La guerra in Ucraina, oltre a essere una tragedia per milioni di persone che ogni giorno rischiano la vita e si vedono costrette a lasciare il proprio Paese, ha un forte impatto economico non solo sulla stessa Ucraina, ma anche su molti territori europei ed extra europei. Quest’impatto non riguarda esclusivamente il gas e le fonti energetiche, ma anche diverse produzioni agricole, come i cereali, in particolare il mais, e l’olio di girasole. Tra i prodotti tradizionalmente esportati dalle regioni coinvolte nel conflitto spiccano però anche i fertilizzanti. Ora che queste esportazioni sono bloccate, l’impatto di tale carenza, probabilmente trascurato dai non addetti ai lavori, coinvolge tutte le coltivazioni e rischia di essere significativo anche per il nostro Paese.
Secondo un’analisi di Coldiretti su dati Istat, infatti, importiamo annualmente in Italia ben 136 mila tonnellate di fertilizzanti dall’Ucraina, 171 mila dalla Russia e 71 mila dalla Bielorussia. La mancanza di 378 mila tonnellate complessive di concimi potrebbe avere ripercussioni negative sia sulle semine primaverili, come mais, girasole e soia per l’alimentazione degli animali, sia su quelle autunnali, come il frumento. Per far fronte a questo problema emergono diverse soluzioni, una delle più efficienti sarebbe quella di sfruttare gli scarti delle filiere agroalimentari. Un esempio particolarmente interessante in questo senso è rappresentato da ciò che rimane dopo la coltivazione dei funghi: il cosiddetto substrato spento di fungaia.
“I funghi champignon (Agaricus bisporus) sono coltivati su di un substrato fatto di paglia e pollina o letame di cavallo – spiega Andrea Prando, presidente dell’Associazione italiana fungicoltori –. Questo materiale viene trattato in modo da eliminare eventuali parassiti e abbassare la carica batterica, poi viene ‘seminato’ con il micelio per la crescita dei carpofori, cioè della parte dei funghi comunemente intesi, costituita da gambo e cappello. Un substrato di questo tipo è utilizzabile per quattro cicli produttivi, poi deve essere eliminato, perché la sostanza nutritiva non è più adeguata alla coltura dei funghi. A quel punto può quindi essere utilizzato direttamente come fertilizzante, senza alcun tipo di intervento”.
La produzione di funghi coltivati in Italia ammonta a circa 60 mila tonnellate all’anno, che corrispondono a oltre 200 mila tonnellate di substrato spento. “Il substrato spento di fungaia è stato inserito nell’elenco dei prodotti che possono essere utilizzati come fertilizzanti solo da due anni, ma non è ancora valorizzato in questo senso – continua Prando –. Attualmente è usato soprattutto nel florovivaismo, un settore che non ha particolari esigenze, invece, essendo ricco di sostanze nutritive, sarebbe più ragionevole utilizzarlo per l’agricoltura. Le ricerche condotte dall’Università di Padova, che ci ha accompagnati nel percorso per il riconoscimento di questo ‘scarto’ come fertilizzante, mostrano che è particolarmente indicato per concimare colture pregiate, come il porro. Ha dato inoltre risultati interessanti anche con il finocchio, il pomodoro e il radicchio. Si tratta insomma di un concime di ottima qualità, che può essere reperito a prezzi molto bassi”. La sua diffusione in agricoltura sarebbe una scelta più ecologica rispetto al concime chimico, e si tratterebbe inoltre di un modo per chiudere la filiera in un’ottica di economia circolare.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.