Carrefour ha annunciato che non venderà più uova prodotte da galline allevate in gabbia

I consumatori sono sempre più attenti al benessere animale, e meno disposti ad accettare le uova provenienti da galline allevate in gabbia: quelle, per intendersi, che nel codice stampigliato sul guscio riportano come prima cifra il numero 3. Una scelta apprezzata dalle associazioni che promuovono il benessere animale, che però rischia di aprire un contenzioso tra la Grande Distribuzione, attenta alle esigenze della clientela, e i produttori preoccupati per i maggiori costi da sostenere per adeguarsi alle richieste del mercato.

In realtà, già dal 2010 la Coop aveva scelto di utilizzare e commercializzare solo uova da galline allevate a terra, all’aperto o biologiche. Adesso a smuovere le acque è stata Carrefour Italia, annunciando che dal primo marzo tutte le insegne del gruppo (Market, Express, Iper, DocksMarket e GrossIper) non venderanno più uova di categoria 3. “L’utilizzo di gabbie nell’allevamento di galline ovaiole”, si legge nel comunicato Carrefour, “seppur consentito dalla legge, non è un sistema in linea con gli standard di qualità della vita animale in quanto spazi ridotti, costrizione fisica e strutture metalliche non permettono agli animali compiere movimenti e adottare comportamenti naturali”.

Anche Esselunga, Coop, Auchan e Lidl hanno rinunciato alle uova di categoria 3

Il comunicato non spiega se l’impegno coinvolgerà anche i punti vendita in franchising: a sollevare il problema è stata l’associazione CIWF Italia, che ricorda come questi rappresentino circa il 50% dei punti vendita. E in effetti il problema esiste: rispondendo a una richiesta di chiarimento de Il Fatto Alimentare, Carrefour ha comunicato oggi che l’iniziativa “riguarda anche tutti i 190 Carrefour Iper e market franchising presenti sul territorio nazionale” che sia aggiungono ai 478 punti vendita a gestione diretta. Mentre “nei rimanenti 403 punti vendita in franchising a insegna Express, già riforniti da Carrefour Italia esclusivamente con uova non da allevamento in gabbia, è in atto una azione di sensibilizzazione verso acquisti che rispettino i requisiti di sostenibilità sopra indicati”.

Intanto anche altre insegne della GDO si stanno muovendo, come Esselunga che da settembre ha eliminato dal proprio assortimento le uova fresche da galline allevate in gabbia e ha scelto di utilizzare uova da allevamenti a terra anche “per la produzione di paste fresche, prodotti da forno e pasticceria, prodotti di gastronomia, preparati nei nostri stabilimenti”. O come Auchan Retail Italia che ha avviato il processo di eliminazione delle uova di categoria 3 negli ipermercati Auchan e supermercati Simply, da concludere in cinque anni: “Attualmente, tutte le uova a marchio Auchan provengono da allevamenti a terra o sono biologiche. Per quanto riguarda la linea di primo prezzo e le uova sfuse abbiamo avviato nel 2017 il passaggio da fornitori con allevamenti in gabbia ad allevamenti a terra, e anche sui prodotti con i marchi dei fornitori, abbiamo già ridotto l’assortimento delle uova da allevamenti in gabbia a favore delle altre”. Tempi lunghi anche per LIDL che ha annunciato che entro il 2025, oltre a non vendere più uova di tipo 3, non le utilizzerà più per prodotti da forno o prodotti confezionati.

“Bisogna considerare che l’Italia è rimasta indietro rispetto ad altri paesi europei, come la Germania, dove gli allevamenti in gabbia sono già stati superati”, spiega Anna Maria Pisapia, direttrice di CIWF Italia. Secondo l’associazione di produttori Assoavi, oggi il 66% degli oltre quaranta milioni di ovaiole italiane sono allevate in gabbia arricchita, il 29% a terra, solo l’1,5% all’aperto, cui si aggiunge un 3,5% di animali da allevamento biologico.

Oggi più della metà delle uova sono prodotte da galline allevate con metodi alternativi alla gabbia

Che la situazione stia cambiando anche da noi emerge invece dalle stime fornite da Unaitalia sulla base di dati ufficiali (Banca Dati Nazionale per gli avicoli, presso l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, dati della Commissione europea), da cui si scopre che negli ultimi cinque anni si è avuta un’inversione nei rapporti tra produzione in gabbie arricchite e sistemi alternativi (a terra, all’aperto e biologico), che oggi complessivamente forniscono il 51% delle uova prodotte sul territorio nazionale (+50% circa). Nello stesso periodo la produzione in gabbia è calata del 33% circa. E questo nonostante i prezzi più alti: secondo dati Assoavi, per quanto riguarda il costo al consumatore finale, la differenza di prezzo rispetto alle uova di categoria 3 è del 20% in più per le uova di galline allevate a terra, del 50% per quelle all’aperto e del 100% in più per il biologico.

