenza neofobia e neofilia.
Bambini, giovani, adulti e anziani hanno percezioni del gusto diversi. Inizialmente prevale il gusto del dolce, poi inizia quello del salato e gli ultimi a essere apprezzati sono quelli dell’amaro e del piccante. Negli anziani la soglia della percezione dei sapori diminuisce. Con il cambiare dell’età muta e diversa è la memoria gustativa e la valutazione della tradizione. Per il ‘paradosso dell’onnivoro’ l’uomo è combattuto tra la prudenza nei confronti del nuovo (neofobia) e il bisogno di novità e di varietà (neofilia), tra la sicurezza del noto e la curiosità per l’ignoto, quindi tra tradizione e innovazione. Queste caratteristiche hanno però un peso e un ruolo diverso tra giovani e anziani. In diverse età anagrafiche, secondo il contesto culturale, vi è il passaggio tra un gusto infantile–familiare di neofobia o indifferenza al nuovo, a un gusto giovanile–innovativo guidato da una curiosità dell’altro e del nuovo anche con neofilia, a un gusto anziano-conservativo di neofobia. Questi gusti hanno intensità diverse nelle singole persone e i passaggi avvengono in date anagrafiche differenti. Nel contesto brevemente tratteggiato cambia anche il ruolo del ristorante e degli chef.
Nato con lo sviluppo della società borghese e di una cucina borghese nel XIX secolo in Francia, il ristorante, come termine ma soprattutto come sistema di ristorazione pubblica attenta al privato, si diffonde in tutto il mondo arrivando anche in Italia, dove il termine per la prima volta è attestato nel 1877. Questo ristorante è lo specchio della cucina delle buone famiglie borghesi con la loro tradizione e ne subisce valori, la sorte e il destino. Alla fine del XX secolo anche in Italia nasce e si diffonde il ‘ristorante dello chef’, che si qualifica con una cucina dove il cuoco, con i suoi collaboratori è un artista che, come in una bottega d’arte rinascimentale, si esprime nel campo dell’arte culinaria, gastronomia e pasticceria. Lo chef è colui che sovrintende ed è responsabile di tutte le attività che si svolgono nel reparto cucina, il cuoco esegue ciò che è stato deciso dallo chef e coordina il personale di cucina. ‘Chef’ è una parola usata come sinonimo di un creativo, che pur non potendo brevettare una sua ricetta, interpretazione anche di un piatto tradizionale, crea un’opera dotata di valore gastronomico che può anche dare avvio a una moda o indirizzare un gusto e non da ultimo creare una nuova tradizione.
Nel XXI secolo la ristorazione è sempre più social e gli chef sono frequentemente in televisione, intervistati sui giornali divenendo importanti influencer gastronomici, ma anche alimentari e non solo. I social network e internet rivoluzionano la vita dei ristoranti per i quali il passaparola non è più sufficiente. Essere presenti sui social nei tempi e nei modi giusti con una cucina innovativa, che può anche creare tradizione, è fondamentale per comunicare la propria identità differenziante dello chef, non lasciando spazio alla concorrenza ed aumentando il proprio bacino d’utenza. È su queste nuove vie che gli chef diffondono le loro interpretazioni delle tradizioni e ne creano di nuove (l’hamburger da cibo povero diviene piatto d’élite, come si tenta anche di fare con la pizza gourmet, ecc.). Si può pensare che molte di queste innovazioni sono solo mode e come tali passeranno, ma alcune certamente diverranno le tradizioni di un futuro in costruzione.
Considerando gli ultimi decenni, i ristoranti, da custodi e interpreti di una cucina di una borghesia in tramonto si sono in gran parte trasformati in laboratori o botteghe, come quelle rinascimentali, di trasformazione della tradizione e soprattutto di innovazioni, per cui è al ristorante nuovo che in buona parte, oltre che all’industria alimentare e alla grande distribuzione, che bisogna attribuire il cambiamento di molti gusti e stili alimentari italiani, che poi rapidamente diventano nuove tradizioni.
In una ‘inversione della tradizione’, non più trasmessa ma continuamente innovata e creata dai ristoranti e diffusa dagli chef con i nuovi media di comunicazione, che gli italiani imparano a mangiare il pesce, di ogni specie e anche crudo, conoscono e imparano ad apprezzare cibi e preparazioni gastronomiche di altre regioni e Paesi, anche esotici, ad abbinare cibo e bevande. In modo analogo gli italiani dai ristoranti imparano a modificare anche profondamente il classico e tradizionale menù dei pasti accettando nuovi stili di tavola che risuscitano il buffet, imitano il brunch a metà tra colazione (breakfast) e pranzo (lunch) della tradizione statunitense, gli antipasti rinforzati che sostituiscono una o due portate tradizionali, gli apericena al posto della cena.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Non amo andare fuori a mangiare. Preferisco faticare io. Qualche volta andiamo in un delizioso bistrot siciliano a due passi da casa.