Gli aromi occupano l’ultima posizione nell’elenco degli ingredienti, ma a dispetto della posizione svolgono un ruolo importantissimo. Per rendersene conto basta guardare le etichette dei prodotti esposti sugli scaffali di un qualsiasi supermercato. Tutti contengono la parola aromi, tranne gli ortofrutticoli freschi e un gruppo ristretto che comprende: olio, latte, uova, vino, pasta secca, formaggi, miele, yogurt naturale, succhi di frutta 100%, cacao amaro e pochi altri. «Se negli alimenti confezionati non si aggiungono gli aromi – spiega Roberto Chiolini titolare della Dks Aromatic un’azienda aromatiera situata nell’hinterland milanese – il risultato a livello sensoriale è comunque deludente». Il tono di Chiolini è molto pacato perché sa di non potere essere smentito, anche quando sostiene che il miglior panettone preparato con uvette, canditi e burro di ottima qualità, non sarà mai un buon dolce senza un pizzico di aromi. La questione è tecnica perché il processo industriale e la necessità di mantenere il prodotto sino alla scadenza, comportano l’inevitabile perdita delle note aromatiche. Questa perdita viene supportata con l’aggiunta di aromi in grado di che restituire al prodotto il flavour originale. Non è esagerato dire che il successo di prodotti come il cornetto Algida è dovuto a tre fattori: la martellante pubblicità, l’ottima qualità della panna e degli altri ingredienti, e l’aroma panna particolarmente indovinato. Un discorso analogo si può fare per la Nutella, dove la qualità del cacao e delle nocciole è importante quasi quanto l’aroma cioccolato.
Ma cosa si nasconde dietro la parola aromi? In genere le sei lettere indicano un numero variabile da 10 a 40 e più molecole di sostanze classificate come terpeni, alcoli, aldeidi, chetoni … e altri composti dai nomi impronunciabili. «Gli aromi delle piante, dei fiori e dei frutti sono composti da centinaia di molecole – spiega Salvatore Tragna flavourist della DKS Aromatic – e noi cerchiamo solo di imitarli. L’odore di un frutto come la fragola è composto da oltre 250 molecole. Per il cioccolato sono più di 600, mentre per il caffé tostato si supera le 900. L’industria individua queste molecole, le ricostruisce in laboratorio le mette a disposizione delle aziende alimentari che ne utilizzano solo una parte (quelle che caratterizzano meglio l’odore, chiamate molecole target). Alcune molecole target sono abbastanza conosciute, basta citare il mentolo della menta e la vanillina della vaniglia.
Il numero di molecole è un elemento importante, perché secondo gli esperti per ottenere una nota aromatica buona e persistente simile a quella naturale ne occorrono tante, anche se i costi lievitano. Su questo aspetto bisogna essere chiari, perché l’incidenza dell’aroma sul prodotto finito è abbastanza trascurabile. Il barattolo da un chilo venduto ad un prezzo variabile da 20 a 90 € è sufficiente per 1000 kg di biscotti. Volendo essere più precisi ogni barattolo contiene solo il 5/10% di molecole aromatiche, il resto è acqua o diluente. Si tratta di quantità piccolissime perché il naso è in grado di distinguere odori presenti in poche parti per milione. Il discorso dei costi cambia un po’ quando si utilizzano aromi naturali perché i listini lievitano anche di 10 volte, anche se in genere sono poco usati.
A questo punto entra in scena l’aromatiere che sceglie alcune tra le centinaia di molecole di un aroma e formula la ricetta. La questione è delicata perché si possono usare le molecole più vicine alle note aromatiche delle fragole mature, di quelle verdi o delle fragoline di bosco e miscelarle con altri frutti. Le complicazioni aumentano perché le molecole da aggiungere allo yogurt devono essere solubili nei grassi del latte, quelle per le caramelle devono sprigionare il profumo in un ambiente disidratato, mentre quelle delle bibite devono sciogliersi in acqua.
Ogni aromatiere custodisce gelosamente nei cassetti un quaderno virtuale con le formule “segrete”, da usare per proporre alle aziende alimentari un mix di molecole il più possibile vicino all’odore naturale. A volte si inventano nuove note aromatiche abbinando fragola, limone, arancio…. a cannella, menta o origano …. per differenziarsi dalla concorrenza e catturare il consumatore. Le combinazioni sono infinte e per questo è difficile trovare prodotti alimentari con lo stesso aroma. Il timore che si utilizzino le sostanze aromatiche per infondere un buon odore ai prodotti anche quando la materia prima scarseggia è un pensiero abbastanza diffuso tra la gente. Basta pensare all’aroma granchio o all’aroma aragosta nel surimi e nelle zuppe di pesce disidratate, o all’aroma sedano aglio e cipolla delle minestre pronte. «Il problema non va enfatizzato – spiega Tragna – perché l’aroma è un po’ come il rossetto che ingentilisce l’aspetto di un viso senza modificare i lineamenti. Gli aromi migliorano il flavour di uno yogurt alla fragola o di una bibita all’arancia, ma se lo yogurt non contiene fragole e la bibita non contiene succo di arancia, nessuna nota aromatica per quanto buona è in grado di sostituire questi ingredienti».
Le scritte abitualmente presenti sulle etichette sono tre:
“Aromi naturali” le molecole si ricavano con procedimenti fisici, enzimatici o microbiologici da vegetali (frutta, foglie, fiori, radici, ecc) o da animali. Sono i più costosi ma i meno utilizzati.
“Aroma naturale di …” seguita dal nome di un frutto o di una pianta (per esempio limone), indica che il 90% delle molecole è estratto da limoni mentre le altre provengono da fonti naturali diverse.
“Aromi” le molecole sono identiche a quelle naturali ma si ottengo per sintesi chimica. La miscela può avere anche prodotti di estrazione naturale. Costano poco e sono i più utilizzati.
Roberto La Pira
(questo articolo è stato pubblicato sul mensile Vivere di gennaio 2010)