Lo scandalo di gennaio, quando i sacchetti dell’ortofrutta sono diventati a pagamento (1/2 centesimi) ha orientato alcuni consumatori ad acquistare frutta e verdura confezionata in vaschette di plastica, polistirolo o cartoncino. Forse è sfuggito a molti che anche questi imballaggi sono a carico dei consumatori, nonostante il costo non sia “visibile”, ma anzi il confezionato alla fine è un po’ più caro (leggi articolo). Oltre all’aspetto economico bisogna considerare l’impatto ambientale delle vaschette e del film plastico di copertura che ha un peso notevole. Partendo dal problema della sostenibilità del packaging utilizzato per frutta e verdura, è nata la campagna social “Svesti la Frutta” (#svestilafrutta), lanciata dal portale greenMe.it. I promotori si sono chiesto quanto abbia “senso confezionare frutta e verdura che già per natura, grazie alla buccia, hanno una loro protezione?”, e invitano a lottare in maniera attiva (e social) contro l’abuso degli imballaggi in plastica. L’obbiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica, i produttori e le catene della grande distribuzione per favorire un’inversione di tendenza che rispetti l’ambiente e limiti gli sprechi.
Partecipare alla campagna “Svesti la Frutta” è molto semplice. Ogni qualvolta il consumatore si trovi davanti a un prodotto imballato in maniera assurda e senza senso (un mandarino, una banana, un’arancia etc..) può scattare una foto e caricala sui social Facebook, Twitter, Instagram usando l’hashtag #svestilafrutta, taggando @greenMe_it e inserendo anche il nome del supermercato o del punto vendita.
Il problema della plastica è già un’emergenza globale, come ricorda anche il Word Economic Forum, in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, che in un recente studio prevede che, entro il 2050, nell’oceano nuoteranno più bottiglie che pesci.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Premetto che non condivido tutto lo scandalo sul far pagare i sacchetti di bioplastica, nel senso che mi è sembrata una polemica esagerata rispetto al costo che alla fine il consumatore deve sostenere. In Italia ci si lamenta per stupidaggini (tipo il canone Rai) e non per questioni ben più importanti. Tra l’altro, non è che ‘prima’ non si pagassero: solo che era nel costo della merce, dove ovviamente gli esercizi mettono tutti i loro costi, affitto, personale, assicurazioni… tutte le loro spese, e le confezioni come ovvio sono una spesa. Nella carne nel polistirolo ovviamente la vaschetta è fatta pagare nel costo della carne!!! Non vi pare?
Detto questo, anche io mi sono immaginato che sarebbe finita per fare spostare taluni sull’acquisto di frutta preincartata, e quindi peggiorando la situazione sul piano della plastica, perché il preincartata non è bio.
Sarebbe quindi il caso di abrogare l’obbligo di far pagare la busta. Che tanto pagheremo nel costo della merce, però senza accorgersi non ci si agita..
Invece voglio portare una buona notizia. Uno dei problemi è che il sacchetto è bio, ma lo scontrino con peso e prezzo no: mi risulta che presto ci sarà chi farà anche lo scontrino con materiale compostabile
Esselunga propone già l’etichetta adesiva compostabile e altri presto adotteranno lo stesso sistema. Fateci sapere
Ancora con questa storia delle etichette “bio”? Ma vi rendete conto o no che l’ ***80%*** almeno dell’inquinamento è dato dal CICLO PRODUTTIVO e non dallo smaltimento degli scarti del prodotto finale?
Siamo alla solita favola del “risparmia carta, salva gli alberi”: alberi che vengono PIANTATI APPOSITAMENTE PER QUELLO SCOPO, mentre si ignora che, semmai, il problema è il livello di tossicità ambientale del CICLO DI PRODUZIONE della carta… :-/
Il senso di scattare la foto e metterla sui social???
lasciarla lì e non comprarla è l’unica strada. Io lo faccio da sempre. Frutta e verdura imballata mai comprata.
Vietare l’insalata di quarta gamma?
vietare la maggior parte delle confezioni e degli imballi???