Il prosciutto cotto è il salume preferito dagli italiani: nel 2017 ne sono state consumate 280.300 tonnellate, corrispondenti a circa 4,5 kg a testa (il 26,5% del settore). I motivi sono da ricercare in tre fattori: è molto amato dai bambini, costa meno del prosciutto crudo e in genere risulta meno grasso, quindi viene percepito come più salutare. Al supermercato troviamo, oltre ai marchi noti, come Rovagnati, Citterio e Beretta, almeno una confezione imbustata con il marchio del supermercato. Le tipologie sono tante e il prezzo, per quello confezionato affettato in vaschetta, varia da meno di 8 €/kg a più di 60!
Il disciplinare del prosciutto cotto
Per comprendere i motivi in grado di giustificare simili differenze, bisogna fare un passo indietro e analizzare il processo produttivo. Il prosciutto cotto è definito dal Decreto sulla salumeria italiana del 21 settembre 2005 (rivisto nel 2016) come: “prodotto di salumeria ottenuto dalla coscia del suino eventualmente sezionata, disossata, sgrassata, privata dei tendini e della cotenna, con impiego di acqua, sale, compreso il sale iodato, nitrito di sodio, nitrito di potassio eventualmente in combinazione fra loro.”
Il decreto specifica che: “Nella produzione del prosciutto cotto possono essere impiegati vino, inclusi i vini aromatizzati e liquorosi, zucchero, destrosio, fruttosio, lattosio, maltodestrine (sciroppo di glucosio), proteine del latte, proteine di soia, amidi e fecole nativi o modificati per via fisica o enzimatica, spezie, gelatine alimentari, aromi, nonché gli additivi consentiti.”
La catena di supermercati Lidl oltre a vendere un suo prosciutto cotto a marchio Dulano propone sugli scaffali ad un prezzo inferiore anche un “affettato di suino” sempre targato Dulano realizzato in Germania (vedi foto sotto), con parti di carne suina generiche, che giustamente non viene venduto come prosciutto.
La produzione
La produzione comprende diverse fasi: innanzitutto le cosce di maiale dopo la macellazione sono disossate ed eventualmente sgrassate. Nella successiva fase di “siringatura” viene iniettata nella carne una salamoia costituita da acqua, sale, aromi, zuccheri e gli additivi necessari per la conservazione. La coscia viene poi “massaggiata” per rendere il più possibile omogenea la penetrazione della salamoia. A questo punto il prosciutto viene inserito in un contenitore (stampo) per conferire la tipica forma rettangolare e avviato alla cottura, processo che influisce sul sapore e sulla conservabilità.
Il confronto
Il Fatto Alimentare ha preso in esame alcuni marchi famosi di prosciutto cotto (Beretta, Citterio, Antica Corte Belletti, Rovagnati, Negroni) e altri con il marchio del supermercato come: Coop, Esselunga, Carrefour e Lidl, senza considerare i prodotti a basso contenuto di grassi, cui sarà dedicato un altro articolo.
Gli ingredienti riportati sulle etichette sono sempre gli stessi: coscia di suino (o carne di suino), sale, aromi, ascorbato di sodio come antiossidante e nitrito di sodio come conservante. Nell’elenco si trova spesso anche lo zucchero o il destrosio e, a volte, acqua. Difficilmente troviamo altri additivi: i polifosfati, che fino a pochi anni fa erano utilizzati come stabilizzanti e per incrementare in modo artificioso la quantità di acqua nel prosciutto, sono impiegati in pochissimi prodotti. Anche l’uso di proteine del latte è ridotto.
I prodotti più economici tra quelli presi in esame, che costano meno di 8 €/kg, sono il prosciutto cotto a marchio Dulano di Lidl, il prosciutto cotto scelto Antica Corte Belletti (visto alla Coop), e quello a marchio Iag-Corte buona (visto da Esselunga). Quello più caro è il cotto alla salvia e rosmarino a marchio Fior fiore Coop proposto a 62 €/kg, prodotto dall’azienda Cipressi in Chianti: in questo caso i maiali sono allevati in collina, hanno a disposizione 1000 metri quadri a testa, e la qualità della carne è determinata dall’alimentazione e dallo “stile di vita”.
Le diverse categorie di prosciutto cotto
Per comprendere questa forbice bisogna considerare che esistono diverse “categorie” di cotto definite dal decreto ministeriale. Le differenze riguardano soprattutto il livello di umidità. Nel prosciutto cotto “semplice” il tasso di umidità sul prodotto sgrassato e deaddittivato (UPSD), deve essere inferiore o uguale all’82%. Poi c’è il prosciutto cotto “scelto” con un’umidità massima del 79,5% e quello di “alta qualità” dove il valore non può superare il 76,5%. La percentuale di umidità è usata come indice di qualità, perché dipende dalla qualità della carne, da quanta acqua viene aggiunta con la salamoia, dalle modalità di massaggio e dal sistema di cottura. Il prosciutto cotto meno pregiato ha un contenuto maggiore di umidità e presenta fette dall’aspetto più lucido e appiccicate.
