370 grammi alla settimana, tanto è il cibo sprecato dalle famiglie italiane (*) . È questo il risultato di un’indagine sullo spreco alimentare domestico realizzata dall’Osservatorio nazionale sulle eccedenze, i recuperi e gli sprechi del cibo del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).
Si tratta di poco più di 20 grammi al giorno a persona e il dato ci colloca nella media dei valori (per ora preliminari) raccolti in altri paesi europei nell’ambito del progetto Refresh. La forchetta oscilla dai 365 grammi a famiglia a settimana dell’Olanda ai 534 della Spagna, passando per i circa 420 grammi di Germania e Ungheria. Questo dato ridimensiona ancora una volta, e vista la fonte in modo ufficiale, il problema dello spreco alimentare che in Italia è stato troppo spesso presentato con cifre da capogiro.
Come ben ricostruito da Il Fatto Alimentare in questo articolo, per anni si è parlato di uno spreco domestico nel nostro paese pari al 27-30% della spesa degli italiani, quasi un terzo. La cifra, emersa da un piccolo studio di scarsa qualità dell’associazione di consumatori Adoc, è stata rilanciata più volte dal pur autorevole Andrea Segré, professore all’Università di Bologna e ideatore e promotore di Last Minute Market. Ma pensateci bene: è tantissimo, e in effetti un’indagine condotta nel 2012 da Nielsen per conto del gruppo di ricerca di Paola Garrone del Politecnico di Milano abbassava sensibilmente il dato, dichiarando che a finire in spazzatura non era quasi un terzo della spesa alimentare degli italiani, ma solo l’8%. Per un totale di 2,5 milioni di tonnellate l’anno.
Si tratta di un risultato decisamente più realistico, ma comunque frutto di un’indagine con dei limiti. La metodologia utilizzata – e descritta nel volume Dar da mangiare agli affamati, – prevedeva infatti una quantificazione percentuale degli alimenti gettati in pattumiera (avanzi o cibi scaduti o “andati a male”) basata su una stima fatta “a occhio” dai singoli intervistati. La stima era formulata in risposta alle domande “facendo riferimento all’ultimo mese, provi a stimare quale percentuale di avanzi la sua famiglia ha buttato in pattumiera sul totale del cibo portato in tavola” e “facendo riferimento all’ultimo mese, quale percentuale di alimenti la sua famiglia ha buttato tra i rifiuti perché scaduti o andati a male?”.
Lo stesso report del Crea lo dice molto chiaramente: la misurazione di quanto una famiglia getta via quotidianamente è un’attività molto complessa sia per il ricercatore sia per il consumatore, che vede invasa la privacy delle sue abitudini domestiche. Per questo da tempo si lavora a livello internazionale alla messa a punto di un metodo solido e condiviso di quantificazione degli sprechi domestici. Tra quelli attualmente considerati più affidabili c’è il metodo sviluppato, sempre nell’ambito del progetto Refresh, dal gruppo di ricerca di Erica van Herpen dell’Università di Wageningen, in Olanda, utilizzato anche per l’indagine italiana del Crea.
L’indagine, condotta con la collaborazione di GFK Italia nel luglio 2018, ha coinvolto 1142 famiglie, con interviste rivolte in modo specifico a chi si occupa comunemente degli acquisti alimentari e della preparazione dei pasti in famiglia. Anche in questo caso l’ammontare dello spreco alimentare avvenuto nella settimana precedente la compilazione del questionario è stato autodichiarato, ma facendo riferimento a una griglia molto dettagliata con 22 categorie di prodotti alimentari e due categorie di bevande (alcoliche e non alcoliche, compreso il latte). Le domande sulle quantità di spreco sono state poste a risposta chiusa, proponendo quantità espresse in unità di misura molto pratiche e appropriate al prodotto in questione (per esempio cucchiai di verdure cotte oppure singole unità di frutta), poi convertite in peso secondo una tabella già validata in studi precedenti.
Ai partecipanti sono state poste anche domande relative a una serie di aspetti in grado di impattare in modo significativo (in senso sia positivo sia negativo) sullo spreco, come per esempio pianificazione della spesa e del consumo, uso degli avanzi, grado di consapevolezza delle conseguenze negative dello spreco, prezzo degli alimenti, attenzione ad avere sempre abbastanza cibo in casa, o a non averne troppo. Questo nella convinzione – precisa il report – che obiettivo fondamentale della ricerca attuale non sia più solo quantificare il fenomeno, ma capirne le ragioni profonde per poter eventualmente intervenire con misure di prevenzione appropriate.
