Uova di Pasqua: il prezzo oscilla da 2,5 a 15 euro per 220-250g. Conta più la sorpresa o la qualità? Tutti i consigli per scegliere bene
Uova di Pasqua: il prezzo oscilla da 2,5 a 15 euro per 220-250g. Conta più la sorpresa o la qualità? Tutti i consigli per scegliere bene
Roberto La Pira 30 Marzo 2015Quest’anno la spesa per un uovo di Pasqua varia da 2,5 a 15 euro e con questa cifra si porta a casa un dolce alto 50 cm che pesa poco più di due tavolette di cioccolato (220-250 grammi).
Capire perché ci sono differenze così vistose tra un prodotto e un altro è complesso e bisognerebbe considerare molteplici fattori collegati anche al marketing e alla pubblicità. Una cosa però è certa l’uovo più ambito dai bambini, ma anche il più caro, è Kinder GranSorpresa, proposto a un prezzo quasi doppio rispetto ad altre marche famose come Lindt, Balocco, Perugina, Dolci Preziosi…
È vero, le sorprese proposte da Ferrero sono quelle più ricercate dai piccoli, ma questa predilezione costa cara, visto che un uovo da 220 grammi costa 14-15 euro, mentre per quello più grande da 320 g si arriva anche a 20. Si tratta di un prezzo esagerato non supportato dalla qualità, visto che siamo di fronte a un guscio bianco preparato con grassi vegetali non eccellenti come l’olio di palma, ricoperto da uno strato di cioccolato al latte, come si legge sull’etichetta (Uovo dolce con sorpresa ricoperto di cioccolato finissimo al latte).
Purtroppo molte aziende propongono uova “differenziate”, destinate ai maschi o alle femmine, a seconda del colore e del giocattolo che contengono. Questo tipo di strategia commerciale, chiamato anche genderizzazione, indirizzata ai più piccoli, sta passando dai negozi di giocattoli ai supermercati, rinforzando ruoli di genere stereotipati. Si tratta di un sistema che tramite una selezione a priori, definisce con cosa i bambini debbano giocare o mangiare, riproponendo i soliti cliché, abbattendo la creatività, le diversità e l’autodeterminazione.
Molte persone tendono a fare un confronto tra il prezzo della uova di Pasqua e le tavolette di cioccolato ma si tratta di un accostamento sbagliato. Per i dolci pasquali bisogna considerare i costi dell’imballaggio (carta argentata, fiocco, supporto di plastica, etichetta…), le spese di produzione e di spedizione nettamente superiori e le dimensioni che portano via spazio ad altri prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati per cui il ricarico arriva al 30% circa. C’è poi la sorpresa che incide dal 3-10% sul prezzo di vendita e il numero di uova invendute. Un elemento che incide sui costi – come ci ha fatto notare un lettore – è la licenza per utilizzare un marchio famoso tra i bambini, oppure sorprese legate a personaggi noti, serie e programmi tv o eventi del mondo sportivo.
ELEMENTI CHE INCIDONO SUL PREZZO DELLE UOVA IN % | |
Margine negoziante | 30 – 32 |
Materie prime | 10 – 14 |
Manodopera | 15 – 30 |
Imballaggio | 15 – 27 |
Sorpresa | 3 – 10 |
Resi | 10 – 15 |
Iva | 10 |
Una volta decodificate le dinamiche del prezzo, è importante riconoscere il prodotto di qualità. La cosa non è banale, visto che la lista degli ingredienti è spesso simile. Gli appassionati del cioccolato fondente leggendo l’etichetta devono trovare ai primi posti il cacao e il burro di cacao (maggiore è la quantità migliore dovrebbe essere il prodotto). Anche le altre parole sono importanti, termini come extra, fine, finissimo o superiore indicano un cioccolato fondente migliore, perché la quantità di cacao e burro di cacao supera il 43%.
