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L’alcol fa male, lo sappiamo. Inoltre, se ci mettiamo alla guida dopo aver bevuto un un paio di bicchieri, rischiamo pesanti sanzioni. Il vino, però, è anche una componente abituale della socialità: per molte persone è difficile pensare a una cena tra amici senza un accompagnamento alcolico. Una soluzione può essere il vino privo di alcol, definito ‘dealcolato’ o ‘dealcolizzato’.

Esiste da alcuni anni, anche se in Italia è difficile da trovare, e raccoglie un interesse crescente, sia da parte dei consumatori che dei produttori. È vino dal quale è stata eliminata la frazione alcolica, riducendola a valori molto bassi, o addirittura a zero. Si parla anche di ‘NoLo’ dall’inglese no-alcohol (vini privi di alcol) e low-alcohol (a basso contenuto). Il risultato è un prodotto diverso da quello di partenza, per quanto riguarda sapore, aroma e ‘corpo’, che può essere bevuto anche dagli astemi, da chi deve guidare un veicolo e non vuole correre rischi, o semplicemente da chi vuole ridurre l’assunzione di alcol etilico, sostanza dannosa per la salute e cancerogena.

Vino rosso versato in un calice da una bottiglia
La categoria dei vini dealcolati esiste da alcuni anni, anche se in Italia è difficile da trovare

Perché è così difficile trovare vini dealcolati? Ne abbiamo parlato con Alessandra Biondi Bartolini, direttrice scientifica di Millevigne.

“L’offerta di vini dealcolati è molto ridotta per diversi motivi. – Spiega Biondi Bartolini – Il principale è la lentezza con cui la normativa italiana si è adeguata alle direttive europee. La produzione di vini dealcolati è normata a livello europeo da un regolamento del 2021 (Reg 2117/2021) e i primi a cimentarsi in questa produzione sono stati i tedeschi e gli spagnoli, seguiti dai francesi che, tra l’altro, producono vini dealcolati di fascia alta. Nel nostro Paese, fino allo scorso mese di dicembre, la legge stabiliva che si potesse chiamare vino solamente un prodotto ottenuto dalla fermentazione dell’uva e che avesse una gradazione minima di almeno il 9% in alcol. Il Decreto Ministeriale DM 672816 del Ministero delle Politiche Agricole datato 20 dicembre 2024 ha modificato questo punto, aprendo la strada alla produzione di vino dealcolato. Produzione che non ha ancora preso il via a causa di ulteriori cavilli tecnici normativi.”

Fatta eccezione per pochi punti vendita, questi vini sono assenti dai supermercati e si trovano quasi solo online; la principale piattaforma specializzata, in Italia, è Myalcolzero. Abbiamo chiesto al fondatore, Luca Sonn, come vanno gli affari e quali sono le prospettive.

“C’è sicuramente interesse e curiosità da parte dei consumatori – afferma Sonn – ma è ancora una nicchia molto piccola nel mercato del vino. La piattaforma è attiva dal 2019 e ogni anno abbiamo visto una crescita del 30% circa. I vini che vendiamo sono prodotti in Italia, dall’azienda Princess S.r.l., il cui titolare è mio cognato, che ha iniziato a produrre vini dealcolati nel 2012.”

Quindi, nel nostro Paese, qualcuno produce da oltre 10 anni queste ‘bevande’ che solo da pochi mesi possiamo chiamare ‘vino’.

“Non credo che la denominazione sia così importante – dice Sonn – chiamarli ‘vini’ o ‘bevande ottenute dai vini’ non cambia molto, perché il prodotto dealcolato è effettivamente diverso dal vino classico, e il pubblico cui si rivolge non è quello degli appassionati di vini. I nostri prodotti sono destinati per il 70% al mercato estero, mentre solo tre bottiglie su 10 rimangono in Italia. Le persone più interessate sono prevalentemente giovani e ‘salutiste’. D’altra parte il mercato tradizionale del vino nel nostro Paese è in crisi da diversi anni e uno dei motivi potrebbe essere proprio la maggior attenzione che molti rivolgono al tema della salute. Penso quindi che sia una tendenza destinata a consolidarsi, con sempre più persone che assaggiano i vini dealcolati e poi non li abbandonano. Noi abbiamo clienti che rinnovano regolarmente gli acquisti, anche grazie alla possibilità di fare un abbonamento.”