Gli allevatori, in una nota di Assoavi, definiscono la situazione “molto preoccupante”. L’atteggiamento dei consumatori, sostengono “vanifica gli ingenti investimenti fatti dalle aziende italiane (con grandi indebitamenti) per adeguarsi alla normativa europea del 2012, realizzando le cosiddette gabbie arricchite perfettamente a norma”. In realtà, il problema sta a monte: “La decisione europea di autorizzare le gabbie arricchite – leggermente più grandi di quelle usate per l’allevamento in batteria e dotate di posatoi e altri minimi arricchimenti – fu presa per rispondere alle pressioni degli allevatori”, ribatte Pisapia. “Era comunque chiaro che si trattava di una situazione di passaggio, mentre il vero obiettivo resta l’allevamento in sistemi alternativi alle gabbie, che può garantire alle galline una migliore qualità di vita”.

uova pasta
La maggior degli ovoprodotti utilizzati dall’industria provengono ancora da uova di galline allevate in gabbia

Proprio la necessità di investire nella riconversione preoccupa i produttori, che chiedono “un ragionevole periodo per tentare di riconvertire nuovamente gli allevamenti”. L’impressione, si legge nella nota di Assoavi, “è che la GDO si faccia concorrenza a nostre spese, senza tenere nella giusta considerazione la realtà oggettiva dei fatti”: il rischio secondo i produttori è che arrivino sul mercato uova di paesi terzi, che producono senza rispettare le norme europee in tema di benessere animale, igiene e sicurezza. “Ci rendiamo conto della situazione dei produttori”, sottolinea Pisapia, “Ma la scelta di passare a gabbie arricchite fu miope da parte loro. Detto ciò, dato che il benessere animale è un bene pubblico, sarebbe opportuno che lo Stato intervenisse a favore del passaggio a sistemi alternativi, che rappresentano un vantaggio non solo per la qualità di vita degli animali ma anche per l’ambiente e per i consumatori”.

Se il problema delle uova a guscio sembra sia pur lentamente avviato a soluzione, resta il problema dell’ovoprodotto: “Oggi la maggior parte dei prodotti a base di uova che consumiamo, come prodotti da forno, pasta all’uovo o gelati, sono fatti con uova di galline allevate in gabbia, perché l’obbligo di specificare in etichetta le modalità di allevamento delle galline riguarda solo le uova in guscio”, osserva Pisapia. Tuttavia alcune marche stanno cominciando a segnalare in etichetta la scelta di utilizzare solo uova provenienti da animali non allevati in gabbia. E qualcosa comincia a muoversi anche in alcune realtà della ristorazione, come CAMST, che dallo scorso autunno si è impegnata a non utilizzare più uova di galline in gabbia, mentre Dussman Service, che ogni anno acquista per le mense scolastiche dai propri fornitori un milione e 600 mila uova e oltre 100 tonnelate di ovoprodotti, ha annunciato che a partire da marzo sceglierà solo prodotti di allevamenti a terra, all’aperto e biologici.

Aggiornamento del 28/02/2018: Lidl Italia ha annunciato l’intenzione di anticipare al 2019 l’impegno di eliminare dagli scaffali le uova da galline in gabbia e specifica che entro la fine del 2018 il 70% delle uova fresche e di quelle contenute nei prodotti a marchio Lidl sarà da allevamenti a terra, all’aperto o biologici.

© Riproduzione riservata

sostieni

Le donazioni si possono fare:

* Con Carta di credito (attraverso PayPal). Clicca qui

* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264

 indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare.  Clicca qui

0 0 voti
Vota
10 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Gea
Gea
28 Marzo 2017 12:26

Un pezzo bipartisan, troppo attento a comprendere le ragioni degli allevatori che hanno ancora il coraggio di chiedere tempo, sulla pelle delle povere bestie. Le uova da galline in gabbia sono uno scandalo. Non c’è altro da aggiungere. Brava la Carrefour. Gli allevatori invece di preoccuparsi cercassero metodi più civili. A me preoccupano più e galline di loro.

Anna Fabiana
Anna Fabiana
Reply to  Gea
28 Marzo 2017 15:56

La scelta di Carrefour, Esselunga e Coop è un importante segnale anche per gli altri attori della GDO che dovranno adeguarsi (ma Lidl ci metterà 8 anni!): però non sottovalutiamo la ns capacità come consumatori di influenzare tali scelte lasciando sullo scaffale le uova di galline allevate in gabbia anche a fronte di un prezzo maggiore.