Un altro particolare importante del decreto precisa che nella sezione mediana del prosciutto “scelto” e di “alta qualità”, devono essere “chiaramente identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali della coscia intera del suino”. Questi salumi non possono quindi essere preparati assemblando delle parti di muscolo diverso dalla coscia. Per l’alta qualità poi ci sono restrizioni nell’uso di additivi. Nel caso dei due prosciutti più convenienti visti alla Coop e all’Esselunga – entrambi prodotti dall’azienda Italia Alimentari di Busseto – si tratta di prosciutto cotto “scelto”.
È semplice “prosciutto cotto”, invece, quello da toast, venduto a fettine quadrate a marchio Beretta a un prezzo di circa 20 €/kg. Si tratta di un listino alto per la qualità del prodotto, da imputare al fatto che le fettine sono pronte da mettere nel toast, anche se forse conviene comprare un prosciutto di qualità migliore e piegare le fette nel toast.
Il prosciutto cotto di alta qualità
A parte i casi sopra descritti, gran parte delle vaschette che troviamo al supermercato contiene prosciutto cotto di “alta qualità”, anche se la forbice di prezzo è molto ampia. Il cotto Beretta (La Fresca Salumeria) costa 25 €/kg, l’analogo Casa Modena Teneroni (prodotto dall’azienda modenese Grandi salumifici italiani) 27, il Cotto Stella Negroni 28, e il Gran Biscotto classico Rovagnati 39 €/kg. In genere sono più convenienti i salumi a marchio delle catene: 13,3 €/kg per il Cotto Alta qualità Coop e 18 per quelli a marchio Carrefour e Pam, tutti e tre prodotti da Grandi salumifici italiani. Le differenze tra questi salumi e i grandi marchi non emergono leggendo l’elenco degli ingredienti. La cosa certa è che nella definizione del prezzo entrano in gioco strategie di marketing per cui i supermercati sono in grado di contenere i listini.
La normativa sul prosciutto cotto non prende in considerazione l’origine della carne, che quindi si suppone possa essere sia nazionale che importata. Sul sito Coop è possibile risalire all’origine delle materie prime dei prodotti a marchio, ed è chiaro che la provenienza e la modalità di allevamento dei suini pesano molto sul prezzo. Sul sito si trova infatti un cotto “alta qualità” di origine danese proposto a circa 13 €/kg, e un cotto “alta qualità” ottenuto da suini italiani venduto a circa 27 €/kg. Quello della linea Fior Fiore è ottenuto con carne di suini italiani non trattati con antibiotici negli ultimi quattro mesi, viene venduto a 33 €/kg , mentre il prosciutto di suini allevati all’aperto arriva a 62 €/kg.
Anche altre catene di supermercati propongono prosciutto di alta qualità ottenuto con cosce di suini italiani e in questi casi il prezzo sale. Quello Esselunga costa circa 27 €/kg, l’analogo di Carrefour circa 34. Il prosciutto cotto alta qualità di Lidl, a marchio Dal salumiere (prodotto da Grandi salumifici italiani), costa circa 12 €/kg, e per l’analogo prodotto da suini italiani si sale a 19 €. Il Grancotto di Vignola a marchio Citterio costa 30 €/kg e il cotto Borgo Rovagnati, ottenuto con carne italiana arriva a 45 €/kg.
Aspetti nutrizionali
Per quanto riguarda l’aspetto nutrizionale, l’apporto calorico medio oscilla da 130 a 150 kcal per 100 g, con variazioni notevoli: si va dalle 119 kcal delle fettine per toast Beretta, alle 259 del cotto Coop da suini allevati all’aperto. L’apporto energetico è direttamente correlato alla presenza di grassi, che in media si attesta intorno a 8 g per 100 g, passando dai 4,5 g del prosciutto Beretta ai 21 di quello Coop.
La quantità di sale, intorno al 2% (da 1,3 a 2,4) è ridotta rispetto ad altri salumi, ma non trascurabile, considerando che la dose massima raccomandata dall’Oms è di 5 g al giorno. Il contenuto proteico, in tutti i casi rimane fra 18 e 21 grammi per 100 grammi, è quindi molto buono. Se applichiamo la valutazione Nutri-Score (*), i prodotti considerati ricevono un giudizio medio pari a C, oppure il più penalizzante D, dovuto in genere all’eccesso di grassi e/o di sale. L’impressione è che i prosciutti di qualità più elevata, e più costosi, siano più ricchi di grassi, soprattutto se sono prodotti con carne di suini italiani. Come si spiega?