Allegre amiche asiatiche con bicchieri di plastica di tè freddo in mano attraversano la strada sulle strisce pedonali
Le persone più interessate ai vini dealcolati sono prevalentemente giovani e ‘salutiste’

L’impressione è che esista una notevole ‘inerzia’ da parte del mondo del vino e che questa lentezza sia dovuta a un tentativo di conservare la tradizione.

“Per una certa parte dei produttori è certamente così – conferma Biondi Bartolini – l’idea di conservare la tradizione è molto diffusa e il ritardo nell’adeguamento normativo è stato in parte legato a pressioni politiche. Le aziende maggiori mostrano interesse per un settore che sembra destinato a una notevole crescita, ma al momento manifestano grande cautela, anche perché i vini dealcolati hanno un costo maggiore e investire negli impianti di produzione rappresenta un rischio non indifferente.”

Oltre ai ‘freni’ burocratici, esistono difficoltà di natura tecnica?

“Certamente produrre vini privi di alcol è una sfida complessa. – Dice l’esperta – perché la mancanza della componente alcolica determina una sorta di ‘vuoto’ che rende questi vini molto diversi da quelli classici. I produttori devono quindi trovare la strada per produrre vini apprezzabili, nonostante siano privi di alcol.”

“Le caratteristiche del vino di partenza sono molto importanti,  – conferma Sonn – questo deve infatti essere di struttura e aromatico per mantenere caratteristiche apprezzabili anche dopo la dealcolazione. L’alcol può essere rimosso con diverse tecnologie, ma tutte hanno un impatto più o meno drastico sulla componente aromatica. Con gli spumanti si ottengono per ora i risultati migliori, perché le bollicine vivacizzano il vino e ne aumentano la gradevolezza.”

champagne spumante
Con gli spumanti si ottengono i risultati migliori perché le bollicine vivacizzano il vino e ne aumentano la gradevolezza

“Esiste anche un problema legato alla conservazione – fa notare Biondi Bartolini – perché l’alcol etilico esercita un effetto antimicrobico e il vino dealcolato ha una conservabilità più breve, quindi sull’etichetta deve riportare una data di scadenza. Per evitare una rapida degradazione, questi prodotti possono essere microfiltrati, sottoposti a rapide pastorizzazioni oppure trattati con i conservanti già autorizzati anche per i vini, in quanto sicuri nelle condizioni di utilizzo, come per esempio i solfiti o il dimetildicarbonato (DMCD, E242).”

“I nostri vini sono pastorizzati, ma non utilizziamo il conservante DMCD, – precisa Sonn – perché questo rilascia piccole quantità di metanolo, e preferiamo evitare questo rischio. La durata di questi vini non è paragonabile con quella dei vini ‘alcolici’: noi indichiamo 24 mesi dalla data di produzione.”

Se i vini dealcolati non sono facili da trovare, si stanno diffondendo bevande di vario tipo preparate a partire da vino dealcolato.

“Se non parliamo di ‘vino’, ma di bevande che vedono questi vini come ingredienti, la norma è più permissiva. – Precisa Biondi Bartolini – Queste infatti possono essere addizionate con aromi, zucchero, tè o succhi di frutta. È sempre importante quindi leggere le etichette per sapere che cosa stiamo bevendo.”

Ricordiamo che l’obbligo di riportare caratteristiche nutrizionali e ingredienti in etichetta è in vigore, per i vini, solo da dicembre 2023. In pratica, le prime bottiglie adeguate alla norma sono arrivate da poco sugli scaffali, e di solito buona parte delle informazioni è accessibili tramite la scansione di un QR code.

