Bambina sorridente che fa il segno di vittoria mentre si fa un selfie con lo smartphone; concept: baby influencer, social media

Le piattaforme si confermano terreno di conquista per i produttori di cibo spazzatura, perché la pubblicità diretta e soprattutto quella indiretta fatta di  apparizioni e menzioni sui canali digitali arriva immediatamente a platee estremamente ampie di follower e lo fa senza interruzioni. Per questo motivo le aziende utilizzano sempre di più i social per le loro campagne. Ciò che è davvero grave è che lo fanno nei canali espressamente rivolti ai bambini, nonostante quasi tutte le aziende abbiano sottoscritto impegni formali a non esercitare alcuna pressione commerciale sulle fasce di popolazione più vulnerabili, come appunto gli under 13.  Un nuovo studio degli esperti del Ruud Center for Food Policy and Health dell’Università del Connecticut, appena pubblicato su Pediatric Obesity, conferma questa tendenza e descrive uno scenario in netto peggioramento.

Nella ricerca gli autori hanno analizzato 13 canali YouTube, che costituiscono circa la metà di quelli espressamente rivolti ai bambini statunitensi, e che a giugno 2020, nel loro insieme, avevano totalizzato più di 155 miliardi di visualizzazioni. I ricercatori, quindi, hanno verificato i contenuti di 400 video messi online nel 2019 e nel 2020, pari a circa un terzo del totale, differenziando le due serie di dati, perché nel gennaio 2020 YouTube ha adottato una policy rivolta alla protezione dei bambini che vieta la pubblicità diretta di alimenti e bevande, mostrando anche un banner che definisce il canale come ‘per bambini’ al di sotto dei 13 anni. 

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Secondo lo studio, sui canali YouTube per bambini sono frequenti le pubblicità indirette di cibo spazzatura e bevande zuccherate

Il risultato ha mostrato uno scenario atteso, ma preoccupante. Il 38% dei baby influencer nei video su YouTube mostra marchi di alimenti e bevande, oppure di ristoranti, che appaiono in media quattro volte per ogni video. I prodotti più rappresentati sono le caramelle (presenti nel 42% dei casi in cui compare un prodotto di marca), seguiti da snack dolci e salati, bevande zuccherate o gelati (32%). Impietoso, poi, il confronto con i prodotti sani come succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, acqua o latte, presenti solo nel 9% dei casi. Ma ciò che fa capire l’atteggiamento dei produttori è il confronto tra il 2019 e il 2020. Considerando qualunque alimento o bevanda, di marca e non, brand di ristoranti apparsi nei video, le sponsorizzazioni dichiarate e i veri spot trasmessi separatamente, i ricercatori hanno dimostrato che il numero non è cambiato dopo l’introduzione del divieto. Anzi la presenza delle caramelle è aumentata, passando dal 36 al 47%. In generale, anche se si è avuto un piccolo aumento della presenza di cibi e bevande sani, quella di prodotti teoricamente vietati o fortemente sconsigliati risultava essere circa due terzi di tutti i video dove è visibile un marchio. C’è un altro aspetto da sottolineare solo un video di un baby influencer conteneva l’esplicito riferimento alla sponsorizzazione del protagonista, come invece dovrebbe essere sempre secondo le regole della Commissione federale per il commercio.

I codici di autoregolamentazione per la pubblicità dei prodotti alimentari destinati ai bambini sono poco utili

Sono emersi altri particolari che vanno tutti nella stessa nefasta direzione. Per esempio, un baby influencer consuma, in media, un cibo o una bevanda in un terzo dei video (con un incremento di questa modalità passata dal 25 al 38% nel biennio 2019-2020. Inoltre, nel 15% dei casi il prodotto è stato anche menzionato verbalmente, oppure il logo è apparso su giocattoli, sticker o miniature molto ben visibili. La pubblicità tradizionale, invece, ha rispettato quasi sempre le regole dei codici di autoregolamentazione come la Children’s Food and Beverage Advertising Initiative, a riprova della totale ipocrisia dei produttori, che si trincerano dietro il rispetto formale di una regola, per poi fare di (molto) peggio.

Tutto ciò porta gli autori a chiedere limitazioni imposte per legge e severi controlli per ciò che viene trasmesso ai bambini. Per l’ennesima volta si dimostra che i codici di autoregolamentazione sono poco utili, e che se l’obesità infantile è in continua crescita, le ragioni vanno cercate anche nel comportamento delle baby-videostar o, per meglio dire, in quello dei loro sponsor.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock

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giova
giova
7 Marzo 2023 11:26

Ogni tipo di pubblicità, nei canali per bambini, andrebbe vietata.
Penso “ogni tipo di pubblicità” solo per le difficoltà e gli oneri che sarebbero necessari per una regolamentazione efficace.