Quando acquistiamo un alimento “industriale”, come una pasta ripiena, un secondo, un sugo, o anche una bevanda alla frutta o un prodotto da forno, spesso la scelta non è semplice perché l’offerta è sempre più ricca. Allora è facile affidarsi a ciò che ci colpisce di più, sulla confezione: l’immagine, la denominazione e gli ingredienti posti in evidenza. Sappiamo che l’immagine spesso è un semplice “suggerimento di presentazione” (e il produttore è tenuto a scriverlo, per legge), ma è comunque difficile sfuggire al fascino di una foto ben fatta.
E anche il nome del piatto, a volte, può trarre in inganno, in particolare quando sono vantati ingredienti pregiati, come crostacei, funghi porcini o aceto balsamico, presenti magari in quantità irrisorie.
Nei ravioli Rana “Oro rosso”, per esempio, ripieni di astice e gamberi, la polpa d’astice rappresenta il 20% del ripieno, che a sua volta corrisponde al 59% del prodotto. Una porzione da 125 g quindi, contiene 15 g scarsi di polpa d’astice e una pari quantità di gamberi. La quantità di crostacei è ancora inferiore nel risotto liofilizzato alle zucchine e gamberetti a marchio Conad. In questo caso la busta da 175 g corrisponde a due porzioni, per prepararla però sono necessari 600 ml di acqua: il peso finale sarà pari a 775 g, quindi circa 390 g a testa. La percentuale di gamberetti, sul totale è l’1,8%, quantità che corrisponde a 7 g.
Rimanendo sul gusto “pesce”, le Fantasie al salmone Philadelphia, piccole porzioni di formaggio spalmabile, contengono solo l’1,5% di salmone, affiancato dagli “aromi”.
Il discorso è simile per i piatti arricchiti con funghi porcini. Una porzione (250 g) di risotto ai porcini Viva la mamma-Beretta contiene 8,4 g di questi funghi pregiati. Il risotto disidratato Knorr Risotteria ai porcini dichiara l’1,1% di porcini, quantità che, tenendo conto della reidratazione, corrisponde a 4,3 g a porzione. Nei ravioli Conad ai funghi porcini il ripieno pesa per il 50% e i porcini ne rappresentano il 15%, una porzione da 125 g, quindi, ne contiene 9,4 g. Una quantità maggiore è presente nelle tagliatelle ai porcini surgelate Findus-4 Salti in padella, dove una porzione da 275 g ne contiene quasi 15 g.
L’aceto balsamico è un condimento pregiato e profumato. Per insaporire un piatto ne basta poco e certo non è in eccesso quando va ad arricchire i piatti pronti che troviamo al supermercato. L’hamburger di bovino con parmigiano reggiano e “aceto balsamico di Modena Igp” Fior fiore Coop contiene il 4% di crema all’aceto balsamico, la quale a sua volta è preparata con il 20% di aceto balsamico, si tratta quindi dello 0,8%, che in un hamburger da 180 g, corrisponde a 1,4 g.
Anche l’olio extra-vergine di oliva è un ingrediente di cui vantarsi. L’olio extra-vergine si trova ben in vista sul lato principale della confezione delle Piadinelle Morato gusto mediterraneo, nell’elenco degli ingredienti, però, pesa solo per il 2%, ed è al quarto posto, preceduto dall’olio di semi di girasole (5%). I taralli pugliesi con olio extra-vergine di oliva della linea Fior fiore Coop contengono il 4% di olio evo, anche in questo caso, però è preceduto da un generico “olio di oliva”, evidentemente più abbondante. Nei cracker Esselunga al rosmarino con olio extra-vergine di oliva, troviamo un 3,2% di olio evo, preceduto, nell’elenco ingredienti, da olio di mais.
A volte, leggendo l’elenco ingredienti, scopriamo che un prodotto non è proprio equivalente a ciò che si prepara a casa. Nel brodo di pollo Star, per esempio, il pollo rappresenta solo il 2,4%.
In alcuni casi gli ingredienti “sbandierati” suggeriscono aspetti salutistici. Questo accade, per esempio, con alcuni prodotti integrali, in cui la farina integrale è mescolata con farina bianca, oppure ricostituita aggiungendo cruschello alla farina bianca. I biscotti Oro Saiwa Cruscoro vantano sulla confezione la presenza di farina integrale, questa però è solo il 22%, mentre il 49% è dato da farina setacciata. Lo stesso accade con i Cracker Integrali Tuc, nel cui elenco ingredienti si legge: farina di frumento 61 %, farina di frumento integrale 19 %. Oppure nei cracker Doriano Doria Integrale a base di farina di frumento e cruschello di frumento, senza nemmeno l’indicazione della percentuale di cruschello.
Lo stesso può accadere con le bevande al mirtillo o alla melagrana, frutti ricchi di sostanze antiossidanti. Attenzione perché sul mercato si trovano ottimi succhi al 100%, o comunque con una percentuale elevata, accanto ad altri in cui è piuttosto bassa. La bevanda Rauch Bravo Premium al mirtillo, per esempio, contiene solo il 12% di succo di mirtillo, mentre nella bevanda a base di mirtillo Santal Plaisir il contenuto di succo e polpa del piccolo frutto si ferma addirittura al 5%.