Nel cioccolato al latte di qualità superiore, la percentuale di cacao deve essere il 30% e il latte almeno il 18%. Il vero giudizio però si può dare solo assaggiando l’uovo. Il cioccolato deve sciogliersi armoniosamente in bocca, senza granuli o sabbiosità per valutare bene l’equilibrio tra cacao e burro di cacao. Nel fondente, il profumo deve essere quello tipico del cacao intenso e quando si rompe tra i denti si deve sentire un rumore netto. Se il cioccolato è di qualità, il sapore risulta persistente e si avverte bene l’amaro con sfumature intense, che aumentano quanto più alta è la concentrazione del cacao.
Categorie di cioccolato in funzione della presenza di cacao e burro di cacao |
|
Cioccolato (fondente) |
35% di sostanza secca di cacao e 18% burro di cacao |
Cioccolato extra superiore, fine, finissimo (fondente) | 43% di sostanza secca di cacao e 26% burro di cacao |
Cioccolato al latte | 25% di sostanza secca di cacao, 14% di sostanza secca del latte e il 25% di grasso totale |
Cioccolato al latte superiore o extra |
30% di sostanza secca di cacao, 18% di sostanza secca del latte |
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Nell’articolo non viene citato un costo non indifferente per il produttore, ovvero il licensing; cioè la possibilità utilizzare il marchio e le sorprese legate ad eventi/entità media e/o sportivi.
Oddio. L’ovetto “marcato” ha un marchio che attira in genere i bambini (personaggi dei film e/o cartoni animati) e serve a “giustificarne” e a garantirne la vendita.
E’ un po’ fantozziano che bisogna acquistare quell’uovo sponsorizzato richiamati dalla pubblicità che costa DI PIU’ proprio perché FA pubblicità …
Che piaccia o meno, le uova per bambini “genderizzate”(che brutta parola)costituiscono la maggior quota nel mercato relativo
Sono contenta che qualcuno lo abbia fatto notare:”rinforzando ruoli di genere stereotipati” aggiungerei non richiesti. La qualità dovrebbe essere l’unico parametro, ma non è facile per i non addetti ai lavori quindi grazie anche per i consigli per l’acquisto offrendo parametri di “gusto”.
Quando ero piccolo, aspettavo con ansia il giorno in cui mi era permesso di aprire l’uovo di Pasqua.
Non per mangiare il ciccolato ovviamente, dato che il cioccolato, sia pur in altre forme, in casa era presente anche nei restanti giorni dell’anno, ma per scoprire quale sorpresa contenesse. Quante volte sono stato deluso per aver trovato una collanina o un anellino! Differenziare uova per “maschietti” e “femminucce” avrà senza dubbio qualche maligno secondo fine di marketing come sostengono gli esperti, ma ha perlomneno il vantaggio di diminuire le possibilità che un bambino rimanga deluso dal contenuto dell’uovo. E’ evidente che le cose gravi della vita sono altre, ma regalare ad un bambino 10 minuti di gioia (l’effetto “sorpresa” dura poco generalmente), minimizzando la possibilità che resti deluso, lo trovo in questo contesto, la cosa più importante.
Sul discorso relativo alla qualità, purtroppo, si continua a sostenere che la qualità dipenda solo da quali materie prime si utilizzano e in che misura. Se si perdesse invece un minuto a leggere le varie definizioni del termine “qualità” di un prodotto (anche solo su wikipedia, senza scomodare testi impegnativi) si eviterebbe di commettere questo errore.
La qualità non è assoluta, ma è “in funzione” del cliente. Quindi, se qualcuno (molti) preferiscono il sapore del “cioccolato” Kinder, ad un uovo della Lindt (esempio) è perchè quel tipo di prodotto offre quello che il cliente vuole (o pensa di volere, ma questo non è legato solo al prodotto di Ferrero: il marketing è usato, sia pur in diversi modi, da tutti), al prezzo che il cliente è disposto a spendere.
Non tutti possono permettersi o semplicemente vogliono il “top” per tutto ciò che acquistano.
