Visone addormentato in una gabbia di un allevamento

visone in gabbiaContinua l’offensiva informativa dei ricercatori statali cinesi per promuovere l’idea che il Sars-CoV-2 sia giunto in Cina dall’Occidente. Pubblicata nientemeno che su Science da Zheng-li Shi, ritenuta una delle massime esperte mondiali di coronavirus e di pipistrelli e da subito al centro degli studi (ma anche delle omissioni) cinesi, l’ultima ipotesi è che il virus si sia diffuso tra i mammiferi da allevamento, in particolar modo tra i visoni, da lì abbia infettato altri animali e sia giunto in Cina attraverso la carne surgelata importata. Ricapitoliamo i fatti.

Negli scorsi mesi, com’è noto, diversi focolai di Covid-19 hanno interessato alcuni allevamenti di visoni in Europa e, in particolar modo, in Danimarca. Qui, prendendo atto del fatto che, nonostante le misure di contenimento adottate in modo tempestivo, il contagio stava dilagando e il virus che aveva infettato gli animali – un Sars-CoV-2 mutato, cioè della variante D614G – presenta una maggiore contagiosità, il governo danese ha soppresso 17 milioni di visoni. Lo stesso hanno ordinato altri governi dei Paesi interessati da focolai di questo tipo, e cioè quelli di Italia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Spagna, Francia, Svezia e Grecia. La decisione è stata dettata dal fatto che il virus, passando dai visoni all’uomo, aveva acquisito un’altra mutazione, che avrebbe potuto conferire ulteriore contagiosità e potenzialmente rendere inefficace i vaccini e gli anticorpi monoclonali. 

Mink farm. Mink in the cage. Mink's fur allevamento di visoni. Visoni in gabbia
Oltre due terzi dei lavoratori di allevamenti olandesi di visoni colpiti da focolai di coronavirus è risultato positivo al Sars-CoV-2

Ora un report pubblicato dai ricercatori dell’Università di Utrecht e di altri istituti olandesi, conferma quanto siano pericolose queste varianti. Analizzando il personale dei primi 16 allevamenti olandesi colpiti – un centinaio di persone in tutto – sia per quanto riguarda la presenza del virus con il tampone, sia per quanto riguarda l’avvenuto contatto, tramite i test sierologici sugli anticorpi, è stato scoperto che in effetti ben il 68% delle persone era entrato in contatto con il coronavirus. Nello specifico il 49% aveva un tampone positivo, il 51% un sierologico positivo. Come spesso succede, la rivista ha chiesto a un’esperta, Zheng-li Shi appunto, di commentare i dati, ma l’editoriale pubblicato è quantomeno azzardato, per i collegamenti che suggerisce. 

Va premesso che pochi giorni fa la rivista statunitense New York Magazine ha pubblicato, a firma Nicholson Baker, una lunghissima e dettagliata ricostruzione di quanto finora scoperto in merito all’origine dello spillover. Una cronistoria asciutta e minuziosa, in cui non si esclude la possibilità che si sia trattato di un “incidente” occorso nel laboratorio di Wuhan dove lavora la stessa Shi, coinvolta da molti anni in collaborazioni con ricercatori americani che hanno avuto risvolti preoccupanti e con spiegazioni a volte contraddittorie e molto spesso poco chiare. Ma è anche possibile che il salto di specie sia avvenuto in natura. Va anche ricordato che la Cina, dopo aver dato il via libera alla missione dell’Oms che deve cercare di capire cos’è avvenuto, ha ritardato l’arrivo dei ricercatori incaricati, negando in un primo momento l’ingresso nel Paese.

coronavirus
Un editoriale pubblicato su Science suggerisce che il Sars-CoV-2 si sia originato in Occidente e poi sia arrivato a Wuhan attraverso alimenti contaminati

In questo contesto, il ragionamento di Shi è questo: poiché in Cina continuano a emergere periodicamente piccoli focolai, veicolati da carne di maiale o pesce crudo, e i virus rinvenuti in queste situazioni sono geneticamente diversi da quello originario, e poiché ci sono evidenze (?) che il virus resta vitale nella carne e sugli imballaggi per tre settimane (ma l’Oms e molte altre agenzie per la sicurezza alimentare hanno già ribadito più volte che il contagio per questa via è altamente improbabile, ndr), la catena degli eventi porta a un’origine occidentale. Il virus si sarebbe diffuso nei visoni o in qualche altro animale da allevamento. Da lì sarebbe passato all’uomo e ad altri animali, e poi sarebbe arrivato in Cina attraverso carni contaminate. A supporto di questa teoria, Shi cita anche lo studio italiano dell’Istituto dei tumori di Milano, che aveva retrodatato la presenza del virus all’estate del 2019, per poi continuare con i consigli su come evitare gli spillover. Ma intanto sostiene un’idea non condivisa, per il momento, dalla comunità scientifica a livello internazionale, né supportata da prove.

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