Nella bevanda Arizona al Tè verde e melagrana il succo di frutta rappresenta il 5% della bevanda e il melograno, in particolare l’1,6%. Una bottiglia di questa bibita, pari a 500 ml, contiene 8 ml di succo di melograno…e oltre 40 g di zucchero. Interessante è anche la bevanda Aloe vera Pomegranate (a marchio Tropical), con la denominazione commerciale di bevanda analcolica con Aloe Vera gusto Melograno. Qui il succo di Aloe è presente per il 20%, ma del melograno c’è solo l’aroma!
Insomma, è sempre importante leggere con attenzione le etichette, ancora di più se cerchiamo alimenti con ingredienti particolarmente “pregiati”.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Sarà che vi seguo da sempre, avevo già notato la questione. Proprio negli ultimi giorni mi è capitato in catalogo del cacio al tartufo ed ho lasciato fare, magari per curiosità leggerò quanto ne ha. In generale sono come scrivete specchietti per allodole, servono a fare pagare roba che non c’è… Uno dei settori in cui viene più usata è quella delle bevande, che peraltro sono bevande appunto non succhi, però a volte ci si inganna. Come avete scritto, il mirtillo è uno dei prodotti, nei prossimi anni la nuova bevanda miracolosa dovrebbe essere il melograno, lo metteranno ovunque.
Come ho scritto altre volte, siamo alla “dittatura delle etichette”: difficile poter fare a meno di leggerle! E peraltro i caratteri usati non aiutano…
Da parte mia una soluzione è quella di non acquistare prodotti “novità”, cerco di restare su quelli che conosco. Anche se non sempre basta, capita che cambiano magari gli ingredienti.
Oppure cose strane. Ho sottomano della pasta di semola di grano duro, al suo posto c’è scritto “può contenere soia” e questo mi sembra che è normale. Poi però altrove, dove c’è il rettangolo bianco con la scadenza, hanno aggiunto “può contenere senape”. Se non andavo a vedere la scadenza, mi sarebbe sfuggito. Io non ho problemi con la senape, ma chi la ha? Lo scrivo da sempre: gli allergeni andrebbero scritti in modo molto più evidenti, preferibilmente in una posizione specifica che sia “sott’occhio”.
Gentilissimo, abbiamo notato anche noi un’etichetta analoga, ma non era di pasta. Potrebbe inviarci delle fotografie dell’etichetta? ilfattoalimentare@ilfattoalimentare.it graze
Salve, fin da giovane sono stato introdotto all’alimentazione vegetariana e bio, la fortuna di vivere in Alto Adige, provincia pioniera del biologico. Sono poi passato verso i 40 anni alla scelta vegana, ho lavorato negli anni, per alcune multinazionali del settore alimentare, apprezzando ancor di più la mia scelta e il mio stile di vita, i prodotti industriali sono sicuri dal punto di vista igienico( ma non del tutto) ma per quanto riguarda la qualità organolettica delle materie prime, c è da mettersi le mani nei capelli, meglio i produttori bio certificati, in Italia ci sono controlli più stretti e seri sul biologico.
Buongiorno,
mi occupo di sicurezza alimentare da decenni.
Purtroppo emergono evidenze di allergeni, presenti nelle materie prime, in questo caso le semole, che derivano direttamente dalla coltivazione, o dalle fasi di raccolta e stoccaggio.
In questo caso il pastificio ha correttamente indicato la possibile presenza di senape in uno spazio che a lei sembra non corretto, ma in realtà è uno dei più controllati, ovvero lo spazio di lotto e data di scadenza.
Le bobine di imballaggio costano molto care, i pastifici devono averne per tutti i formati di pasta (ne gestiscono normamente da 30 a 50 per marchio a seconda delle referenze a catalogo, e per le varie pezzatura), a volte si trovano a dover gestire nuove indicaizoni di allergeni, di derivazione dalla materia prima, e correttamente mettono un avvertimento dove possono, senza gettare quintali di bobine o di cartoncino prestampati, i cui costi tra l’altro sono alle stelle.
Per quanto riguarda il commento relativo alla pasta bio, in questo caso la contaminazione da soia e senape può esserci lo stesso, perché deriva dalla coltivazione del cereale, addirittura la senape è stata approvata come coltura da sovescio come miglioratrice del terreno, anche dal disciplinare del biologico, ha dei semini molto piccoli che aderiscono al chicco di grano, e anche le operazioni di pulitura e decorticatura non ne garantiscono l’assenza nelle semole (è lo stesso anche per le farine).
Comunque la possibile contaminazione da senape è già storia, alcuni molino stanno indicando la possibile presenza di lupino, altro allergene, e altra coltura miglioratrice che si alterna al cereale. Finché non saranno stabilite delle soglie di sicurezza per i suddetti allergeni, il produttore ne dovrà indicare la possible presenza sulle confezioni, e lo farà dove è possibile.
