In Emilia, le tradizioni locali legate alla lavorazione delle carni di maiale sono indicate con il termine di inftidûra dal ninén. Inftidura significa investitura, cioè insaccatura delle carni e dei grassi dell’animale e legatura con lo spago. Il termine investitura è antico. Nel Medioevo, significava assegnare una dignità a un vassallo ed era compiuta dal signore feudale. L’assegnazione di una carica o di un beneficio di questo tipo era accompagnata dalla consegna di una cappa o di un ornamento (in vestire). Da qui investire significa conferire dignità e questo avviene anche per le carni quando sono investite e si trasformano in salumi o, appunto, insaccati.
Del maiale, come è noto, non si butta via niente. Oltre alle parti pregiate, quindi, vi sono i visceri, la cotenna e altre parti che costituiscono tradizionalmente gli involucri dei principali insaccati. Le più utilizzate sono l’intestino, la vescica, il sacco pericardico, la membrana sierosa che riveste il grasso renale e alcune parti della cute. Queste possono essere ottenute anche da altre specie, quali la bovina (vescica, esofago) e l’equina (colon). A tali involucri naturali sono stati recentemente aggiunti involucri artificiali, organici (realizzati con ritagli e scarti di lavorazione o con il collagene) e sintetici. In generale, gli involucri degli insaccati devono essere considerati sotto diversi aspetti: igienico-sanitario, organolettico-qualitativo, merceologico, tecnologico e culturale.
Per quanto riguarda il profilo igienico-sanitario. Gli involucri naturali d’origine animale, se non sottoposti ad accurata sanificazione, possono risultare contaminati da batteri e compromettere la fermentazione e conservazione del contenuto. Per scongiurare questo rischio, non è sufficiente il lavaggio, anche se fatto in acqua calda, come avveniva un tempo nella macellazione casalinga. È invece difficile che si verifichi una tale evenienza con gli involucri artificiali, che sono sottoposti a severi processi di sanitizzazione, inoltre quelli di cotone e lino sono inodore, insapore, non irrancidiscono e non hanno problemi di conservazione. Gli involucri sintetici o plastici, invece, possono cedere composti indesiderati e, tra questi, plastificanti come ftalati e adipati.
Rispetto al ruolo della pelle sotto il profilo organolettico, occorre chiarire che le caratteristiche di un insaccato sono il risultato di un’interazione tra l’ambiente, i costituenti del prodotto, l’involucro e la durata della maturazione. In questo quadro, l’involucro naturale svolge un ruolo fondamentale nella lavorazione degli insaccati tipici, intervenendo nella protezione del prodotto, garantendo la permeabilità necessaria per un’adeguata e omogenea asciugatura e maturazione. Inoltre, negli insaccati a media e lunga stagionatura, il budello naturale condiziona lo sviluppo di muffe superficiali gradite e i fenomeni fermentativi ed enzimatici naturali dell’impasto. Lo testimonia il largo impiego che trova, soprattutto nei prodotti tradizionali con radici geografiche e storiche e nei prodotti tipici che seguono un disciplinare. La moderna tecnologia industriale, attraverso la climatizzazione durante le fasi di lavorazione ricrea condizioni ambientali simili a quelle tipiche di realtà territoriali e, intervenendo sui parametri ambientali e temporali, diviene possibile impiegare involucri di calibro e permeabilità differente, senza discostarsi molto dagli standard organolettici previsti per le diverse tipologie di prodotto.
Sotto il profilo merceologico, tecnologico e culturale, l’attuale diffusione di involucri artificiali e sintetici ha molte motivazioni. Con la prevalenza dei maiali leggeri, la disponibilità di budelli naturali è limitata, soprattutto dopo l’abbandono precauzionale dell’utilizzo dei budelli bovini in seguito all’emergenza sanitaria della Bse e dei budelli suini di importazione da Paesi orientali per la presenza di contaminanti e residui indesiderati. Gli involucri artificiali hanno un basso costo, migliore resistenza alle rotture, maggiori possibilità di utilizzo nella produzione di insaccati di grandi dimensioni, facile standardizzazione e permettono di ottenere prodotti di pezzatura uniforme. Inoltre possono essere usati negli insaccati di carni bovine o avicole destinati a popolazioni di religione ebraica e islamica. Per quanto riguarda l’etichettatura, mentre con quelli naturali e con gran parte di quelli artificiali organici, considerati facenti parte del prodotto alimentare, non vi è alcun obbligo di indicazione come ingrediente, con quelli sintetici, in quanto non eduli, è prevista l’indicazione in etichetta, unitamente all’invito a non ingerirli.
Un contributo sulla questione dei budelli è arrivato da Marcello Benetti direttore del Consorzio tutela budello naturale del consorzio e si può leggere cliccando qui.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Articolo Interessante ma a proposito di obbligo di etichettatura mi chiedo per i wurstel che di solito vengono mangiati insieme all’involucro come si può sapere di cosa è fatto quest’ultimo?