Al chiuso ma ottimo dal punto di vista nutrizionale e del sapore: l’ortofrutta del futuro coltivata nelle vertical farming delle aree dismesse
Al chiuso ma ottimo dal punto di vista nutrizionale e del sapore: l’ortofrutta del futuro coltivata nelle vertical farming delle aree dismesse
Agnese Codignola 4 Novembre 2020C’è un modo per massimizzare i benefici del vertical farming, la coltivazione idroponica di ortaggi e frutti su moduli verticali: sfruttare capannoni e in generale aree dismesse, ex industriali ma anche, per esempio, aree militari o civili abbandonate, che non troverebbero altro utilizzo. Lo si cerca di fare in diverse parti del mondo, ma l’ENEA ha trasformato questo approccio in un progetto chiamato Ri-Genera, condotto in Veneto insieme a Coldiretti Padova, Parco Scientifico e Tecnologico Galileo, Advance Srl, Idromeccanica Lucchini Spa e Gentilinidue.
Il risultato è Arkeofarm, un modulo progettato insieme a Lucchini, organizzato su più piani e adattabile a diversi tipi di spazi, in modo da impiantare una serra in qualunque tipo di stabile (compresi, quindi, quelli vincolati per motivi paesaggistici o storici) perché nulla, all’esterno, viene alterato.
Essendo il tutto ideato per spazi chiusi, il risultato finale sono serre hi tech illuminate da LED, che non richiedono fitofarmaci perché appunto sigillate, e nelle quali le piante utilizzano pochissime risorse, perché ogni elemento, dall’acqua alla temperatura, dai sali alla luce, è somministrato con una precisione millimetrica. Gestione e raccolta sono poi affidati in parte ai robot, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, che regola il sistema.
Le rese sono straordinariamente efficienti: per avere l’equivalente di un ettaro (pari cioè a 10.000 m²) coltivato all’aperto in modo tradizionale basta avere circa mille metri quadri di vertical farming. Allo stesso modo, la qualità è assicurata: ciò che si produce è ottimo dal punto di vista nutrizionale e del sapore, proprio perché ha ricevuto ciò che gli occorreva in modo per così dire personalizzato, e senza contaminazioni.
Il progetto ha portato anche a una versione mobile dello stesso concetto, chiamato BoxLand. Si tratta di container che sfruttano la stessa idea, e che possono essere trasportati e posizionati anche all’esterno, essendo indipendenti dalle condizioni meteorologiche.
Secondo l’ISTAT, in Italia ci sono attualmente circa 130.000 edifici in disuso, che occupano il 3% del territorio nazionale. Secondo l’ENEA, l’Italia ha perso oltre 6 milioni di ettari di coltivazioni negli ultimi 60 anni. La risposta a entrambi i dati non può che essere tecnologica e sostenibile, e l’idea di far rinascere gli spazi in disuso a questo tipo di seconda vita è senza dubbio vincente, e risponde a necessità sempre più presenti quali quella di creare produzioni che non risentano delle condizioni atmosferiche esterne.
In alcuni paesi, tra cui il Giappone e gli Stati Uniti, esistono già grandi stabilimenti di produzioni idroponiche verticali impiantati su aree dismesse quali, rispettivamente, A-Plus e Aerofarm, nati dopo che eventi come il disastro di Fukushima e gli uragani quali Katrina hanno fatto drammaticamente accelerare la ricerca di soluzioni basate sulla resilienza dei sistemi, oltreché sul riutilizzo degli spazi e su una produzione maggiore e di qualità elevata.
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Giornalista scientifica
Nei diversi regolamenti il terreno naturale è imprescindibile per la definizione di Bio. Lo stesso vale per la luce, che se artificiale non può essere considerata alla stregua del sole.
Come fate a definire biologica una serra idroponica a luce artificiale?
È impensabile riprodurre i complessi fenomeni che esistono in un suolo incontaminato che viene coltivato in modo naturale.
Comunque la coltivazione idroponica può essere un aiuto ma non è di certo la soluzione ai problemi alimentari.
La produzione biologica vegetale impiega tecniche di lavorazione del terreno e pratiche colturali atte a salvaguardare o ad aumentare il contenuto di materia organica del suolo, ad accrescere la stabilità del suolo e la sua biodiversità, nonché a prevenire la compattazione e l’erosione del suolo…
la fertilità e l’attività biologica del suolo sono mantenute e potenziate mediante la rotazione pluriennale delle colture, comprese leguminose e altre colture da sovescio, e la concimazione con concime naturale di origine animale o con materia organica, preferibilmente compostati, di produzione biologica;
Senza terreno (su cassoni sopraelevati o in acqua) NON c’è produzione biologica.
E la bioversità?
Vorrei anche vedere quali nutrienti si utilizzano per questi vegetali che non sanno cosa sia la luce del sole, la pioggia e l’andamento delle stagioni…