Stiamo parlando delle uova di Pasqua con un regalo destinato ai più piccoli. Collanine e portachiavi deludono sia bambini che bambine e non sono giocattoli ma oggetti. La frase sulle uova “differenziate” si riferiva ai giocattoli che non dovrebbero essere destinati a un genere piuttosto che a un altro. Chi lo decide, e perché?
Perchè non esistono da “sempre” giocattoli per maschietti e giocattoli per femminucce? io ho 40 anni e nei miei ricordi tale distinzione c’è sempre stata…il problema è che viene ora riproposta dentro ad un uovo?!
Davvero, non capisco la tesi dell’articolo, sicuramente per limiti miei, ma sarei grato se potesse essere chiarita…
Anche la violenza di genere esiste da sempre e ovunque, ma non per questo è “cosa buona e giusta”. I giocattoli dovrebbero divertire, sviluppare ingegno, creatività, collaborazione e le caratteristiche individuali, e non rafforzare fin da piccoli i ruoli che la società continua ad assegnare a uno o all’altro genere. Questo meccanismo infatti limita la visione che i più piccoli hanno delle proprie capacità, possibilità, dei sogni e dei desideri. Penso che questo articolo possa approfondire il tema. http://espresso.repubblica.it/visioni/societa/2014/03/10/news/il-giocattolo-e-sessista-1.156439
Lo decide il mercato
Valeria Nardi, cercherò di evitare di farmi coinvolgere troppo dalla discussione; mi limito a qualche considerazione sparsa sulla base dell’articolo da lei linkato anche perchè il focus del vostro articolo era principalmente incentrato su altro. Le mamme “dinamiche e super impegnate” sono figlie (lo stesso vale per i padri) della “genderdizzazione” del loro tempo che evidentemente non ha loro precluso “l’evoluzione” rispetto ai vecchi stereotipi. Tra l’altro le mamme “dinamiche e super impegnate” sono, o perlomeno dovrebbero essere (alla pari dei papà naturalmente) responsabili degli acquisti dei giocattoli indirizzati ai loro figli. Sono loro quindi, non i produttori, a decidere con cosa i loro figli dovranno giocare. Inoltre, come viene scritto anche nell’articolo, questa visione “anti-genderdizzazione”, non viene condivisa da tutti gli studiosi.
Ma ammesso che gli studiosi che non la condividono stiano sbagliano, allora perchè limitarsi a combattere questa “genderdizzazione” solo nel campo dei giocattoli? Se si combatte bisogna essere coerenti in tutto: quindi, gonnellina anche per i maschietti ad esempio. Chi ha deciso che un maschietto non può indossare una gonnellina o un vestitino? Non è forse anche questo uno stereotipo vecchio? Che differenza c’è rispetto ad un uovo incartato con carta rosa o azzurra? Ma quante delle mamme appartenenti ai gruppi citati nell’articolo veste il proprio maschietto con abiti “stereotipicamente attribuibili al solo profilo femminile”? E se non lo fa, perchè preclude questa opportunità ai maschietti?
Gli “studiosi” in questo, come in molti altri campi hanno risultati e metodi differenti, e in ogni caso, a prescindere da quello che possono provare di volta in volta con nuovi studi, si tratta anche di opinioni e ritengo legittime averle, senza delegare sempre “all’esperto di turno” cosa devo pensare o credere. Così come non ritengo che i colori siano appannaggio di un genere piuttosto che di un altro, penso lo stesso dei vestiti, il problema è che anche se si è sensibili sulle tematiche di questo tipo non si può sperimentare sui bambini. Se mio figlio volesse mettersi la gonna per andare a scuola non opporrei nessun divieto, ma so che incontrerebbe delle difficoltà da parte dei suoi pari e anche dagli adulti. Spererei solo di avergli fornito gli strumenti necessari per affrontare la situazione. Dopotutto anche per le donne non è stato facile appropriarsi di un capo “maschile” come i pantaloni.