Carlo
Carlo
28 Marzo 2017 16:39

Da anni compro uova da galline felici. Dio ci ha dato il privilegio di mangiare gli animali, il minimo che possiamo fare per mostrare loro gratitudine è di farli vivere in ambienti idonei e sereni.

Giorgio
Giorgio
Reply to  Carlo
29 Marzo 2017 12:06

Faccio solo una domanda… Siete mai entrati in un capannone con Galline allevate a terra? Avete minimamente idea di cosa sia? Credete veramente che gli animali sia al pascolo in prati sterminati? è un sistema di allevamento intensivo come gli altri, ne più ne meno…

Roberto La Pira
Reply to  Giorgio
29 Marzo 2017 12:33

Sì, siamo stati in capannoni dove i polli sono allevati a terra e anche in capannoni dove i polli possono uscire all’aperto.

ezio
ezio
28 Marzo 2017 19:34

“Gli allevatori, in una nota di Assoavi, definiscono la situazione “molto preoccupante”.”
Tanto tuonò che piovve. I produttori ciechi, sordi ed insensibili alle condizioni dei loro allevamenti ed anche ai messaggi dei consumatori di questi ultimi anni, dopo aver maltrattato milioni e milioni di animali, relegandoli in gabbie anguste, contribuito all’antibiotico resistenza dei batteri killer in circolazione, si preoccupano tardivamente per i loro investimenti sbagliati.
Non si preoccupano per i danni che hanno fatto sugli animali, ai loro clienti consumatori, ma per il loro business a rischio.
Ci sarà una giusta selezione tra chi capisce che è già tardi per cambiare e chi non comprende neanche ora e dovrà preoccuparsi moltissimo nel prossimo futuro, perché verranno tagliati fuori dalla loro stessa insensibilità.

Giorgio
Giorgio
29 Marzo 2017 14:06

@Roberto La Pira, quindi deduco che sapete benissimo che dal punto di vista alimentare non c’è nessuna differenza tra l’uovo prodotto da una gallina allevata in batteria, ed un uovo prodotto da una gallina allevata a terra. Ovviamente sapete che l’allevamento a terra, ha le stesse problematiche dell’allevamento in batteria… che c’è più probabilità di contaminazioni del prodotto nell’allevamento a terra rispetto a quello in batteria. Avete spiegato ai consumatori cosa sono gli allevamenti in voliera, che sono identificati come sistemi alternativi alle gabbie e sono definiti allevamento a terra quando non lo sono? Sono certo che il consumatore è a conoscenza che la forzatura verso i sistemi alternativi e quindi verso gli allevamenti a terra, avrà l’effetto di una drastica diminuzione della produzione sul suolo nazionale ed un maggiore importazione di uova estere dove non esistono le stesse normative, o meglio gli stessi controlli e accuratezza di allevamento che esistono in Italia? Purtroppo credo che il problema non è solo identificabile con la tipologia a di allevamento, ma è molto più ampio e articolato, ed il consumatore sia vittima purtroppo dell’ennesimo condizionamento dei grandi gruppi.

ezio
ezio
30 Marzo 2017 20:29

Leggo con piacere che alcuni produttori hanno compreso per tempo cosa bisogna fare e come riconvertire i propri allevamenti.
Per i disinformati e pessimisti questo articolo è ben documentato su cosa si può e si deve fare:
http://www.ilfattoalimentare.it/pollo-senza-antibiotici-campese.html

Maurizio Soliani
Maurizio Soliani
21 Aprile 2017 00:12

Io mi chiedo come riescano a vivere gli allevatori conoscendo le sofferenze e le condizioni delle galline dove sono rinchiuse. Non capisco proprio come facciano a vivere.. Da quando ho visto i tremendi video degli allevamenti di galline, non riesco a pensarci senza stare male. Il mio malessere è talmente forte da non riuscire piu’ a mangiare uova, nemmeno quelle biologiche, ne’ dolci ecc. contenenti il prodotto così tanto sofferto. Ma un minimo di coscienza non esiste in questi individui?!!

ezio
ezio
21 Aprile 2017 13:30

Caro Maurizio il mondo è fatto a scale ed ha un’estensione quasi infinita.
Si parte da un minimo uguale a zero di questi allevatori, della sensibilità di cui lei ha il massimo (forse troppo), a tutta una serie di valori intermedi e ben assortiti in tutto il resto della società.
Non abbia dubbi che costoro dormono benissimo ed al massimo avranno qualche risveglio precoce quando gli calano le vendite.
Quindi non è facendo appello alla sensibilità che cambieranno le cose, ma sicuramente incidendo sulle loro vendite immeritate ed esigendo maggiori controlli sanitari negli allevamenti, magari sostituendo qualche veterinario non meritevole del ruolo istituzionale che svolge.