Il prosciutto italiano
Abbiamo chiesto una spiegazione a Grandi salumifici italiani, azienda leader in Italia per la produzione di prosciutto cotto, che fornisce molte catene di supermercati. “Il suino italiano – fa sapere l’azienda – quello che viene utilizzato anche per il prosciutto di Parma, è il cosiddetto “suino pesante”, che raggiunge almeno i 160 kg e non può essere macellato prima dei nove mesi; la carne ha una sua specifica morbidezza e la percentuale di grasso è maggiore. Ovviamente costa di più. Il suino estero è invece più giovane ed è un suino leggero, e la percentuale di grasso è inferiore.”
Quindi un prosciutto italiano è di qualità più elevata, costa di più e contiene più grasso, che comunque, si può eliminare, se non vogliamo eccedere. Come si distingue un prosciutto prodotto con carne italiana? In generale, possiamo supporre che quando non è indicata chiaramente l’origine italiana si tratti di cosce importate. Su alcune confezioni si trovano bandierine o altri riferimenti all’Italia, ma a volte sono indicazioni relative solo al luogo di produzione.
Biologico, allevamento all’aperto e senza nitriti
Ancora più cari di quelli da suini italiani, sono alcuni prosciutti “speciali” come quelli biologici, quelli da suini allevati all’aperto oppure privi di nitriti, come il “Grancotto” della linea Rovagnati Naturals (ne abbiamo parlato in questo articolo sul prosciutto senza nitriti Herta e in questo sui nitriti ‘naturali’). In questo caso la conservazione, in un primo momento, era garantita non da nitriti aggiunti ma da erbe che contenevano naturalmente queste sostanze, che ora sono state sostituite da ingredienti naturali privi di nitriti.
È un’innovazione molto interessante perché i nitriti sono additivi potenzialmente pericolosi, utilizzati come conservanti e normati in modo molto rigoroso; sarebbe interessante capire se i nitriti introdotti con l’utilizzo di erbe vengano in qualche modo misurati, e se è possibile che siano in eccesso. Questo prosciutto costa circa 41 €/kg. Sono ugualmente cari i salumi ottenuti da suini allevati secondo il disciplinare biologico: 40 €/kg per il cotto bio di alta qualità Citterio (con nitriti di origine vegetale), 52 € per quello a marchio Carrefour (prodotto da Beretta), 35 € quello a marchio Pam (prodotto da Raspini).
Insomma, i fattori che determinano il prezzo sono molti; leggendo con attenzione le etichette è possibile fare scelte in linea con le nostre priorità. Considerando che tutte le carni processate sono state inserite dallo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) fra i fattori cancerogeni, e quindi non si tratta di alimenti da consumare quotidianamente, forse conviene cercare prodotti di qualità piuttosto che inseguire il prezzo più basso.
(*) Il Nutri-Score è un sistema francese che prevede da A-bollino verde, per i prodotti più equilibrati, a E-bollino rosso per quelli sbilanciati, da consumare con moderazione.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Molti anni fa il prosciutto cotto era il mio salume preferito.
Adesso lo uso solo per cucina. e lo lascio un po’ all’aria per farlo asciugare.
Molti anni fa il prosciutto cotto non era fradicio, non aveva “riflessi” che ricordano i tramonti sull’acqua.
e vorrei capire anche perché, malgrado abbia una lavorazione molto meno costosa del prosciutto crudo e non necessiti di stagionature, arrivi a costare quanto il crudo DOP.
Non credo si usino carni più pregiate per il cotto che per il crudo.
Il prosciutto cotto che ci viene proposto da un po’ di anni a questa parte molti anni fa sarebbe passato per “spalla” da usare (al massimo) per i toast.
Gentile Elisa,
considerando un certo numero di confezioni di prosciutto cotto la mia impressione è che rispetto al passato si sia allargata la forbice sia per quanto riguarda il prezzo che la qualità. Se acquista un prosciutto cotto di alta qualità, magari prodotto con suini italiani (la stessa materia prima da cui si ricava il crudo) non credo che lo trovi fradicio, ma questo accade con quello di qualità più scarsa. Fra l’altro in passato era piuttosto comune l’impiego di additivi che non si usano quasi più. Sicuramente nella definizione del prezzo entrano in gioco anche fattori di marketing e a volte si paga un prezzo più alto senza un vero motivo. La mia impressione è che i prodotti più convenienti, come rapporto qualità/prezzo, siano quelli con il marchio delle catene.
Sinceramente io ho notato l’esatto opposto, i miei ricordi di bambino/ragazzo (35-40 anni fa) sono quasi tutti di prosciutti cotti umidicci, spesso velati e dal costo nettamente inferiore al crudo. Adesso si trovano prosciutti cotti che costano piu` del crudo ma di qualita` nettamente superiore.
Concordo con il commento dell’autrice (a cui faccio i miei complimenti per l’ottimo articolo) adesso si trova una gamma di qualita` molto piu` ampia di un tempo.
Ricordo di aver parlato tempo fa con un tecnologo alimentare che mi disse che il cotto era un prodotto in cui le tecniche di lavorazione sono cambiate di piu` nel corso degli anni quindi ci sta tutto il nostro ragionamento
Saluti
Giuseppe