Non si tratta di delegare all’esperto di turno, si tratta di ammettere i propri limiti in determinati campi. Se anche io fossi convinto che non porti danni la separazione e la distinzione tra giochi per maschi e per femmine, o il “codice colore”, ma l’intero mondo scientifico mi smentisse all’unanimità, sarei stupido a continuare a sostenerlo. Si presume che chi studia certe cose per professione ne sappia ben di più di me rispetto a quelle che possono essere solo mie sensazioni. Allo stesso modo, a maggior ragione nel momento in cui le opinioni degli “studiosi” differiscono, entrambe le toerie sono da considerarsi legittime. Mentre nell’articolo passa il messaggio che solo una delle due teorie sia corretta. E’ legittimo che il giornalista faccia passare il suo punto di vista, (anche se sarebbe più corretto che venisse almeno menzionata la teoria opposta), come è altrettanto legittimo che io esprima la mia diversa visione. Non è sperimentazione sul bambino, è usare la stessa logica applicata al giocattolo. Se invece della gonna, suo figlio (e lo cito solo perchè l’ha tirato in ballo lei nella discussione, naturalmente) decidesse di andare a scuola con una Barbie, stereotipicamente associata alla categoria dei giocattoli da femminuccia, e durante l’intervallo ci giocasse, davanti agli altri suoi pari, non crede che incontrerebbe le stesse difficoltà? E allora perchè tratta le due cose in modo diverso?
Comunque, il vero focus dell’articolo era altro, quindi si rischia di far deragliare la discussione…
Stiamo di parlando di ideali che si applicano o meno alla vita di tutti i giorni su cui gli studiosi fanno ricerca, non viceversa. Le discriminazioni di genere si applicano ai costumi sociali. non si nasce con una predisposizione naturale all’uso dei lego o delle bambole, né al poter indossare dei sandali, dei pantaloni o delle minigonne. e non fraintenda le mie parole, non ho mai detto che tratto differentemente il vestiario dai giochi o dagli sport. per mio figlio, come la gonna qualsiasi cosa che sia adatta alla sua età e non sia priva di etica, può essere impiegata liberamente. che sia una barbie, un puzzle, una gonna, una felpa rosa o con i brillantini.
Ma per favore…. Si parla di uova di pasqua!
Cara Valeria, cari utenti,
Il testosterone e gli estrogeni non sono una mera convenzione sociale. Sono una realtà. Essi differenziano l’uomo è la donna per genere ed atteggiamento : questo influisce anche sulle passioni e sulle preferenze. É indubbia l’esistenza di alcuni ed antichissimi cliché, ma da donna emancipata e di libero pensiero posso dire anche che questi hanno una giusta funzione. Da ragazzina ero il tipico maschiaccio gonna-repellente,dai corti capelli, abiti maschili e a cui piaceva fare a botte. Ed era per questo che mentre le altra amiche avevano degli spasimanti e io no. Poi il corpo cambia, le passioni si fanno diverse e ci si rende conto che nella vita ci sono (purtroppo) dei ruoli, la femminilità appartiene alla donna e la virilità all’uomo… E questo per una questione FISICA NON MENTALE. Quindi ci sono anche delle attività e degli atteggiamenti più idonei a seconda del sesso di appartenenza… Poi qui parliamo di giocattoli! É giusto che un bambino sappia indicativamente cosa ci sia nell’uovo, così può scegliere quale sia l’uovo che contiene ciò che spera di trovare. Poi non prendiamoci in giro, in molte uova ci sono sorprese quali portachiavi o portacellulareli, oggettini di bigiotteria o sorprese orrende. La delusione dopo tanta attesa é una cosa orribile che riesce a trasformare la giornata di un bambino.