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Paoblog
Paoblog
9 Luglio 2025 21:01

Il vino senza alcol l’ho preso l’anno scorso da Esselunga. Assaggiato e buttato, in pratica.

La birra senza alcol la consumiamo da un paio d’anni, è servito un adattamento, ma si può fare, ma il vino “senza”, anche no. Piuttosto non bevo più vino.

Antonella
Antonella
Reply to  Paoblog
12 Luglio 2025 22:39

ho fatto uguale per la birra, all’inizio alcune sembravano piacermi, ma poi la differenza è tale che piuttosto consumo meno,ed è salutistico lo stesso.

alberto tadini
alberto tadini
10 Luglio 2025 08:35

Sarebbe interessante sapere qual’é il consumo energetico della dealcolazione. Ho letto che non è indifferente ma non conosco studi affidabili sull’argomento

Valeria Balboni
Valeria Balboni
Reply to  alberto tadini
10 Luglio 2025 10:30

Gentile Alberto, in effetti immagino che sia un processo con un certo impatto, come del resto tutti i processi tecnologici che riguardano cibo e bevande. Penso però che, volendo ridurre l’ìimpatto ambientale della produzione di cibo, senza parlare della produzione della carne che è la più “pesante”, dovremmo agire su diverse filiere. Per esempio le catene di produzione della frutta e verdura di quarta gamma, quella pronta per il consumo, lavata, tagliata, refrigerata e conservata in confezioni di plastica. Un vero spreco se pensiamo che la produzione di vegetali avrebbe un impatto ridotto.

Anna
Anna
5 Agosto 2025 09:44

Siccome siamo un popolo intelligente, quando l’Europa discuteva la normativa le nazioni produttrici di vino interessate all’enorme mercato mondiale musulmano invasero i nostri social di post “indinnnniati!!!1!!1!!” su: l’Europa ci obbliga ad annacquare il vino, la tradizione, i nonni. E naturalmente l’opinione pubblica ci è cascata in pieno.

Giacomo
Giacomo
Reply to  Anna
6 Agosto 2025 00:05

Il mondo musulmano non è interessato a vini dealcolati, perché è in ogni caso una bevanda che non appartiene al loro gusto.
Lo so per esperienza diretta.
Per ora il dealcolati ha costi in termini di sostenibilità molto alti, ed il risultato per ora( salvo per spumanti) lascia parecchio a desiderare , da un punto di vista sensoriale

Daniela
Daniela
5 Agosto 2025 10:45

Difficilmente si diventa alcolizzati per mezzo bicchiere di buon vino di tanto in tanto, a pasto. Il problema delle dipendenze è ad ampio raggio, ad esempio chi beve “per dimenticare” non trova motivo di bere vini analcolici, quindi non è raggiunto l’obiettivo. Sul fatto che il vino sia cancerogeno, non credo che i cibi siano da meno (vedi pesticidi, tipo glifosato & c. per i vegetali, stendiamo un velo pietoso sulle carni di allevamenti intensivi o per i pesci, sia allevati che pescati in acque ormai nemmeno da guardare), così come l’aria che respiriamo, visto che le industrie non possono fare a meno di inquinare, i porti e gli aeroporti sono fonti di inquinamento, il traffico stradale fa la sua parte (ma per ora è l’unico incriminato) e alla fine… tutta colpa del vino! Oltretutto il problema dell’alcool colpisce soprattutto i giovani, che certo non bevono vino da gourmet centellinandolo ai pasti, ma cercano lo “sballo” con bevande ad alta gradazione alcoolica. Possiamo immaginare il whisky analcolico? O il gin, la vodka e tutta la compagnia? No, non si può immaginare. Allora prendiamocela con il barolo, togliamogli l’alcool, modifichiamogli il gusto e poi domandiamoci perché non viene venduto molto. Comunque, difendo il vino per storia, tradizione ed economia agricola e perché non amo le demonizzazioni di un singolo elemento (a parte il glifosato, molto cancerogeno ma che l’Europa, pur così attenta alla nostra salute, si guarda bene dal vietare!), ma non ne bevo.