A Taastrup, nei sobborghi di Copenaghen (Danimarca), ha preso vita la più grande fattoria verticale indoor d’Europa. La nuova vertical farm, nata dalla collaborazione tra la startup Nordic Harvest e la società tech taiwanese YesHealth Group, copre un’area di 7.000 mq con 14 livelli di scaffalature sulle quali si calcola verranno prodotte annualmente 1.000 tonnellate di verdura, con una previsione di 200 tonnellate nel primo quadrimestre del 2021. Al posto della luce solare, 20.000 led attive 24 ore su 24 e alimentate totalmente attraverso energia eolica garantiranno l’illuminazione necessaria alla crescita dei semi, i cui prodotti – inizialmente erbe aromatiche e verdure a foglia verde come l’insalata, presenti nei supermercati da gennaio – verranno raccolti fino a 15 volte all’anno. La struttura, controllata da software intelligenti dove il lavoro umano è massicciamente sostituito da piccoli robot che si spostano da un corridoio all’altro occupandosi della semina, si basa sulla coltivazione idroponica, una tecnica di coltivazione che non prevede l’uso del terreno, consente un grande risparmio di acqua e non richiede l’utilizzo di pesticidi dato l’ambiente chiuso e ipermonitorato.
Quella delle coltivazioni indoor delle vertical farm con sistemi idroponici, aeroponici o acquaponici è una tendenza esplosa negli ultimi 6-7 anni che ha assunto dimensioni su scala industriale soprattutto negli Stati Uniti, in Nord Europa e in Giappone. In Italia, per esempio, eccellenza nel settore è la startup Planet Farms, che in Brianza, ancor prima di progettare la sua fattoria verticale (prima indoor farm italiana), ha creato uno dei laboratori più evoluti d’Europa interamente dedicato all’agricoltura al chiuso. Queste fattorie futuristiche hanno in comune un sistema che coniuga robotica, informatica e biotech con i vantaggi di risparmiare fino al 90-95% di acqua rispetto alla coltivazione tradizionale, non consumare suolo, non utilizzare agrofarmaci, ottimizzare i parametri qualitativi delle piante grazie a una gestione mirata che le fa crescere nel modo più rapido ed efficiente possibile per soddisfare la richiesta di mercato e coltivare qualsiasi prodotto in qualsiasi momento dell’anno a km zero.
A fronte di tali benefici, ci si scontra con il limite legato al grande consumo di energia necessaria per l’illuminazione delle strutture – problema che la vertical farm danese ha risolto puntando sull’energia eolica, scelta che non stupisce dato che in Danimarca quasi la metà dell’elettricità prodotta nel 2019 proveniva dal vento (leggi approfondimento). Un metodo per risparmiare energia è quello di usare lampade led dello specifico colore dello spettro che serve al processo fotosintetico (rosso e blu), una soluzione che risulta efficace solo per quei prodotti agricoli che crescono in poco tempo e che quindi rendono molto come le piante di insalata; per altri prodotti, come il grano, il costo finale sarebbe invece troppo alto. Attualmente, i costi di costruzione e produzione delle fattorie verticali indoor fanno sì che il prezzo sul mercato delle loro verdure e piante sia pari o un po’ superiore a quello dei prodotti biologici, ma per il futuro si punta a equiparare quelli delle aziende convenzionali.
In uno scenario dove i terreni coltivabili sono sempre di meno e la richiesta di cibo cresce sempre di più, le vertical farm si presentano come un’alternativa che unisce sostenibilità e produttività, un equilibrio, quest’ultimo, che vede da una parte abbattere l’inquinamento di CO2 e i costo dei trasporti su lunga distanza grazie al km zero e dall’altra aumentare sensibilmente la densità del raccolto per metro cubo di spazio occupato. Sembra però che il tema ambientale ed energetico venga affrontato solo dal punto di vista dell’efficienza dell’impianto e della soddisfazione della domanda di mercato. Nell’ottica delle vertical farm indoor, il km zero e l’inutilizzo dei pesticidi ribaltano l’idea stessa dell’agricoltura annullando la contrapposizione tra città e campagna e tra natura e artificio.
