Il Governo britannico ha presentato a fine giugno 2025 i nuovi standard per il cibo sano, all’interno del 10 Year Health Plan, un piano per la salute pubblica che coinvolge anche supermercati e produttori. Si tratta di un programma che coinvolge direttamente tutti gli operatori invitandoli a incrementare l’assortimento dei prodotti alimentari ‘sani’ e trovare il modo per incentivarne gli acquisti da parte dei consumatori.
Il Regno Unito affronta una crisi sanitaria seria legata all’obesità e da anni ha impostato politiche di salute pubblica per cercare di arginare il fenomeno. I numeri sono chiari, il Regno Unito è il terzo Paese europeo per tasso di obesità adulta, e i casi, tra adulti e bambini, sono raddoppiati dagli anni ’90. Più di un bambino su cinque, infatti, risulta obeso al termine della scuola primaria, mentre la percentuale sale a quasi uno su tre nelle aree più povere. Secondo il Segretario di Stato per la Salute e l’Assistenza sociale tutto ciò comporta una spesa di 11,4 miliardi di sterline l’anno, pari a tre volte il budget dei servizi di ambulanza.
Il cibo sano costa il doppio
Uno degli scopi del piano è cercare di contrastare il marketing delle grandi aziende e delle catene di fast food che spingono i consumatori verso il cibo ultra processato e il junk food, attraverso una politica di prezzi molto aggressiva, come denunciato dalla Food Foundation, un’associazione no profit britannica che mira a cambiare il sistema agroalimentare. Secondo il report The Broken Plate 2025, 1.000 calorie di cibo sano (frutta, verdura, altri alimenti freschi) costano in media 8,80 sterline, contro 4,30 sterline per lo stesso apporto calorico di cibo meno salutare (piatti pronti, carni lavorate, junk food).
Alcuni esperti di sanità pubblica ritengono che con 50 calorie in meno al giorno 340 mila bambini e 2 milioni di adulti uscirebbero da una condizione di obesità. Se invece tutti coloro che sono in sovrappeso riducessero il loro apporto calorico di 216 calorie al giorno, equivalenti a una singola bottiglia di bevanda gassata, l’obesità sarebbe dimezzata.

Cosa possono fare i supermercati?
Il Segretario alla Salute del Regno Unito invita i supermercati ad agire sulla disposizione dei prodotti, sulle promozioni e sulle carte fedeltà per indirizzare le scelte dei consumatori. Le iniziative non sono lasciate al caso, ma devono essere documentate attraverso rendiconti pubblici previsti da un’apposita modulistica. Importanti catene come Tesco e Sainsbury’s hanno accolto positivamente l’invito.
Tesco, ad esempio ha fissato come obiettivo il 65% delle vendite di prodotti sani entro fine 2025, rispetto al 58% del 2021/22. Un’altra misura rilevante è la riformulazione dei prodotti a marchio, con la riduzione del contenuto di sale, zuccheri e grassi, e la creazione all’interno del punto vendita di aree, denominate Better Baskets, dove si vendono solo prodotti salutari snack sotto le 100 kcal, prodotti ricchi di fibre/proteine, con offerte dedicate o garantire frutta e verdura stagionali a prezzi ridotti.
Anche la catena Sainsbury’s è molto attiva. L’82% delle vendite di prodotti a marchio riporta l’etichetta Healthy Choice, e si arriverà all’85% nel 2025/26. I supermercati della catena propongono promozioni specifiche su frutta, verdura e alimenti salutari tramite offerte multibuy e attraverso le carte fedeltà.
Il modello UK dimostra che politiche soft, ma strutturate, se applicate su larga scala, possono condurre a un cambiamento reale nei comportamenti d’acquisto. Con risultati quantificabili, non solo per la salute ma anche per il sistema sanitario. È una sfida concreta anche per l’Italia: bastano volontà politica, dati condivisi e collaborazione attiva con la grande distribuzione.
La situazione italiana
Da noi però la situazione è bel lontano dagli schemi britannici. Mancano soprattutto: trasparenza, obiettivi verificabili e una regia istituzionale. La distinzione fra alimenti salutari e gli altri è inesistente. Le promozioni su frutta e verdura sono poco diffuse rispetto agli altri prodotti e l’etichettatura è poco chiara. In compenso vanno in onda ogni giorno spot di hamburger di pollo o di manzo da 500 calorie e menù con patatine e Coca-Cola a pochi euro che inevitabilmente attirano decine di migliaia di giovani. Le pubblicità di snack poi praticamente monopolizzano il palinsesto televisivo, con Ferrero che destina milioni per promuovere decine di suoi prodotti. Da noi le istituzioni sono sorde a qualsiasi politiche di orientamento nutrizionale.
L’Italia ha promosso la crociata europea contro il Nutri-Score, riconosciuto in tutto il mondo come un ottimo sistema per orientare le scelte dei consumatori. Altri segnali che denotano un orientamento chiaro delle nostre istituzioni è l’adozione di una sugar tax praticamente inutile sotto il profilo nutrizionale, che non ridurrà di un solo valore decimale il consumo di zuccheri aggiunti, considerato da tutti i nutrizionisti corresponsabile del clima obesogeno. Dai noi non esiste un istituto del consumo e nemmeno un’agenzia per la sicurezza alimentare in grado di progettare un piano di qualsiasi tipo e nella politica dei Ministeri della Salute e dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare il pensiero sembra focalizzato più su prosciutti e formaggi, ignorando qualsiasi forma di educazione e di indirizzo alimentare della popolazione.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24




Mentre altri paesi lavorano su trasparenza e prevenzione, l’Italia sembra ferma, più attenta a proteggere certi interessi commerciali che a tutelare davvero la salute dei cittadini. Eppure, di fronte a un clima sempre più obesogeno e a una sanità in affanno, servirebbe il coraggio di politiche pubbliche serie, basate su dati, educazione e informazione chiara
Un paese che vende ancora sigarette tramite il monopolio e di fatto ad ogni angolo promuove il consumo di alcool, un paese dove per fare lavare i denti ai bambini alle elementari devi minacciare cause ed è proibito portare un pasto sano da casa mentre vengono propinati ultra processati tramite le mense, chiaramente continuerà ad avere costi sanitari inauditi, non puoi dare questi esempi ai bambini e pensare di invertire la tendenza…..
Sono insopportabili tutte quelle pubblicità della kinder ( principalmente loro nel nostro palinsesto) riguardanti le merendine proposte per la Prima colazione. Nulla di più diseducativo! Se, all’interno di un’alimentazione bilanciata, si può ammettere con parsimonia, il consumo di qualche snack confezionato, non è tollerabile proporli tutti i giorni come base di una Prima colazione! Sono spot che andrebbero vietati! Parlo con cognizione di causa in quanto Dietista.
Quanto da lei riportato é condivisibile ma non é solo Kinder, anche se menzionato come esempio per la categoria, a dover essere criminalizzato. Di contro, rispetto a tanti altri prodotti simili, il nostro Ferrero é un attento conservatore per la comunità in cui opera soprattutto nell’occupazione. L’evidenza é solo per evitare che si creda che il negativo sia solo in Kinder.
Senza considerare che, come avete già fatto notare voi del Fatto, la GDO per la frutta e verdura ha praticamente il monopolio dei prezzi e detta legge sulla misura e l’aspetto, creando ancora di più uno squilibrio insensato tra produttori e clienti.
In un paese i cui governi (perché bisogna parlare al plurale vista la situazione protratta da anni…) non fanno nulla per regolarizzare la situazione, non ci si può aspettare chissà che miracolo.