Dall’indagine emerge che a gettare via il cibo nella settimana precedente il questionario è stato il 77% delle famiglie. Una su quattro, dunque, non ha gettato via nulla, mostrando elevata attenzione sul tema. Ovviamente, la deperibilità del prodotto aumenta il rischio di spreco: tra quelli più sprecati figurano frutta fresca (72 grammi a famiglia a settimana), pane (68 grammi) e verdura fresca (60 grammi). Seguono, a distanza, bevande analcoliche come il latte (28 grammi a settimana), yogurt, budini e merende fresche (26 grammi), pasta, uova e patate (15 grammi a settimana per ciascuna categoria). Sommando le quantità di spreco per le varie categorie, risulta che gli italiani gettano via in media 370 grammi di cibo alla settimana a famiglia. Significa, in tutto, circa 500 mila di tonnellate all’anno: circa 5 volte meno quanto proposto dall’indagine del Politecnico, che già mostrava uno scenario di spreco contenuto.
Ora, anche il metodo utilizzato in questo caso ha dei limiti, e gli stessi ricercatori che l’hanno sviluppato dichiarano che può sottostimare gli sprechi, ma è evidente che siamo ben lontani dall’ipotesi che a finire in spazzatura sia un terzo o quasi della spesa.
Altri dettagli dell’indagine Crea-GFK raccontano che le quantità assolute di spreco aumentano – come è ragionevole che sia – all’aumentare dei componenti della famiglia. Guardando però i dati medi per ciascun membro, lo spreco risulta maggiore nelle famiglie monocomponenti. L’altro dato interessante è che si butta di più nelle famiglie con età media più bassa e dove c’è maggiore disponibilità economica. Rispetto alle aree geografiche ci si comporta meglio nel Nord Ovest, con una media di 332 grammi a settimana e meno nel Nord Est, con 405 grammi(in mezzo centro e isole).
E ancora, che ben lungi dall’essere campioni negativi di spreco alimentare tra le mura di casa, gli italiani sono invece piuttosto attenti a evitarlo anche perché tendono a connotarlo in modo molto negativo: in quasi tutti i quesiti formulati sull’atteggiamento verso lo spreco alimentare, circa la metà del campione ha condannato nettamente il fatto di gettare via del cibo. E c’è molta attenzione anche al tema delle conseguenze dello spreco, anche se a farla da padrone in questo caso è più la sensibilità verso il portafoglio (cioè le conseguenze economiche per la famiglia) che verso l’ambiente.
(*) La famiglia italiana secondo l’Istat è composta mediamente da 2,4 persone
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giornalista scientifica
Se parliamo di consumi casalinghi e di media degli sprechi difficile per me fare valutazioni ma al ristorante, fast food, mense ecc …… noto spesso l’abitudine ad avanzare anche piatti quasi integri, bibite a metà ecc ……, pizze avanzate a metà e idem dessert.
Ovviamente non vale per tutti ma per abitudine, pigrizia, cultura economica, tempistiche e magari perchè sconveniente pochi cercano di portarsi a casa i rimasugli: basterebbe chiedere un contenitore nel locale.
A prescindere dal paragone con gli altri Paesi, certo quando misuriamo lo spreco alimentare bisognerebbe mettere sul piatto della bilancia quello che si spreca dentro i ristoranti, nelle mense, nei catering (avete presente quanto cibo avanza in un matrimonio o in un pranzo di battesimo?) e poi quello che i negozi e i supermercati sono obbligati a buttare ogni giorno. Parliamo di cibo buono, spesso buttato per legge. Mi viene in mente il pane del banco forno dei supermercati, di cui si è parlato molto nei mesi scorsi, che deve essere buttato a fine giornata. Oppure i prodotti in scadenza sugli scaffali, che praticamente sempre sono ancora buoni ma non vendibili. Su tutto questo si dovrebbe lavorare, con delle normative, dei programmi di recupero, della sensibilizzazione.
Solo l’analisi merceologica dei rifiuti urbani può fornire dati attendibili. Sono analisi non semplici da svolgere perché i rifiuti cambiano quasi ogni giorno e bisogna fare molta attenzione al campionamento affinché sia rappresentativo. Analisi che dovrebbero poi essere svolte per almeno un anno.
Questa è la seconda analisi seria sul tema. La prima quella del Politecnico di Milano era basata su un altro metodo di indagine e dava una dato dell’8%. Questo metodo di calcolo adottato dal Crea ha secondo me una buona base metodologica