Il desiderio di un consumatore dell’Europa settentrionale di mangiare pomodori in pieno inverno riesce a modificare e ridefinire il ciclo naturale di una pianta; il progresso tecnologico sembra dunque attribuire al mercato un ruolo ancora più importante e rende sempre più reale la possibilità di produrre qualsiasi cosa ovunque c’è richiesta di consumo. Ci si potrebbe così trovare davanti al paradosso per cui una possibile soluzione all’emergenza della scarsità di suolo agricolo, dell’inquinamento e dell’uso eccessivo delle risorse naturali come l’acqua, risponda alle esigenze di quello stesso mercato delle multinazionali del settore che ha escogitato l’idea del land grabbing (accaparramento di terra), provocando un impoverimento della biodiversità, determinando la perdita di sicurezza alimentare, rischiando di aggravare conflitti culturali e incidendo sulla perdita delle tradizioni locali. Sebbene la tecnologia possa rappresentare uno strumento essenziale per far fronte agli attuali e ai futuri problemi nel campo agricolo e ambientale, pare inevitabile domandarsi se sia davvero necessario comprare zucchine a gennaio.
© Riproduzione riservata. Foto: Nordic Harvest (1 e 3), Planet Farms (2)
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L’argomento è così complesso che richiederebbe di essere spacchettato.
Gli embrioni del cambiamento vengono da più lontano ma oggi leggendo questi articoli si vede chiaramente che è l’uomo a voler condurre le danze globali con costrutti artificiali che sono il frutto di “esigenze umane” e finalizzate a soddisfarne i bisogni impliciti ed espliciti.
Il mondo naturale perseguiva, in maniera a noi ancora in parte oscura, il fine unico della vita e della biodiversità, senza sprechi e senza veleni messi sotto il tappeto o nell’aria.
Noi invece nell’arco di pochi anni di veleni ne abbiamo messi un pò, di sprechi siamo specialisti, il sistema natural, uomo compreso, è indebolito e non è più sufficiente; i nostri bisogni sono multiformi e spesso opachi, nascondono importanti aspetti egoistici e speculativi e a lungo andare queste cose diventano insostenibili.
Tutti i cicli naturali sono basati sull’alternanza di stato, acceso-spento giorno-notte caldo-freddo estate-inverno sonno-veglia lavoro-riposo ecc……..ora anche questo non è più soddisfacente ma ci vorranno organismi diversi dall’uomo per superare veramente questi limiti, le macchine in futuro forse ma chi spinge per drastici cambiamenti ha una vaga idea di dove si andrà a parare?
In alcuni aspetti il beneficio e i risparmi sembrano inoppugnabili ma come in ogni vendita o pubblicità i vantaggi sono teoricamente moltiplicati e al contrario i costi, i problemi e i potenziali rischi vengono trattati troppo sommariamente e quasi trascurati tanto poi in via di sviluppo tutto si risolverà.
Ma come si dice sempre ” il diavolo si nasconde nei dettagli”, non resta che avere pazienza e controllare termini quali substrati, contaminazioni, costi e consumi, occupazione ed altro……così sia purchè si mangi a volontà.
Quanta ragione nelle sue parole , Gianni.
Condivido pienamente.
Con la scusa di dover dar da mangiare al mondo, stiamo distruggendo il mondo, mangiamo prodotti inquinati e con pochi nutrimenti.
Non credo nell’agricoltura verticale , nella coltivazione idroponica . La terra, il sole, apportano i nutrimenti , attraverso processi fisico/chimici , e non possiamo sostituirli con i led e con differenti integratori.
È un argomento molto complesso , quando ritorneremo a mangiare con il piacere di nutrirci consapevolmente, lasceremo nei supermercati l’80 % dei prodotti alimentari.
Signora Monica, che “non possiamo sostituirli” è una sua affermazione di tipo “fideistico”, per ora non abbiamo certezze in tal senso, anzi direi che al momento è il contrario: le piante vengono coltivate in idroponica, forse quelle alimentari possono non essere così gustose, non so, ma i fiori ad esempio? Specie tra i fiori recisi l’idroponica viene usata normalmente che io sappia. Saluti
Lo scopo deve essere minor impatto ambientale. Se queste farm riescono a fare molto meglio di una serra eliminando i pesticidi e addirittura a volte a garantire una miglior qualità organolettica dovuta alla giusta luce led allora Benvenga e benvenuti nel ventunesimo secolo!!
In Italia si potrebbe fare partendo da grandi edifici abbandonati.
Gentilissimo, in Italia c’è proprio un progetto di questo tipo: https://ilfattoalimentare.it/vertical-farming-ortofrutta-bio.html
Buongiorno, tutto ok per ciò che riguarda il CO2, il risparmio di acqua, suolo e l’utilizzo di energie alternative, (sempre che il prodotto finale sia all’altezza di quello tradizionale) ma, non riesco a capire da dove vengano fuori le sostanze nutritive e minerali che, oltre alla luce e all’acqua, sono indispensabili alla coltivazione dei vegetali !
Cordiali saluti, Giuseppe.