La variante inglese non solo ha preso il sopravvento in Italia, ma rappresenta ormai più di tre quarti delle nuove infezioni da Sars-CoV-2. Lo rivela il rapporto della terza indagine rapida sulla prevalenza delle varianti dell’Istituto superiore di sanità (Iss), pubblicata il 30 marzo e realizzata insieme a ministero della Salute, laboratori regionali e Fondazione Bruno Kessler sui tamponi positivi al coronavirus notificati il 18 marzo. Il terzo monitoraggio è stato svolto a un mese esatto dallo studio precedente, quando la prevalenza della variante identificata per la priva volta nel Regno Unito era al 54%.
Secondo i dati dell’Iss, la cosiddetta variante inglese (B.1.1.7 ), dunque, si è ampiamente diffusa su tutto il territorio nazionale e ha ormai raggiunto una prevalenza dell’86,7%. Si registrano comunque variazioni importanti tra le regioni, con percentuali che oscillano tra il 63,6% della Liguria e il 100% della provincia autonoma di Trento e della Valle d’Aosta, dove però sono stati presi in considerazione solo due campioni per l’indagine.
Per quanto riguarda, invece, la variante brasiliana (P.1), la prevalenza è rimasta stabile al 4% (un mese prima era al 4,3%), seppur con differenze notevoli sul territorio. Le regioni in cui è più diffusa sono l’Umbria, dove circa un terzo dei casi è ancora rappresentato da questa variante (32%), anche se in diminuzione, seguita dal Lazio, dove la prevalenza è al 20,5% in aumento, e poi Liguria, Molise e Toscana sopra il 10%. Nove regioni e province autonome, invece, non ne hanno rilevato la presenza.
Resta invece molto bassa (inferiore all’1%) la prevalenza delle altre tre varianti monitorate nel corso di questa indagine, con alcune eccezioni locali. La sudafricana (B.1.351), ad esempio è al 4,8% in Sardegna, mentre la B.1.525, un’altra variante scoperta nel Regno Unito, ha raggiunto addirittura il 13,3% nella provincia autonoma di Bolzano.
In conclusione, gli esperti dell’Iss ribadiscono la necessità di mantenere le azioni di contenimento della pandemia di Covid-19 in tutto il Paese, per ridurre la diffusione del coronavirus riportare i valori di Rt inferiori a 1. Solo così si può garantire il tracciamento di tutti i casi e ridurre l’impatto sul sistema sanitario
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.