Ha senso fare questa lunga carrellata di prodotti SENZA DIRE CHIARO E TONDO CHE SONO TUTTI PERFETTAMENTE COERENTI CON LA NORMATIVA?
L’art. 22 del Reg.UE 1169/2011 prevede infatti solamenente che quando un’ingrediente viene ad essere evidenziato in etichetta o è caratterizzante, ne va indicata la quantità presente (QUID).
Mi pare che per tutti avete riportato la percentuale e quindi in etichetta c’era.
Cosa vorreste insinuare?
È chiaro ed evidente che sì, ha perfettamente senso. Nell’ottica di mettere sull’avviso il consumatore che, per abitudine e per costrizione dei ritmi ossessivi della vita quotidiana, non sempre ha il bilancino elettronico o la calcolatrice scientifica al seguito quando si trova davanti agli scaffali. Se per Lei essere conformi alla normativa equivale di per sé a produrre il miglior prodotto possibile e inoltre a veicolarlo con trasparenza e oggettività, secondo me sbaglia di grosso.
Nessuno insinua niente, si offre un servizio al consumatore invitandolo a leggere con attenzione le etichette.
Gentile Squillantini, nessuno mette in dubbio che i prodotti siano conformi alla normativa. L’intento è semplicemente quello di sottolieare ancora una volta quanto sia importante leggere le etichette. Leggendo le etichette si possono cogliere differenze fra prodotti che magari a prima vista sono equivalenti.
Concordo con il commento di Francesco L. Certo che è tutto in regola, ma il senso dell’articolo è chiarissimo: “occhio al prezzo”… questo è ciò di cui ci stanno avvisando con la questione di questi non a caso “ingredienti pregiati”. Ed in secondo luogo ci avvisano della possibile “delusioni”: citando il caso da me riportato del tartufo, in questi prodotti rimarrò deluso dal sapore di tartufo, in quanto presente in percentuali basse. La sua polemica non la comprendo… Ripeto, come scritto nel mio primo commento: di questa cosa io me ne ero già accorto, perché è “evidente”.
@R.Squillantini
Insinuare?
E’ DETTO CHIARO E TONDO che gli ingredienti pregiati sono inseriti in etichetta come da normative, e, almeno in questi casi, dalle quantità dichiarate si evince che sono solo ed esclusivamente specchietti per le allodole.
A tal proposito è nota la storiella del macellaio che vantava le sue “polpettine di allodola”, e che richiesto se ci mettesse anche carne di cavallo, rispose che sì, ne metteva il 50%… un’allodola e un cavallo.
Una domanda che mi sorge spontanea: appurato che le etichette citate, sono tutte conformi all’attuale normativa vigente in termini di etichettatura; in che % devono essere presenti alcuni ingredienti (quid), per poter dire che effettivamente sono presenti all’interno del prodotto in modo significativo?
Grazie
Francesca L.
Non occorre raggiungere una percentuale minima per poter ostentare un ingrediente.
Tornando al discorso del ‘quid’, è obbligatorio indicare in etichetta la quantità dell’ o degli ingredienti caratterizzanti di un prodotto. Secondo me i prodotti più ridicoli in questo senso sono quelli ‘al tartufo’ dove il caratteristico sentore di tartufo non è assolutamente derivante dalla ridicola quantità di tartufo utilizzato (si trovano tranquillamente etichette con tartufo presente dallo 0,5 al 2-3%), ma dall’aroma, il più delle volte di sintesi, che viene utilizzato. Però è tutto scritto in etichetta, il quid è indicato e per la legge è tutto regolare. Basta leggere, per evitare di farsi fregare.
Se poi aggiungiamo che questo modo “poco serio” – al di là della normativa – impedisce di riconoscere con relativa facilità un prodotto che invece rispetta quanto pubblicizzato sulla confezione, c’è un ulteriore danno. Eh sì, signor R.Squillantini, perchè chi lavora bene e seriamente ha diritto a essere premiato con l’acquisto del prodotto. C’è una concorrenza sleale: chi l’EVO CE LO METTE spende di più per fare quel prodotto.
L’altro giorno ho – svogliatamente – preso in mano una confezione di taralli pugliesi all’interno di un supermercato che organizzava una rassegna gastronomica regionale. Ero già pronto a riporre la confezione per la solita furbizia di segnalare in bell’evidenza l’uso dell’olio extravergine dioliva – un’eccellenza del nostro Paese – quando … ohibò, il pastificio aveva usato veramente solo olio extravergine di oliva!!!
Il caso dei ravioli Rana con astice e gamberi mi pare poco calzante. 20% di astice + 20% di gamberi sono una percentuale assolutamente accettabile per un ripieno. Provate a farli a casa e vedrete che una percentuale maggiore di pesce non permetterebbe al ripieno di essere consistente. Li ho assaggiati e il sapore di pesce si sente perfettamente.