Grazie Chiara per il suo intervento, che riporta tutti alla realtà sopra alle invenzioni teroiche che ciascuno si può costruire.
la mia bambina, che ama giocare con le costruzioni, i draghi ma anche con le bambole e i piattini ha ricevuto un uovo incatrtato di rosa ed è stata subito contenta delle due forcine che ci ha trovato dentro…e che ha subito indossato naturalmente! non credo davvero che il colore dell’incarto o la sospresa ne abbiano violato l’immaginazione, ne abbiano deturpato i sogni e le possibilità….che grazie a Dio non dipendono dal rosa o dalle forcine di Pasqua ma ma una cosa assai più complessa …
Dico l’ultima cosa poi su questo argomento provo a non intervenire più: ho acquistato le uova di Pasqua per mia moglie e mia figlia prima di leggere questo articolo. Naturalmente ho acquistato uova “genderdizzate”, poichè si sarà capito dai miei interventi, io lo trovo un plus e non un minus. Mia moglie è l’esempio tipico della donna “dinamica e super impegnata”, è una libera professionista e con un grado di istruzione elevato. In casa nostra i ruoli sono tutt’altro che stereotipati, io ad esempio abitualmente cucino (lei lo avrà fatto due volte da quando siamo sposati), lavo i piatti, etc…
Tutto questo premesso, sapete quale è stata la prima domanda che mi ha fatto quando le ho detto che ho comprato le uova di Pasqua? “hai preso l’uovo per femminucce, vero?” So benissimo che un caso non è un campione rappresentativo della società, ma è vita vera.
A Valeria Nardi, sul fatto che non si nasca con una predisposizione verso qualcosa dico che, approfondendo l’argomento ieri, ho letto che alcune teorie sostengono il contrario, ovvero che, soprattutto per certe categorie di giocattoli, pare trovare riscontro una certa predisposizione in base al sesso…
Avendo una bimba di un anno è partita quest’anno la girandola delle uova scambiate con altre coppie.
Risultato: nei casi migliori abbiamo speso 5 euro a uovo (abbiamo optato principalmente su Balocco perché in offerta).
La scelta si è basata purtroppo sulla marca e sulla sorpresa, assolutamente non abbiamo letto gli ingredienti. C’erano uova più economiche ma si chiamavano “Pasquì” e abbiamo avuto paura di fare figuraccie.
Normalmente non badiamo le marche e facciamo spesa anche nei discount, ma per i regali purtroppo scatta questo meccanismo mentale.
Al diavolo la genderizzazione, la mia bimba ha chiesto quello di Spiderman o degli Avengers! 😀
Finché sono piccolini sono meno condizionati…
Cito: “Differenziare uova per “maschietti” e “femminucce” avrà senza dubbio qualche maligno secondo fine di marketing come sostengono gli esperti, ma ha perlomneno il vantaggio di diminuire le possibilità che un bambino rimanga deluso dal contenuto dell’uovo.”
Al lettore Alessandro chiedo: meglio che alcuni bambini vedano deluse le aspettative dalla sorpresa di un uovo di Pasqua oppure garantire loro qualsivoglia gratificazione al costo di rafforzare ingiusti stereotipi di genere? Senza considerare poi che quelle stesse aspettative sono imposte dai grandi ai piccoli, lasciando ai maschi la convinzione di avere il diritto di sentenziare cosa è giusto e cosa sbagliato riguardo al comportamento, alle preferenze e alle attitudini delle altre persone, e persuadendo le femmine che certe ambizioni sono loro precluse fin da piccole a causa di una struttura sociale iniqua e degli stereotipi che fanno apparire tale struttura come naturale. E poi hanno anche il coraggio di chiamarle soprese.
Sono sempre rimasta delusa dalla sorpresa nell’uovo di Pasqua, quindi non vedo l’utilità di differenziare le uova di Pasqua in prodotti specifici per i generi. Il messaggio trasmesso con un uovo genderizzato potrebbe essere: “abbiamo fatto un uovo specifico per te, piccola bambina o piccolo bambino, e ancora non ti piace? Allora c’è qualcosa che non va in te.” Non mi piace e non mi sarebbe neanche piaciuto da bambina dover scegliere un uovo per ragazzi per avere una probabilità maggiore di non rimanere delusa.
Ok,
provate voi a stare davanti ad un bambino che apre l’uovo e ci trva dentro una bambolina o un braccialetto, e poi riparliamo di “genderizzazione”….
per la qualità del cioccolato, invece, nulla da eccepire, a parte il fatto che sono cose dette e ridette, e che ormai mangiare del vero cioccolato di qualità è raro.